di Alessandro Lutri
Introduzione
La ricerca di soluzioni per economizzare acqua nei nostri giardini ha incrementato l’impiego delle piante “grasse” o “succulente”. Il termine “grasse”, ormai di uso comune, è improprio, perché all’interno dei tessuti vegetativi non accumulano grasso, bensì acqua grazie ai numerosi parenchimi acquiferi, per questo motivo il termine più corretto da utilizzare è senza dubbio “succulente”. Sono piante in grado di tollerare condizioni di aridità, perché capaci di immagazzinare acqua in alcuni dei loro organi, che possono essere i fusti (Foto 1), come in Echinocactus grusonii o in Trichocereus pacanoi, o le foglie (Foto 2), come in Agave americana, o in Aloe spp.
È interessante notare come le succulente abbiano adottato strategie evolutive che consentono a queste di rimanere per lunghi periodi prive di acqua. Essendo per la maggior parte originarie di zone temperate, calde e secche, hanno la necessità di limitare la traspirazione e dunque l’attività fotosintetica al fine di ottimizzare le risorse idriche disponibili. Nel caso di succulenza a carico del fusto, le foglie sono trasformate in spine, e la fotosintesi è affidata ai fusti, come nel caso delle Cactaceae. Poiché però devono comunque garantire una adeguata superficie fotosintetica, i fusti hanno assunto forma sferica, poiché la sfera è il solido geometrico con la maggiore superficie rispetto al volume, ed hanno anche formato la caratteristica “plicatura”, cioè la segmentazione a fisarmonica del fusto, che consente di aumentare la superficie della sfera stessa. Caso eclatante è quello di Echinocactus grusonii, che quando entra in stress idrico utilizza inizialmente le riserve idriche presenti nelle plicature, così da riassorbirle e riassumere la forma di semplice sfera, riducendo la superficie esposta all’aria.
Nel caso di succulenza a carico delle foglie, come ad esempio in Aloe saponaria, quando la pianta entra in stress idrico, le foglie tendono inizialmente ad assumere un colore rossastro, per poi richiudersi verso la loro linea mediana ed infine verso il fusto, così da assumere una forma quasi sferica e ridurre quindi la loro superficie esposta.
Fra le piante succulente che ornano gli spazi a verde un posto di rilievo spetta sicuramente alle numerose specie del genere Aloe, che per l’enorme varietà di forme, di colore delle foglie e delle infiorescenze, assumono particolare interesse. L’utilizzo più importante e riconosciuto a livello mondiale dell’aloe è senza dubbio quello medicinale e cosmetico ma sicuramente sono numerosi gli elementi che le rendono idonee per l’impiego ornamentale.
Inquadramento botanico e descrizione
Tradizionalmente il genere Aloe veniva riferito alla famiglia delle Liliaceae, quest’ultima è una grande famiglia caratterizzata da una notevole eterogeneità di forme, che oggi si tende a raggruppare in numerose famiglie più piccole. Una moderna classificazione delle monocotiledoni, a cui la famiglia delle Liliaceae appartiene, pone le Aloe all’interno della famiglia delle Asphodelaceae, rispettivamente composta dalla sottofamiglia delle Asphodeloideae, rappresentata da Asphodeleus o ancora da Kniphofia, e dalla sottofamiglia delle Alooideae alla quale appartengono le Haworthia e le Aloe.
Grazie alla varietà di forme delle Aloe è possibile effettuare una classificazione morfologica, raggruppandole in 10 gruppi (Van Wyk e Smith, 1996):
Gruppo 1 – Aloe arborescenti (Foto 3): facilmente riconoscibili per il loro aspetto arborescente, formano uno dei più interessanti gruppi di Aloe. Le piante presentano un tronco principale dal quale si dipartono dei rami laterali, inoltre le foglie formano delle piccole rosette e quando muoiono si staccano dalla pianta, a differenza della maggior parte delle altre specie.
Gruppo 2 – Aloe a fusto singolo (Foto 4): questo gruppo è facilmente riconoscibile per il fusto singolo, dritto, che porta una rosetta di foglie sulla parte apicale, e spesso è rivestito dalle foglie morte rimaste. Danni alla crescita dell’apice possono causare la formazione di tronchi multipli, così come anche negli individui più vecchi è possibile trovare pochi rami laterali.
Le specie appartenenti a questo gruppo hanno fioriture appariscenti, grazie alla larghezza e densità dei fiori ed ai vivaci colori dei racemi.
Gruppo 3 – Aloe sarmentose (Foto 5): sono piante caratterizzate da fusti molto sottili, al punto da richiedere un supporto, come alberi o arbusti, per rimanere erette. I racemi sono piccoli e portano pochi fiori, ma questo è compensato dall’elevato numero di racemi prodotti dalle piante adulte.
Gruppo 4 – Aloe striscianti (Foto 6): ciò che contraddistingue le piante appartenenti a questo gruppo è senza dubbio l’habitus strisciante dei fusti o, se questi sono assenti o indistinti, le rosette di foglie inclinate da un lato. Il colore delle foglie varia a seconda delle specie che generalmente è verde con ai margini delle spine bianche. Le infiorescenze sono rotondeggianti e con molti fiori.
Gruppo 5 – Aloe erbacee (Foto 7): questo gruppo è facilmente riconoscibile per le foglie strette e lunghe che sono appena carnose. Nonostante crescano ad elevate altitudini nei luoghi erbosi, il nome si riferisce al loro aspetto e non al loro habitat. Il fuoco ne stimola la fioritura, con produzione di racemi tondi composti da fiori bianchi, rosa, gialli, arancioni o rossi, senza i quali sarebbero indistinguibili dalle altre piante erbacee in mezzo alle quali crescono.
Gruppo 6 – Aloe a fusto multiplo (Foto 8): comprende arbusti di grandi o medie dimensioni, a fusto multiplo, non particolarmente alti. In alcune specie le foglie sono molto ricurve (Aloe arborescens) e prive di spine.
Gruppo 7 – Aloe senza fusto (Foto 9): le specie appartenenti a questo gruppo sono tutte prive di fusto o con fusti molto brevi e le rosette di foglie crescono direttamente dal terreno. Gli esemplari più vecchi possono dare origine a vasti gruppi di rosette.
Le fioriture sono molto appariscenti, grazie alla varietà di forma e colore dei fiori ed anche alle grandi dimensioni dei racemi in rapporto alle piccole dimensioni delle piante.
Gruppo 8 – Aloe maculate (Foto 10): le specie appartenenti a questo gruppo sono in qualche modo imparentate tra loro, quindi le Aloe maculate comprendo un gruppo di piante che si è venuto a creare spontaneamente. Le forme variano molto, possono essere a fusto singolo o multiplo; poiché simili al gruppo successivo, occorre riportare maggiori dettagli morfologici che ne consentano la distinzione: le piante appartenenti al gruppo delle Aloe maculate hanno foglie slanciate che presentano numerose macchie sulla superficie superiore ed inferiore e i fiori sono tubolari e non rigonfi alla base.
Gruppo 9 – Aloe striate (Foto 11): molte delle specie appartenenti a questo gruppo non sono facilmente distinguibili le une dalle altre, soprattutto quando sono in fase vegetativa. Sono prive di fusto, o ne hanno uno breve, le foglie formano delle rosette di piccole o medie dimensioni abbondantemente striate, ma con macchie più piccole di quelle delle Aloe maculate ed i fiori sono rigonfi alla base, a differenza di quelli del gruppo precedente.
Gruppo 10 – Aloe nane (Foto 12): sono piante caratterizzate da piccole rosette di foglie strette, talvolta incurvate, con spine bianche lungo i margini o sulla superficie, che crescono in gruppo e raramente si trovano singole, se non quando sono giovani. Le fioriture sono molto appariscenti, grazie alla dimensioni dei racemi rispetto alla statura delle piante, così da essere particolarmente apprezzate dai collezionisti.
Origine e distribuzione
Al fine di comprendere come coltivare nel migliore dei modi le Aloe, così come qualsiasi altra pianta ornamentale, è necessario conoscerne i luoghi di origine o i luoghi nei quali si sono naturalizzate, per cercare di dare a queste le condizioni climatiche più vicine possibile ad i loro habitat, in modo da non precluderne la sopravvivenza e la riproduzione.
Sono piante originarie delle zone tropicali e sub-tropicali del continente africano, la maggior parte delle specie ha come luogo di origine il Sud-Africa e la Namibia, ma qualche specie è presente anche in Eritrea, Etiopia e Nord Somalia.
Il clima tipico sud-africano è caratterizzato da inverni freddi e secchi, mentre le estati sono calde e piovose; è possibile ritrovarle su colline rocciose e semiaride o addirittura cresciute sulle pareti scoscese delle montagne (Foto 10), dove l’acqua piovana non riesce a penetrare in profondità nel substrato, ma lo mantiene umido.
Molte specie hanno visto ridurre in maniera drastica il loro numero di esemplari, poiché vittime di raccolta incontrollata da parte di collezionisti, della crescita urbana ed industriale, dello sviluppo agricolo e della deforestazione. Per tale motivo attualmente, tutte le specie di Aloe, unica eccezione fa Aloe vera L. anche detta Aloe barbadensis Mill.,rientrano in Appendice I e Appendice II della CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora), che è una convezione applicata a livello mondiale che regola il commercio di specie animali e vegetali in pericolo, in Italia fatta osservare dal Corpo Forestale dello Stato.
Esigenze e tecnica colturale
La temperatura ideale dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 – 24 °C di giorno e 10 – 14 °C di notte, e comunque non scendere mai al di sotto dei 5 °C.
Come precedentemente accennato a proposito del clima sud-africano, queste piante necessitano di abbondanti irrigazioni nel periodo estivo, mentre occorre ripararle dalle piogge, o evitare le irrigazioni durante il periodo invernale poiché temono i marciumi radicali; prediligono il pieno sole.
Per la coltivazione in contenitore occorre utilizzare un substrato molto leggero, così da evitare un eccessivo ristagno idrico, e povero in sostanza organica; un substrato ideale potrebbe essere composto da una parte di terra franca, una parte di torba ed una parte di materiale drenante, quale argilla espansa, pozzolana o ghiaia vulcanica. Quest’ultima risulta la migliore, in quanto oltre ad apportare importanti sali minerali, avendo una superficie molto frastagliata, quasi tagliente, consente alle radici delle piante di frammentarsi in capillari sempre più piccoli, che costituiscono quella parte della radice capace di assorbire l’acqua.
Importante sarà porre sul fondo del contenitore, per 1/4 o 1/3 della sua altezza, ghiaia vulcanica, argilla espansa, o altro materiale drenante, al fine di creare una buona aerazione ed evitare così l’insorgenza di muffe.
Per la riproduzione sessuata, occorre porre attenzione alla provenienza del seme, perché le ibridazioni tra specie diverse sono abbastanza comuni.
Il substrato per la semina deve essere molto poroso con una buona percentuale di sabbia e materiale drenante, questa si effettua in primavera avanzata, o alla fine dell’inverno in serra calda. I semi germinano piuttosto facilmente in 10 – 15 giorni.
La riproduzione per talea può essere effettuata su piante che producono rami laterali, come ad esempio Aloe arborescens o Aloe ciliaris. Una volta effettuato il taglio, bisogna avere l’accortezza di attendere un paio di giorni prima di interrare il ramo, affinché la parte basale si asciughi, così da evitare l’insorgenza di marciumi dopo averlo messo a dimora. Il substrato da utilizzare è lo stesso di quello per la coltivazione.
Talvolta la parte distale delle radici di alcune specie di Aloe, come ad esempio in Aloe saponaria, possono dare origine a nuovi individui.
Da quanto detto si evince come le esigenze colturali di queste piante, così come delle succulente in generale, le rendono particolarmente apprezzate nella sistemazione degli spazi a verde in ambiente a clima mediterraneo, dove il risparmio idrico diventa fondamentale per la realizzazione di parchi e giardini.
Fonte materiale iconografico
Foto 6, Foto 7 e Foto 10 di plantzafrica.com
Alessandro Lutri, laureato in Scienze e Tecnologie agrarie presso l’Università degli Studi di Catania, ha conseguito la laurea specialistica in Scienze della produzione e difesa dei vegetali all’Università di Pisa. E’ iscritto all’Ordine Dottori Agronomi e Dottori Forestali di Pisa. Curriculum vitae >>>
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