Il trattamento degli effluenti tramite la riduzione del carico d’azoto
Una risposta concreta alla U.E. sull’applicazione della Direttiva Nitrati, tutelando l’ambiente e il comparto zootecnico
di Andrea Ambrosini
Oggi esiste un limite di legge chiaro e non superabile, che è quello dei 170 kg/ha d’azoto d’origine zootecnica distribuibili nelle zone vulnerabili ai nitrati.
Per il comparto zootecnico, non resta quindi che valutare l’opportunità di investire sulla valorizzazione delle matrici agricole, sia in chiave energetica che agronomica, mediante la realizzazione di impianti per la produzione di biogas in abbinamento con impianti per l’abbattimento dell’azoto.
Ridurre l’uso d’azoto da fertilizzanti chimici a favore di quello da effluenti di allevamento porta a una riduzione dei costi aziendali e ambientali, così come la messa a punto di rotazioni e calendari di spandimento ottimizzati e l’adozione di tecniche di distribuzione efficienti.
La gestione degli effluenti e del loro stoccaggio può essere ottimizzata attraverso trattamenti quali la separazione solido-liquido degli effluenti suinicoli, il cui maggior tenore di fosforo s’abbassa nella frazione liquida, mentre la delocalizzazione delle frazioni solide al di fuori delle zone vulnerabili può contribuire a ripristinare i tenori più bassi di sostanza organica dei suoli delle aree cerealicole.
I vincoli ci sono: la limitazione d’uso dei fertilizzanti azotati, i divieti spaziali e temporali nello spandimento, il dimensionamento e la realizzazione delle strutture per lo stoccaggio degli effluenti.
Ma, si può pur sempre ricorrere, soprattutto in caso di surplus di azoto, a strategie di gestione integrata degli effluenti come la digestione anaerobica.
Il digestato, grazie alle modificazioni chimico- biologiche che avvengono durante la digestione anaerobica, può tranquillamente sostituire i fertilizzanti chimici come l’urea; per essere comparabile deve però avere un contenuto di azoto ammoniacale superiore al 70% e un’efficienza di distribuzione superiore al 90%, ed essere distribuito con sistemi a iniezione, fertirrigazione o equivalenti.
Anche sotto il profilo della conservazione della sostanza organica nei suoli, il digestato risulta idoneo a un maggior stoccaggio del carbonio, in misura più efficace rispetto all’effluente di allevamento tal quale e, dal punto di vista sanitario, presenta meno patogeni e meno odori.
Quindi la via da seguire per istituzioni ed imprese è insomma tracciata.
La riduzione del carico d’azoto in campo senza intaccare l’attività produttiva è possibile, a patto però che s’investa sulle migliori tecnologie utilizzabili (meglio ancora se gestite a livello associato o consortile), ossia sulle tecnologie che sono state collaudate dagli agricoltori e che hanno dimostrato, cifre alla mano, che i loro costi d’utilizzo sono compatibili con la sostenibilità dell’azienda agricola.
Tecnologie che vent’anni fa, quando fu emessa la direttiva nitrati, non erano ancora state collaudate e che oggi, grazie agli studi portati avanti da Università ed Enti di ricerca, e all’osservazione sul campo da parte di operatori esperti, suggeriscono che la strada giusta da percorrere è quella dei trattamenti sui reflui zootecnici.
Molti agricoltori lombardi l’hanno già intrapresa, investendo nella filiera agro-energetica con gli impianti di biogas e le tecniche di digestione anaerobica degli effluenti; sottoponendo i reflui a processi di rimozione dell’azoto come quello chimico dello strippaggio o quello biologico “nitro-denitro”; riducendo i volumi con processi a membrane e osmosi; perseguendo una gestione efficiente delle fasi di stoccaggio e distribuzione degli effluenti.
D’altronde, quello della direttiva nitrati rimane un obiettivo nobile: proteggere le nostre acque.
E’ chiaro a tutti che Il principale elemento di criticità, è il delicato rapporto tra la difesa delle acque e la sostenibilità economica dell’attività agricola, soprattutto nelle province della fascia padana, dove sono presenti numerose aziende zootecniche, le stesse che partecipano al primato della Lombardia come prima regione agricola del Paese. (La Lombardia, detiene più del 52% dell’intero patrimonio suinicolo nazionale, oltre 15mila allevamenti bovini e circa 29 milioni di avicoli, con ben 86 impianti di biogas attivi e 126 in corso di realizzazione).
Serve l’impegno di tutto il mondo agricolo e di tutte le istituzioni, anche perché l’inquinamento da azoto non ha solo origine agricola.
Se è vero infatti che la superficie agricola occupa circa il 41% del territorio regionale, e di questo circa l’80% è coperto da colture d’interesse zootecnico, gli ultimi dati elaborati dall’Azienda Regionale per l’Ambiente della Lombardia segnalano che 25 kg/ha anno di azoto immesso nell’ambiente proviene dalla popolazione, coi valori più elevati nei Comuni ad alta densità di urbanizzazione dell’alta pianura, mentre 10 kg/ha anno sono d’origine industriale (con valori massimi nelle aree industriali della provincia di Milano e di Bergamo).
Le zone vulnerabili ai nitrati occupano invece il 60% della Pianura padana, inserendosi nella mappa delle aree protette vincolate alle norme comunitarie e nazionali in materia ambientale che, come la direttiva nitrati, impongono ai piani degli Stati membri e delle singole regioni che possono avere impatti importanti sull’ambiente, procedure come la Valutazione Ambientale Strategica.
Una recente sentenza della Corte di giustizia europea ha introdotto l’obbligo di sottoporre alla Vas anche i Programmi d’azione regionali vigenti per le aziende localizzate in zona vulnerabile.
Su quest’ultima richiesta, si sta concentrando il lavoro di tutti gli Enti (Regione, ERSAF, ARPA ), delle Associazioni di Categoria , degli Ordini e Collegi Professionali.
In un documento comune, si è delimitato l’ambito d’influenza del Programma d’azione regionale rispetto al territorio e alle zone protette come i parchi, i Siti d’importanza comunitaria o le Zone a protezione speciale, andando a descrivere lo stato di fatto di suolo, clima, acqua, atmosfera e del settore zootecnico regionale.
Giuseppe Andrea Ambrosini, è Agrotecnico iscritto al Collegio Interprovinciale degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati della provincia di Milano, Lodi e Monza Brianza. Dal 1993 al 1995 è stato Segretario della Consulta degli Agrotecnici di Milano e componente del Coordinamento Nazionale Agrotecnici. Nel 2007 è stato eletto Consigliere dello stesso Collegio, con delega del Presidente alla Comunicazione Istituzionale e alla Formazione Professionale. E’ funzionario dell’Ambiente – Tecnico Specialista presso la Regione Lombardia. http://www.agraria.org/rivista/curriculumambrosini.htm
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