Valutazioni ambientali ed aspetti giuridici della tutela dell’ambiente
di Alessandro M. Basso
Agronomicamente, le operazioni di messa in coltura del terreno naturale ovvero incolto, coperto da piante erbacee, arbustive od arboree spontanee sono finalizzate alla rimozione dei vari ostacoli che impediscono il normale inizio e lo svolgimento delle coltivazioni agrarie.
Le lavorazioni del terreno possono essere considerate come il presupposto di qualsiasi attività agricola e della produzione agricola: comunemente e tradizionalmente, infatti, si ritiene che le piante si sviluppano meglio e producono maggiormente se il terreno viene “lavorato”.
La finalità principale delle lavorazioni è costituire, ricostituire o conservare nel suolo le migliori condizioni di “abitabilità” per le vegetazioni e per le colture e, segnatamente, modificare la porosità del terreno, sminuzzare il terreno per preparare un buon letto di semina, favorire la penetrazione e l’espansione delle radici e l’infiltrazione dell’acqua nel suolo, ridurre le perdite d’acqua per evaporazione, incorporare nel terreno vari materiali (concimi, composti, residui colturali etc.), controllare lo sviluppo delle erbe infestanti, modificare l’ordine degli strati del profilo e la configurazione superficiale del terreno.
All’uopo, va ricordato che nel terreno si svolgono diversi processi determinanti la crescita delle piante, tra cui la circolazione dell’acqua e l’immagazzinamento, la circolazione dell’aria, l’interramento e la germinazione dei semi, lo sviluppo degli apparati radicali delle piante coltivate, l’evoluzione dello stato della sostanza organica, lo svolgimento dei cicli biogeochimici, dell’azoto, del fosforo, dello zolfo.
I lavori possono essere classificati in: lavori di messa in coltura, preparatori (da eseguire nell’intervallo di tempo tra la raccolta di una coltura e la semina d quella successiva), complementari (sminuzzamento delle zolle, eliminazione delle erbe infestanti, spianamento e regolarizzazione della superficie del terreno) e consecutivi (da svolgere durante lo sviluppo della coltura).
Operazione preparatoria alla prima coltura agraria è il dissodamento mediante il quale, infatti, si rende idoneo il terreno a ricevere le colture: esso è, in genere, preceduto dall’incendio delle erbe durante la stagione secca e consiste in un’aratura a 0,5-0,6 mt circa per impiantare le colture erbacee ed a 0,7-1 mt circa per le specie arboree.
Nei terreni da dissodare, le pietre sono situate spesso in profondità e, pertanto, occorre portarle in superficie, ricorrendo ai ripuntatori od a macchine in grado di ridurre le rocce allo stato di sabbia.
Il disboscamento consiste, invece, nell’eliminazione della copertura vegetale boschiva in modo da destinare il terreno ad una diversa utilizzazione: tale operazione richiede, in genere, l’impiego di grandi mezzi meccanici i quali, però, possono provocare un significativo disturbo al terreno e cagionarne pregiudizio e danno.
Mediante il livellamento, poi, si ottiene una superficie regolare a pendenza uniforme: ciò è utile principalmente per colmare le depressioni ed evitare, quindi, i ristagni d’acqua. Nell’operazione del livellamento, comunque, è necessario ridurre il più possibile gli spostamenti di terra, tenendo conto della natura del suolo e del sottosuolo.
E’ ritenuto, comunque, impossibile empiricamente individuare e valutare con precisione, basandosi sul risultato colturale ottenuto, l’influenza (e la portata) di una determinata lavorazione sullo sviluppo di una determinata coltura.
E’ pacifico, invece e sostanzialmente, che le operazioni di messa in coltura vadano studiate, progettate ed eseguite con prudenza, perizia e diligenza onde evitare di cagionare un danno al terreno ed all’ambiente in generale (art. 2, 9 e 117 Cost., d.lgs n. 152/2006) con le relative conseguenze ed azioni di legge, esperibili dal privato cittadino e dagli Enti pubblici e territoriali.
Uno degli aspetti fondamentali della protezione dell’ambiente è, infatti, la conservazione del suolo, essendo questo il supporto della vita dell’uomo e dell’intero patrimonio naturale.
La questione ambientale è dibattuta, da anni, a livello politico internazionale. Giuridicamente, già nel 1983 venne costituita la Commissione Mondiale per l’ambiente e lo Sviluppo (World Commission on Environment and Development) alla quale si attribuì il compito di analizzare i punti critici dell’interazione uomo-ambiente e proporre utili misure per far fronte alle problematiche di deterioramento ambientale.
Nel 1987, poi, fu pubblicato il rapporto Bruntdland, dal nome del primo ministro norvegese che presiedeva la Commissione, il quale conteneva una serie di principi legali per la protezione ambientale sino a giungere all’istituzione dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (Reg. CEE 7 maggio 1990 n. 1210, come modificato dal Reg. CE 29 aprile 1999 n. 933).
I Paesi firmatari della Convenzione Onu sulla diversità biologica si sono, infine, ritrovati il 18 ottobre 2010 a Nagoya, in Giappone, proprio per discutere sulle soluzioni concrete e sulle strategie da realizzare al fine di proteggere il Pianeta e, quindi, l’uomo.
Avviato con il Summit sulla Terra di Rio de Janeiro nel 1992, questo impegno tra le nazioni non ha sinora raggiunto l’intento principale, quello cioè di rallentare l’estinzione delle specie e la distruzione degli ecosistemi più delicati: nel 2002, a Johannesburg, il Summit mondiale sullo sviluppo sostenibile (durevole) si era, infatti, prefissato come obiettivo “entro il 2010, un’effettiva riduzione del ritmo di perdita della diversità biologica”, da realizzare soprattutto con la lotta alla deforestazione, all’inquinamento e allo sfruttamento eccessivo delle risorse ittiche.
L’incremento demografico e lo sviluppo industriale ed economico, come già teorizzato da Thomas Robert Malthus (1766-1834), rappresentano, potenzialmente, dei fenomeni letali per la sopravvivenza ambientale del Pianeta.
Sotto il profilo naturalistico, grazie all’elaborazione di William Rees e Mathis Wackernagel, il concetto di impronta ecologica viene attualmente adoperato quale misura dell’utilizzo delle risorse naturali da parte dell’uomo.
Si prevede, all’uopo, che entro il 2050 l’impronta crescerà ad un livello tra l’80% ed il 120% oltre l’attuale (Living Planet Report).
Come già sosteneva l’economista M. Friedman (Nobel nel 1976), la Terra ha, però, una capacità di carico limitata ed incompatibile con le richieste di un crescente prelievo di risorse e di assorbimento di rifiuti mediante il meccanismo dei prezzi.
Necessita, quindi, focalizzare l’attenzione sui processi di produzione con la eco-efficienza e sui modelli di consumo: una visione globale dello sviluppo, trascurante le attitudini che un ambiente fisico possiede, contrasta, infatti, con il concetto della conservazione delle risorse.
Segnatamente, in termini di uso del suolo, soltanto se le condizioni agro-ambientali si rivelano favorevoli nel determinare buone rese e minori alterazioni all’ambiente, si ha la possibilità di utilizzare le risorse, percependo altresì un profitto più alto.
Il richiamo all’etica ed alla legalità è, pertanto, necessario ed inevitabile: la vera legalità, comunque, deve fondarsi sulla coscienza e sulla convinzione che il rispetto delle leggi sia utile e necessario alla convivenza democratica ed alla sopravvivenza dell’ambiente.
Sostanzialmente, la questione ambientale pone problemi che riguardano il futuro delle società umane.
Sotto il profilo giuridico, il diritto all’ambiente si configura quale diritto della personalità ed alla vita (Corte Cost. n. 121/1986 e n. 217/87) ovvero come il diritto fondamentale dell’uomo alla preservazione delle condizioni necessarie alla propria salute, in applicazione del generico dovere del “neminem laedere”.
Va considerato che, in termini scientifici, un bene naturale rappresenta una risorsa soltanto quando si creano le condizioni di utilizzo.
In particolare, in ambito giuridico, compensare un danno significa riparare l’effetto negativo e ripristinare lo “status quo ante”.
In ecologia, invece, l’effetto-danno sulla risorsa-natura non è compensabile in quanto l’effetto negativo perdura.
Tra le variecause che hanno portato a tale stato di dissesto ambientale, è possibile annoverare, in particolare, la cementificazione dei letti dei fiumi, la canalizzazione entro tragitti innaturali, l’eccessivo sfruttamento per l’estrazione di ghiaia e di altri materiali per l’edilizia, i disboscamenti, gli insediamenti nelle zone limitrofe ai bacini con abitazioni, complessi industriali e coltivazioni non adatte.
Pertanto, onde evitare la commissione di ulteriori errori e la definitiva involuzione dell’ambiente, si richiede che ciascun soggetto, politico, economico e sociale, adempia al proprio ruolo in modo responsabile e nell’ottica della generalità: necessita, cioè, che ciascun individuo modifichi in modo significativo il proprio stile e tenore di vita.
Ciò implica, prima di tutto, una modifica sostanziale delle culture soggettive e professionali e l’idea della obbligatorietà etica della protezione delle risorse naturali per la salvaguardia del Pianeta e degli esseri viventi.
Bibliografia essenziale
F. BONCIARELLI – U. BONCIARELLI, Agronomia, Bologna, 2001.
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A. M. BASSO; La tutela dell’ambiente ed il governo del territorio, 11-11-2010 in www.fidaf.it.
A. M. BASSO, La tutela dell’ambiente e del territorio – Aspetti agro ecologici e profili giuridici, Foggia, 2007.
L. GIARDINI, Agronomia generale, ambientale e aziendale, Bologna, 2002;
P. PARIS, Elementi di agronomia generale, Milano, 2006.
Alessandro M. Basso – E-mail: alebavv@virgilio.it
Dottore di ricerca interfacoltà Agraria-Giurisprudenza in “uomo-ambiente”, giornalista pubblicista, geometra abilitato, responsabile sezione cultura “uomo-ambiente” della Associazione dei Dottori in Agraria e Forestali della provincia di Foggia, Guida ufficiale del Parco nazionale del Gargano, Avvocato, conciliatore professionista.
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