Fauna delle associazioni a Mangrovie e dell’ambiente ipogeo
di Giuliano Russini
Nel precedente articolo, trattando dei pesci ossei, scrissi che nei successivi sarebbero stati analizzati anche ambienti particolari dal punto di vista ecologico, come ad esempio le zone litorali marine, quelle di marea, i biomi alpini, le acque dolci e lacustri lentiche (stagnanti) come laghi e pozze d’acqua che in parte sono anche ipogee, e le associazioni a Mangrovie (o foreste di Mangrovie) come anche gli ambienti ipogei stessi.
In questo articolo tratteremo le Mangrovie e gli ambienti ipogei, per poi trattare i restanti biotopi intermedi e particolari, detti a limite, sopra elencati; successivamente, ci ritufferemo nel mondo della fauna e flora tropicale-subtropicale, trattando alcuni splendidi uccelli delle isole dei mari del sud, molto particolari, i Paradiseidae.
Dal punto di vista botanico, per Mangrovia viene considerata quella formazione vegetale, o a foresta, costituita da piante a fusto, con grosse radici spesse e legnose, che crescono a livello dei litorali ad acqua bassa, in varie aree tropicali; più specificamente in tutte le fasce che ciclicamente sono soggette all’alternarsi periodico delle maree.
Una caratteristica particolare, è che le radici di queste piante formano un intricato sistema labirintico, all’interno del quale esiste un vero universo faunistico, in una condizione di delicato e fragile equilibrio ecologico, adattativo dinamico. Ad esempio, le radici delle Mangrovie rosse formano una intricata base di sostegno, in cui il fango si accumula e, rialzando il terreno, dà rifugio ad animali scavatori, come granchi e formiche. Il granchio Mictyris longicarpus (così chiamato per la lunghezza delle chele) alza gli occhi peduncolati per vedere lontano; al verificarsi dell’alta marea, corre nelle strutture radicali delle Mangrovie, scava un buco (che si riempe di aria) nel fango ivi presente e vi si rifugia finché non sopraggiunge la bassa marea.
Evolutivamente, le Mangrovie si sono adattate a vivere in ambienti acquatici salmastri, o addirittura con una salinità corrispondente a quella dell’acqua marina. Questo perché, a livello tissulare, sono in grado di modulare la quantità di sale presente nelle acque degli ambienti in cui vivono, espellendone l’eccesso.
Sono caratterizzate da una modalità riproduttiva di tipo anfigonica-amfimittica (mediante gameti: pollini di fiori maschili e femminili) e, sebbene in percentuale minore, anche di tipo agamica, per mezzo della propagazione vegetativa e apomittica; un caso particolare è rappresentato dal genere Rizophora, nel quale si osserva una riproduzione di tipo viviparo.
Nelle piante di tale genere, avremo che si producono plantule, per germinazione dei semi ancora presenti sulla pianta, che ne rappresenta il sistema di riproduzione per propagazione; le plantule, distaccandosi dalla pianta madre, cadono in acqua e si ancorano in punti diversi del corso, dando via alla crescita di una nuova Mangrovia.
Alcuni biologi considerano dal punto di vita tassonomico-botanico le singole piante afferenti ai generi come il Rizophora (alcune specie sono la Rizophora apiculata e la Rizophora mangle), il genere Bruguiera (per esempio Bruguiera exaristata e Bruguiera parviflora), il genere Ceriops (con la Ceriops australis e la Ceriops zippeliana) e infine il genere Kandelia (esempi sono la Kandelia obovata e la Kandelia candel), equivalenti delle associazioni, che in realtà costituiscono; ma ciò non rappresenta comunque un errore.
Le acque presso le foci dei fiumi e tra le Mangrovie sono troppo salate per gli animali di acqua dolce e non abbastanza per quelli marini. Questo ha determinato lo sviluppo di una particolare fauna e flora presso tali biotopi
Nei grandi estuari di fiumi, tributari di vari oceani e mari, le correnti, le maree e i venti mescolano l’acqua melmosa del fiume con l’acqua marina, favorendo la formazione di banchi di sabbia, che vengono ciclicamente coperti e scoperti dall’acqua di mare, con un ritmo che è funzione delle maree e a loro volta del ciclo Lunare.
Il passaggio dall’acqua dolce a quella salata e viceversa è più o meno rapido secondo la pendenza del letto del fiume. In molte regioni del Globo Terracqueo tale fenomeno avviene bruscamente, in altre invece, dove le pianure costiere sono molto estese, come nella costa orientale dell’America del Sud, si possono risentire gli effetti delle maree anche a 150 km dalla foce.
L’acqua salata è più densa e meno ossigenata di quella dolce e, pertanto, quando penetra nei fiumi rimane al disotto di quella fluviale. Ciò permette agli animali marini che vivono vicino al fondo di risalire i corsi d’acqua. Il rimescolamento delle acque obbliga gli animali degli estuari ad adattarsi a salinità diverse (con conseguente effetto sulla loro fisiologia), da quelle che sono per loro abituali, cioè quelli d’acqua dolce a una salinità maggiore, mentre quelli marini a una salinità minore.
Gli animali che vivono a cavallo delle zone di alta e bassa marea sono generalmente di origine marina: essi devono sopportare un eventuale periodo di emersione durante la bassa marea.
Poiché molti di essi sono detrivori-filtratori, hanno la possibilità di trovare il cibo nel fango, solo quando il fondale è ricoperto dall’acqua.
Molti crostacei di grandi dimensioni, in questi ambienti, hanno adattato una ecologia riproduttiva, tale per cui portano via con loro le uova fecondate, invece di affondarle negli strati ghiaiosi-fangosi, per evitare che si disperdano.
La distribuzione biogeografica della fauna negli estuari è determinata dalla salinità dell’acqua, dall’intervallo di tempo di emersione tra le maree e dal tipo di sedimento che caratterizza il letto del fiume.
Gli animali possono scavare tane più durature nel fango che nella sabbia facilmente franabile.
Molte specie degli estuari si nutrono di detriti organici, trascinati dalla corrente, oppure vivono di vegetali, che crescono nelle paludi salmastre, o nelle coste a Mangrovie; queste specie animali filtratorie si nutrono di batteri che prolificano sui vegetali in decomposizione.
Gli animali del fango sono a loro volta il cibo di pesci di origine marina, quali i muggini del fango, e le Passere di mare come la Pleuronectes platessa.
La luce penetra difficilmente nelle acque fangose degli estuari, per cui la visibilità è molto ridotta; per tale ragione, in alcuni pesci della famiglia degli scienidi e dei pomadasidi la vescica gassosa, gonfiandosi e sgonfiandosi, produce suoni, facilitando così la comunicazione fra consimili.
Gli Anableps, o pesci dai quattro occhi, dell’America centrale e meridionale, posseggono occhi molto rilevati (esoftalmia) e posti all’apice del capo, muniti di doppio cristallino, uno per la visione aerea e uno per la visione sott’acqua.
Questi pesci sono vivipari, evitando mediante questa strategia riproduttiva, la distruzione della uova, per effetto della corrente, dell’eccessiva salinità dell’acqua o dell’insabbiamento.
Un altro curioso adattamento è quello del Pesce arciere (Toxotes juculatur) che vive negli estuari in India, Malesia, Isole della Sonda e Filippine; colpisce gli insetti che si posano sui fiori delle piante presenti in riva al fiume, emettendo un getto d’acqua che lancia con la bocca e con il quale può fare centro, a più di un metro di distanza.
Foche e Lamantini rappresentano alcuni mammiferi di questi particolari biotopi; il Lamantino prende sovente il sole in acque basse, questi animali nascono, crescono, si nutrono, si riproducono e dormono sempre in acqua, non toccando mai terra, sono vegetariani e molto pacifici, presentano quattro zampe foggiate a remo; possono raggiungere i 3-4 m di lunghezza per 400-800 kg di peso, sono chiamati volgarmente le “mucche degli estuari”. Sono endemici dell’America centromeridionale e dell’Africa occidentale.
Una specie è il Lamantino africano, chiamato anche Manato africano (Trichechus senegalensis, Link 1795), famiglia Trichechidae. Vive in Africa occidentale, tra il fiume Cuenza a sud e il fiume Angola a nord, entrambi nello stato dell’Angola. Si nutre di piante acquatiche, può vivere anche nelle acque marine costiere e in acque dolci calde con temperatura intorno a 18°C.
Della loro vita si conosce poco, i biologi ne hanno studiato i costumi solo in parte, data la difficoltà che si ha nel rintracciarli.
Sembra che siano piuttosto solitari, che le femmine raggiungono la maturità sessuale intorno al terzo anno di vita, mentre i maschi, forse, intorno al quarto. I parti generalmente sono monogemini (singoli), raramente si sono osservati piccoli nuclei di 5-6 individui, costituiti da uno-due maschi, le femmine e i cuccioli.
Nelle Americhe centromeridionali, la specie più caratteristica è il Trichechus manatus dei Caraibi, anche esso membro della famiglia dei Trichechidae, molto simile morfologicamente a quello africano. Chiamato anche lui Lamantino, risulta un po’ più conosciuto nei suoi costumi e abitudini di vita.
La lunghezza di un adulto è di circa 3 metri e il peso è in genere compreso tra 400 e 600 kg, ma sono stati osservati esemplari pesanti fino a 1.500 kg.
Le femmine sono più grandi dei maschi, le gravidanze per entrambi le specie durano circa 12 mesi e i parti sono sempre singoli; lo sgravamento avviene in circostanze piuttosto misteriose, poiché le femmine si isolano e non è stato quasi mai possibile osservarle, sé non molto approssimativamente, filmandone il parto, ma con risultati non brillanti; probabilmente come per l’Hippopotamus amphibius, tutto il ciclo della gravidanza, cioè la nascita, l’allattamento, lo svezzamento, avvengono sott’acqua.
Per i biologi della International Union for Control of Nature (IUCN), entrambe le specie sono vulnerabili e non è ancora chiaro il loro limite massimo di longevità, che si suppone oscilli tra i 30 e i 50 anni di vita, elemento necessario per comprenderne la demografia.
Una specie prossima al Lamantino o Manato, che accenniamo per dovere di documentazione, è il Dugongo (Dugong dugon), membro però della famiglia dei Sirenii, vive principalmente in mare; frequenta soprattutto le coste dell’Africa orientale e dei mari dell’Oceania e dell’Indocina. Differisce dal Lamantino per un apparato boccale con grosse labbra e, come i cetacei, fissa l’O2 non nell’emoglobina del sangue ma nella mioglobina muscolare, il che gli evita embolie durante la risalita dalle profondità.
Si nutre, brucandole, di piante acquatiche, e praterie di alghe.
Anche questo animale, per la IUCN è a rischio di estinzione, a causa della spietata caccia a cui è stato soggetto (per le sue carni e il grasso), durante il XIX e XX secolo.
Mitologicamente, durante l’epoca degli antichi Greci (periodo nel quale vivevano anche nel mar Mediterraneo), venivano scambiati per le “Sirene”, creature fantastiche della mitologia, come si evidenzia in alcuni documenti dell’epoca; lo stesso anche in documenti dell’antico Giappone e dell’antica Cina. Nel contempo, sia per gli antichi Greci, che per gli antichi Romani, tali animali come i delfini (Delphinus delphis e Tursiops truncatus), erano considerati sacri, perché rappresentavano, per i primi una forma nella quale il dio Proteus (il pastore del mare, che poteva assumere le sembianze di qualsiasi abitante, animale e vegetale, di questo ambiente) si mostrava a loro, mentre per i secondi erano gli ambasciatori marini del dio Nettuno.
Da qui, i biologi zoologi hanno derivato il nome della famiglia di appartenenza, i Sirenii.
Le foreste di Mangrovie, lungo le coste tropicali
Lungo molte coste dei mari tropicali si trovano foreste di mangrovie sempreverdi, in cui vivono sia animali di terraferma, sia animali di acque dolci, sia animali di acqua salata.
Questo ambiente è per lo più uniforme e si trova essenzialmente in due grandi aree, cioè in Atlantico (Africa occidentale e in America orientale) e nella regione indopacifica (dal Mar Rosso, all’Australia), quindi, in termini zoogeografici, nella regione “Afrotropicale” e “Neartica”, come in quella “Orientale, ecozona Indomalese” e “Australasica”.
In queste grosse aree biogeografiche vivono animali e piante simili e tali habitat assumono, quindi, la categoria di “biomi”, cioè di ambienti presenti in areali biogeografici lontani ma dalle stesse caratteristiche faunistiche e floristiche.
Il tipico ambiente a mangrovie è caldo-umido, abitato da molti insetti come ditteri (mosche e zanzare ematofaghe), artropodi e miriapodi, come altri articolati che si riproducono nelle acque stagnanti, tra i tronchi di alberi in decomposizione.
Tra le radici delle mangrovie, spesse, grandi e immerse in acqua, ancorate al fondo fluviale e di confine con il mare, vivono alcuni crostacei come il Balanus amphrite e delle ostriche spinose epifite come la Crassostraea cucullata; tra i rami, invece, si trovano dei gasteropodi.
Il fango, nella zona di marea, ospita animali che tollerano l’acqua di mare o che hanno modo, mediante un particolare adattamento fisiologico, di avere una riserva di aria atmosferica, che gli permette vita esterna all’acqua, durante la fase di bassa marea.
Spesso sono sacche aerifere peribranchiali orizzontali (simili a quelle degli uccelli, o di alcune specie di rettili), come quelle presenti in un simpatico pesce, membro dei Perciformi (Perciformes), appartenente al genere Perioftalmo (Periopthalmus), come il Periophtalmus argentilineatus e il Periophtalmus barbarus, ne esistono numerose altre specie.
Alcune formiche e granchi, durante l’alta marea, si ritirano in una tana scavata nel fango e rimangono rifugiati all’interno di tasche d’aria finché il mare si ritira.
Tra le Mangrovie vivono anche granchi che si insediano in zone ben delimitate: quelli molto grandi, del genere Cardisoma, vivono al limite superiore dell’alta marea; più in basso si trovano i granchi del genere Sesarma, che scavano nel fango.
In riva al mare sono presenti altri generi e specie. Altri granchi vivono in fessure lungo le rive come i decapodi anomuri, ad esempio la Thalassina anamola, i quali fanno profondi buchi nei terreni argillosi sommersi. Gli uccelli d’acqua, meno numerosi che negli estuari, costruiscono il nido tra i rami più alti delle mangrovie: vi sono alcuni aironi e un abitante classico è l’Ibis scarlatto (Eudocimus ruber) è il più frequente e appariscente membro degli Aves presente in questi biomi.
Questo splendido uccello dalla livrea rossa (il cui cromatismo, come per i fenicotteri, viene determinato dall’assunzione nella dieta, di particolari molluschi e crostacei che forniscono il pigmento rosso), fino gli anni ’50 del secolo scorso, viveva in tutte le associazioni a Mangrovie sudamericane. Aveva una densità molto alta, soprattutto lungo le coste della Guiana. Oggi, sfortunatamente, lo si ritrova solamente nell’isola di Trinidad.
Altri trampolieri che nidificano in tali associazioni vegetali, rimangono appollaiati sugli alberi durante l’alta marea.
Tra le specie di uccelli che si nutrono di pesci, e che sostano su queste associazioni vegetali, ci sono cormorani, aquile pescatrici, aninghe (Pelecaniformes, un tipico esempio è l’Anhinga anhinga, detto anche Aninga americana e Aninga serpente); questi uccelli assomigliando molto ai cormorani, per questo in passato venivano classificati dai biologi con questi ultimi. Altri uccelli sono i martin pescatori e falchi pescatori.
Nelle associazioni di Mangrovie dell’Asia sudorientale si trovano le specie di martin pescatori che si nutrono anche di insetti e crostacei; tra le Mangrovie del Borneo vivono anche due particolari passeracei che vi nidificano: Pachycephala cinerea, Zosterops chloris.
Quando la marea sale, gli uccelli acquatici presenti in tali biomi si raggruppano su banchi di fango asciutto, dopo essersi nutriti dei molluschi, pesci e crostacei, che lì sono stati portati dall’alta marea, proseguono, anche durante la bassa marea. Si nutrono, infatti, di molluschi e vermi, che durante l’alta marea si sono sepolti nel fango; gli uccelli, affondando il becco in questo elemento, trovano una ricca fonte di cibo.
Tra questi uccelli troviamo i Piovanelli (Calidris canutus), i Chiurli (Numenius arquata), beccacce d’acqua, beccacce di mare e più verso la riva, Pettegole (Totanus totanus); altre specie di trampolieri sono la Calidra (Crocthia alba), il Corriere (Caradrius hiaticula), la Pittima (Limosa limosa).
C’è da dire, che il tipo di preda che trovano è funzione della lunghezza del becco, neanche il lungo becco del Chiurlo (Numenius arquata), ad esempio, può afferrare l’Arenicola, verme (Arenicola) la quale si seppellisce fino a 25-30 cm di profondità, se non quando questa si avvicina alla superficie.
Altri esempi di prede sono la Nereide, verme (Nereis), la Locca, mollusco bivalve (Scrobicularia), l’Anfipode, crostaceo (Corophium), il Cuore, mollusco bivalve (Cardium), la Idrobia, mollusco gasteropode (Hydrobia) e la Tellina, mollusco bivalve (Maconia).
La maggior parte degli anfibi evita l’acqua salmastra; non così Rana cancrivora, che vive sulle coste a mangrovie dell’Indonesia e si nutre di granchi.
I mammiferi terrestri sono rari tra le mangrovie, generalmente al tramonto e, in Africa, la scimmia della razza Cerchopitecus mitis albogularis si nutre di granchi.
Nelle mangrovie dell’Asia sudorientale, ci sono scimmie vegetariane e, in quelle australiane, colonie di pipistrelli chiamati “volpe volanti”.
I pesci che vivono presso le mangrovie includono muggini, torponi, nonché il Lobotes surinamensis, i cui piccoli avannotti si lasciano trascinare dalle correnti come foglie morte.
Come accennato prima, tra le mangrovie dell’Oceano Indiano, Pacifico e dell’Africa occidentale, vivono i perioftalmi, perciformi appartenenti al gruppo dei “gobidi”; questi pesci hanno occhi globosi esoftalmici collocati nella parte più alta del capo, per mezzo dei quali vedono a pelo d’acqua e pinne pettorali, che permettono insieme ai muscoli caudali lo spostamento sul fango; una particolare specie, oltre quelle citate prima è il Periophtalmus chrysospilos, questi pesci riescono ad arrampicarsi sulle radici delle mangrovie all’arrivo dell’alta marea. All’asciutto mantengono sia acqua che aria atmosferica (le quali si misceleranno), nelle cavità branchiali e peribranchiali, permettendogli di vivere nell’ambiente subaereo. Durante la stagione degli accoppiamenti, il maschio produce una parata nuziale per la femmina, drizzando la pinna dorsale.
Mangrovia, Rizophora apiculata – Ibis scarlatto, Eudocimus ruber (foto Giuliano Russini)
Ambienti ipogei (caverne o grotte)
Realmente pochi ambienti acquatici sono privi di vita animale. Persino gli oscuri laghi sotterranei (ipogei), le sorgenti minerali calde e l’acqua che riempe le cavità di alberi e le corone di grandi fiori tropicali, sono abitate da una fauna.
Ogni nuova raccolta d’ acqua finisce sempre per essere colonizzata da piante e animali, questo è un principio della Biologia così forte, come la Natura stessa.
Cavità che possono formarsi occasionalmente e che all’inizio sono prive di vita animale, vengono ben presto popolate da animaletti e crostacei come anche insetti. Questa comparsa così rapida da sembrare improvvisa e che ovviamente sottostà a precisi cicli biologici e vitali delle specie presenti, fece sorgere nei biologi (zoologi e botanici) del XVI secolo, mancando delle adeguate conoscenze e strumenti come il microscopio, l’idea di “Generazione spontanea della vita”, poi confutata dai biologi Italiani Francesco Redi e Lazzaro Spallanzani.
Questi organismi nuotano o volano verso le loro nuove sedi, colonizzandole, ove in seguito, mediante accidentale trasporto, possono arrivare anche le loro uova.
Cambiamenti del clima e altri agenti modificatori hanno costretto alcuni animali a vivere in habitat insoliti, isolati e cosiddetti a limite. Ad esempio, le sabbie umide, i pozzi, le grotte, i laghi sotterranei e diversi altri.
Queste specie, sia animali che vegetali, che nel loro isolamento fisico, più che geografico, non hanno subito gli effetti dei cambiamenti climatici, geologico-orogenetici della superficie terrestre, né altre modificazioni dell’ambiente, costituiscono la cosiddetta “fauna o flora Relitta”.
Altri animali, nello specifico, hanno sviluppato adattamenti morfofunzionali, che li rendono abili a vivere, in habitat estremamente inospitali (detta “fauna Estremofila”), quali le sorgenti minerali calde, o il laghi salati, come il Mar Morto, il lago più basso del mondo sulla superficie terrestre, in quanto si trova a 417 metri sotto il livello del mare.
Gli animali che compongono le faune (in verità non ricchissime) presenti in tali habitat, comprendono protozoi, nematodi, rotiferi, acari, crostacei, anellidi.
Tutti insieme formano quella che dai biologi zoologi viene chiamata “fauna Interstiziale”, così denominata perché costituita da organismi animali che vivono tra gli interstizi dei granelli di sabbia. Alcuni ecologi animali ritengono che siano organismi di origine marina, che durante vari processi idrogeologici, hanno raggiunto le acque interne o continentali, attraverso il suolo.
Le acque sotterranee o ipogee più note sono quelle delle caverne.
Un vero santuario a tale proposito, per i biologi che studiano la fauna e flora ipogea e i meccanismi di adattamento ecologico relativi, sono le caverne giganti, che si estendono sotto il Parco Nazionale di Ozark, in Arkansas, USA. Qui vi sono depositi calcarei che adornano sistemi di grotte che si estendono per vari chilometri, a 60 m sotto terra.
Durante milioni di anni, l’acqua piovana, filtrando attraverso le falde e le rocce sovrastanti epigee, ha sciolto il calcare e formato grotte e fiumi sotterranei, popolati da una fauna fortemente specializzata.
Nessuna luce riesce a raggiungere queste gelide acque e, in sua assenza, nessuna pianta verde vi può proliferare e prosperare; gli animali ivi presenti devono nutrirsi di funghi (che sono chemoautotrofi, quindi non dipendenti dalla luce), di batteri o di vegetali in decomposizione, che vengono trascinati dai fiumi sotterranei o introdotti da animali cavernicoli, come i pipistrelli, mammiferi che hanno la tendenza ad uscire all’esterno, durante la notte, per procacciarsi il nutrimento, costituito da insetti, artropodi, frutta etc., mentre riposano il giorno in tali ambienti.
Varie specie di pesci passano tutta la loro vita nella profondità delle acque ipogee, che spesso formano un sistema chiuso; probabilmente, i loro antenati vi giunsero quando il quadro idrogeologico era tale per cui erano facilmente raggiungibili da corsi d’acqua dolce epigei.
Su tutti questi pesci, le condizioni ambientali difficili di questi habitat hanno determinato modificazioni strutturali funzionali adattative: la vista è ecologicamente inutile in ambienti oscuri, quindi è andata viva via nel tempo a degradarsi (e con essa gli occhi), al punto che vi sono specie completamente cieche, come il Caracide del Messico (Anoptichthys jordani), 7-8 cm di lunghezza, che ha occhi rudimentali, ricoperti di pelle.
Caracide del Messico – Salamandra cieca del Texas
(Grande Enciclopedia della Natura, Carrington, Garzanti)
Anche la pigmentazione e il cromatismo della pelle, che gioca un ruolo fondamentale per le parate nuziali, come per i meccanismi di mimetismo Bathesiano, nell’ambiente subaereo, sono venuti a essere inutili, per cui si hanno anfibi, crostacei, pesci di colorazione rosa pallida o completamente bianchi (detti volgarmente albini, anche se non è del tutto corretto definirli così, poiché le cause dell’albinismo sono diverse e legate a fenomeni di fenotipo recessivo).
Ad esempio, anfibi cavernicoli come quello Europeo (Proteus anguinos) o la Salamandra cieca del Texas (Typhlomolge rathbuni), presentano queste caratteristiche. La Typhlomolge rathbuni, da adulta, ha le palpebre saldate; la sua larva che vive in superficie, ha occhi normali e vede bene, poi
regrediscono tornando in questo ambiente; il motivo del perché si spostano sottoterra non è chiaro, forse istinto geneticamente programmato.
Alcuni ambliopsidi, famiglia di pesci dell’America del Nord come lo Typhlichthys subterraneus, mostrano tutta la gamma di queste modificazioni e adattamenti ecologici. Sono ciechi, individuano le prede mediante le vibrazioni dell’acqua, hanno scarsa pigmentazione. Un altro esempio è il Pesce cieco del Kentucky (Amblyopsis spelaea), cavernicolo, cieco e depigmentato.
La maggior parte dei pesci della famiglia dei brotulidi vive nelle profondità oceaniche, ma i due generi Lucifuga e Stygicola sono stati rinvenuti dai biologi zoologi nei fiumi sotterranei di Cuba, mentre una specie vive nelle grotte messicane.
In Africa come nelle Americhe, vi sono nei corsi d’acqua ipogei, anche barbi e pesci gatti ciechi cavernicoli.
Le acque delle grotte sono anche popolate da invertebrati, quali vermi (sia piatti che cilindrici), acari, crostacei. La maggioranza di questi sono ciechi e incolori come gli anfibi e i pesci di questi ambienti. Esempio è l’Isopode (Cicolanides texensi), il quale sembra un oniscoideo decolorato, risulta anche cieco.
Un esempio di crostaceo ancora è il gamberetto cieco del Texas, il quale cerca il cibo nelle acque ipogee per mezzo delle chele. Spesso le particelle alimentari di cui si nutre, vengono portate dai chirotteri (pipistrelli), di ritorno dalle loro spedizioni notturne esterne.
La diversità della Fauna, come della Flora nei due tipi di ambienti qui discussi, ci dimostra la plasticità ecologica che si evidenzia nella diversità zoologica-botanica, che solo minimamente in parte è stata studiata finora in tali contesti.
Inoltre, ci dimostra la plasticità fenotipica e di adattamento ecologico delle specie animali e vegetali con biologia più o meno complessa, e più o meno evoluti temporalmente, dimostrando che la Biodiversità è somma prima di tutto, della Biodiversità degli adattamenti e delle reti adattative ecologiche che nascono in presenza di un numero elevatissimo di specie animali e vegetali, le quali sono la base su cui poggia, la stabilità dinamica di tutto il pianeta Terra.
Quindi, la perdita di una specie vegetale o animale per estinzione, come ad esempio un piccolo crostaceo isopode che, senza dubbio, risulta meno eclatante per il profano, che non l’estinzione di una specie di balena o elefante, biologicamente parlando però, non è meno grave.
Anche se non si osservano riflessi negativi immediati sull’equilibrio globale del pianeta come si possono avere, ad esempio, mediante una Pandemia virale, non significa che non si avranno, anzi, sicuramente si verificheranno. Il tutto dipende da un percorso storico, che è necessario affinché gli effetti negativi, si eviscerino, dall’estinzione (anche solo di una piccola specie di crostaceo, nota solo ai biologi) di una specie animale o vegetale in poi, con conseguenze negative per tutto il sistema ecologico globale del pianeta; è tutto solamente questione di tempo!
Per questo si dovrebbe stimolare una etica ecologica, nei termini anche di una eguaglianza di valori per tutte le specie animali e vegetali, poiché tutti siamo (compreso l’essere umano) solo una parte coinvolta nei processi che formano le proprietà emergenti di un pianeta, per mezzo delle quali esso “Vive”!
Giuliano Russini è laureato in Scienze Biologiche all’Università La Sapienza di Roma, con specializzazione in botanica e zoologia; successivamente ha conseguito in UK e Francia la specializzazione in etnobiogeografia. Lavora come curatore al Giardino Esotico di Hendaye, Francia. (e-mail: russinigiuliano@yahoo.it).
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