Comodato terreno agricolo
Sull’azione negatoria servitutis
Lo studio ricostruisce gli strumenti processuali previsti a tutela di colui che neghi l’esistenza di altrui diritti, anche di natura domenicale, sulle proprie cose e beni.
di Ivano Cimatti
Il caso
Si costituiva Sempronio Axx, il quale preliminarmente eccepiva l’incompetenza del Tribunale in sede ordinaria, per essere competente a conoscere la controversia la Sezione Agraria dell’Ufficio, e nel merito contestava l’addebito di non aver conservato adeguatamente il cespite offertogli, adducendo di contro come egli si fosse sempre impegnato a custodire lo stesso con assoluta diligenza.
Trattazione
La decisione giudiziale in esame, accogliendo la domanda di Caio, merita ampio consenso ed offre l’opportunità di una sommaria riflessione a proposito della dibattuta problematica della c.d. azione negatoria servitutis. Occorre innanzitutto rammentare che ex art. 1027 c.c., la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo “fondo servente” per l’utilità di un altro fondo “fondo dominante, appartenente a diverso proprietario. È essenziale, pertanto, questa relazione “rapporto di servizio” tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello servente. La costituzione delle servitù può avvenire in due modi: o coattivamente, per imposizione della legge, “servitù coattive” o per volontà dell’uomo, “servitù volontarie: art. 1031 c.c. Nel caso in specie, però, non si riscontrava alcun tipo di costituzione di servitù, né precedente, ne anteriore all’inizio della contesa de quo: la servitù, infatti, non risultava in alcun modo, all’infuori del cancello apposto a ridosso delle due proprietà e neppure risultava sui mappali dei terreni interessati. Va però rilevato che ai sensi dell’art. 1061 c.c. è possibile acquistare una servitù apparente, oltre che per destinatio pater familias, per usucapione, cioè, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora, di altri requisiti. Nel caso di specie, Sempronio, pur in difetto di opere chiaramente visibili all’infuori del cancello, posto fra le due proprietà, asseriva d’aver pacificamente attraversato il fondo di Caio per venti anni.
Nozione di servitù apparente – La fattispecie concreta richiama l’istituto giuridico della servitù apparente. La quale, per communis opinio, è quella servitù che presenta opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio. Nel caso di specie si sarebbe potuto invocare l’esistenza di una servitù apparente a causa dell’esistenza di un cancello al termine di una strada esistente sul fondo, in quanto l’apparenza della servitù, senza la quale non è possibile la costituzione della servitù per usucapione e destinazione del padre di famiglia, si identifica nella presenza di opere visibili e permanenti che, per la loro struttura e consistenza, inequivocamente denuncino il peso imposto su un fondo a favore dell’altro. Comunque, anche nell’ipotesi in cui si dovesse ritenere costituita per usucapione una servitù di passaggio, sarebbe applicabile al caso di specie l’art. 1055 c.c. dalla lettura del quale scaturisce che “se il passaggio cessa di essere necessario, può essere soppresso in qualsiasi tempo”. Si deve, però, rilevare che per considerare estinta la servitù è necessaria una sentenza giudiziale: “il venir meno dell’interclusione del fondo dominante, cioè della situazione che aveva determinato la costituzione della servitù coattiva di passaggio, non comporta l’estinzione di questa in modo automatico, neanche nel caso in cui la servitù sia stata costituita convenzionalmente, ma richiede una sentenza costitutiva emessa su domanda del soggetto interessato”. L’azione da esperire, è l’actio negatoria servitutis, essendo il fondo di parte attrice gravato da una servitù non necessaria; potendosi ben configurare una situazione per cui il convenuto, realizzi un passaggio per l’accesso al proprio fondo da tutt’altra parte, essendo quest’ultima ipotesi resa possibile dalla contiguità con una stradina demaniale.
Natura dell’actio nagatoria servitutis – L’azione negatoria, come è noto, tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore, e, dunque, non solo all’accertamento della inesistenza della pretesa servitù ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dal vicino, al fine di ottenere la libertà del fondo. L’azione prevista dall’art. 949 c.c. ha natura reale e si caratterizza per il fatto che essa, diretta a difendere la proprietà da pretese avanzate da terzi di esercitare sulla cosa un diritto reale limitato, trova il legittimato passivo nel proprietario del fondo pretesamente dominante ed ha come sua specifica finalità l’accertamento negativo di diritti vantati da altri sul bene. In particolare, l’art. 949 c.c. contiene l’indicazione di tre rimedi distinti. Il primo consiste nel mero accertamento della libertà del fondo e della insussistenza dei diritti reali da altri affermati. Il secondo consiste nella inibitoria a proseguire le molestie e turbative svolta sulla base del diritto vantato la cui insussistenza sia stata accertata dal giudice. Il terzo consiste nel risarcimento del danno per le molestie e le turbative pregresse, nonché, eventualmente, nella riduzione in pristino. La rimessione in pristino è garantita all’attore, pur nel silenzio del testo normativo, giusta l’applicazione analogica dei principi in tema di servitù (per tutti, si v., BIONDI A., Le servitù, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1979, 658). Lo schema è comune a tutte le azioni poste a presidio delle situazioni di appartenenza e sostanzialmente prevede che il giudice una volta accertato che il diritto vantato dal convenuto non esiste, discipline, se del caso, il passato ed il futuro della sua condotta attraverso il rimedio risarcitorio e quello inibitorio ed è appena il caso di allegare che laddove la condotta antigiuridica si sia concretizzata in un opus la sanzione sarà normalmente quella ripristinatoria. In linea generale, poiché, con la negatoria, il dominus nega il diritto avversario; essa comprende ogni pretesa di diritto reale che s’affacci sulla cosa altrui. Deduncendosi che l’azione negatoria è data dalla legge per fare dichiarare la proprietà libera non soltanto da diritti di servitù, ma anche da ogni altro diritto reale che ne menomi la libertà e la pienezza (cfr., Cass., 23-3-1965, n. 473). Si può dunque affermare che la principale funzione dell’azione negatoria è proprio negare qualsiasi diritto, anche dominicale, affermato dal terzo sulla cosa dell’attore. La finalità primaria dell’istituto è quindi ottenere un accertamento ed, eventualmente, successivamente, il diritto ad impedire ulteriori molestie od ostacoli al libero godimento del bene, potendo, addirittura, pretendere il risarcimento dei danni. Va qualificata come actio negatoria servitutis non solo la domanda diretta all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù, ma anche quella volta all’eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo, mediante rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, o comunque della situazione antigiuridica posta in essere, al fine di ottenere la libertà del fondo (Trib. Benevento, 20-9-2007).
L’azione di mero accertamento – In primo comma dell’art. 949 c.c. configura l’azione negatoria come azione di mero accertamento della libertà del fondo. In tal senso è orientata la giurisprudenza secondo la quale l’actio negatoria servitutis, è un’azione di accertamento negativo ed, in quanto tale, l’interesse ad esperirla sorge allorché il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l’esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo. Ne deriva che detta azione in tanto é promovibile, in quanto si sia creata una situazione che implichi l’esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell’attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l’accertamento della inesistenza di quella servitù (cfr. Cass., 3-11-2000, n. 14348). Curiosamente è stato deciso che nel caso di azione negatoria, il giudice deve o accertare l’assenza di qualsiasi diritto reale sul bene in contestazione, con tutte le consequenziali pronunzie ex art. 949, comma 2, c.c., oppure rigettare la domanda, ma in ogni caso non può pronunziarsi in positivo sui diritti di ciascuno sul bene (App. Genova, 19-7-2005).
Al riguardo, l’azione può assumere una duplice veste: azione possessoria, se sia diretta al ristabilimento di un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà, ovvero di azione petitoria, se intesa al ristabilimento di un’attività esercitata sulla base del diritto di proprietà. Ovviamente, in questo caso, l’accertamento del diritto è la prima finalità perseguita dall’attore.
L’inibitoria – Il secondo rimedio indicato nell’art. 949 c.c. consiste nell’inibitoria Subito dopo l’accertamento dell’inesistenza di un diritto vantato da terzi sul proprio bene, solitamente, chi propone l’actio negatoria servitutis chiede ovviamente la cessazione della molestia. Se la molestia è causata da una condotta, l’accoglimento dell’istanza porterà all’imposizione al convenuto di astenersi da tale condotta ma, se è causata dalla modifica del bene (dell’attore o del convenuto) tramite opere, allora ne deriva inevitabilmente la richiesta di rimessione in pristino. Qualora invece la molestia non richieda il supporto di un opus l’inibitoria propriamente detta dovrà essere concessa ogni volta che l’atteggiamento assunto e gli atti compiuti dal convenuto facciano ragionevolmente presagire che egli continuerà a svolgere un’attività lesiva della proprietà dell’attore.
Il risarcimento – Il terzo rimedio indicato dall’art. 949 c.c. consiste nel risarcimento del danno per le molestie e le turbative arrecate prima dell’emanazione della sentenza. L’azione, comunque, nella pratica ha lo scopo di far cessare la turbativa e questo è il suo fine caratteristico, il che non sempre è stato esattamente visto dalla giurisprudenza, che specialmente in tema delle immissioni, ha confuso la negatoria con l’azione di danni. Ma, in quanto il danno consegue necessariamente alla turbativa, pare logico estendere l’azione, come ora fa espressamente la legge, alla condanna al risarcimento del danno. La condanna però non può contenere l’imposizione di obblighi positivi di fare, come ad esempio quello di costruire un’opera sul fondo del vicino allo scopo di eliminare la servitù. Tuttavia, deve essere chiaro che in tema di negatoria servitutis, il risarcimento del danno, in aggiunta al ristabilimento della violata situazione, non è dovuto ove non risulti, neppure per indizi, che dall’illegittimo esercizio della servitù sia derivato un concreto pregiudizio patrimoniale all’altra parte (cfr., Trib. Bari, 14-5-2008). Ed invero, per costante orientamento giurisprudenziale Qualora, unitamente ad un’actio negatoria servitutis, per il ripristino dello stato dei luoghi, l’attore proponga altresì un’azione di risarcimento del danno (come nel caso di specie), quest’ultima pretesa resta chiaramente soggetta al disposto del comma secondo dell’art. 2058 c.c., secondo cui il giudice può disporre che il risarcimento abbia luogo per equivalente, quando il risarcimento in forma specifica è eccessivamente oneroso per il debitore (Cass., 22-2-1992, n. 2255 in Giur. it., 1992, I, 2148).
Causa petendi e petitum – Con riguardo specifico all’actio negatoria servitutis, una delle più frequenti ipotesi di actio negatoria, la Cassazione ha evidenziato che essa è un’azione di accertamento negativo e, in quanto tale, l’interesse ad esperirla sorge allorché il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l’esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo. Ne deriva che detta azione in tanto é promovibile, in quanto si sia creata una situazione che implichi l’esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell’attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l’accertamento della inesistenza di quella servitù (cfr. Cass., 3-11-2000, n. 14348). Come si vedrà infra, la peculiarità del petitum dell’azione negatoria consente agilmente di differenziare la stessa dall’azione di rivendica. L’accertamento del diritto di proprietà in capo all’attore, in quest’ultima; la verifica della libertà dello stesso diritto dalle pretese di terzi, nell’altra. Sicuramente non esiste rapporto di pregiudizialità in senso proprio tra l’azione di rivendicazione della proprietà di un bene e quella negatoria, intesa ad escludere la sussistenza di diritti vantati da altri sullo stesso bene. Infatti il primo giudizio, che ha un ambito più ampio del secondo, includendolo ed assorbendolo, esige una dimostrazione piena della proprietà da parte di chi se ne afferma titolare, che, invece, non è imposta con pari rigore a chi esercita un’actio negatoria servitutis, sicché, per decidere relativamente a quest’ultima non è necessario attendere l’esito dell’altro giudizio, essendo sufficienti elementi di prova desumibili anche da semplici indizi (Cass., 7-4-2000, n. 4349). Sul punto, la giurisprudenza si è più volte pronunciata, evidenziando che l’actio negatoria non soccorre il proprietario del bene nell’ipotesi in cui, ancorché si verifichi una molestia o un turbamento del possesso o godimento del bene medesimo, la turbativa non si sostanzi in una pretesa di diritto sulla cosa, essendo apprestati in tal caso a favore del proprietario altri rimedi di carattere essenzialmente personale ( Cass., 29-5-2001, n. 7277, in Riv. giur. edil., 2001, I, 821). Conseguentemente, l’esperibilità dell’azione negatoria, squisitamente reale, risulta dipendente dal tipo di affermazioni ex adverso avanzate; poiché qualora le molestie e le turbative siano inferte semplicemente non iure si dovrà esperire la normale azione aquiliana, di natura ovviamente personale. Si ripete che l’azione negatoria, prevista dall’art. 949 c.c., consente al proprietario di far accertare in sede giudiziale dei diritti affermati da altri, quando si ha motivo di temerne pregiudizio. Essa, dunque, è finalizzata a difendere la proprietà da pretese, avanzate da terzi, relative all’esercizio sul bene di un diritto reale limitato. Non rispondente alla funzione della vindicatio libertatis è, quindi, la difesa del dominus da turbative di fatto, svincolate da pretese di diritto sulla cosa. In tal caso, il proprietario può esperire azioni di natura personale, quali quella di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica e quella di manutenzione, quando l’attore sia possessore del bene (cfr., Cass., 9-2-1995, n. 1460). Egli agisce per far si che il suo possesso – già in atto – non sia disturbato e, tramite esso, egli possa esercitare le facoltà tipiche del suo diritto reale; per questo all’attore, in negatoria non può essere dal convenuto utilmente opposta l’esistenza di un possesso del bene, bensì l’esistenza di un diritto reale sul medesimo bene (Cass., 27-10-1975, n. 3588).
Interesse ad agire – L’interesse ad agire in negatoria servitutis sorge quando venga posta in essere dal terzo (come nel caso di specie) un’attività implicante in concreto l’esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, mentre non può essere proposta l’azione al fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa (Cass., 28-8-2002, n. 12607). E quindi, con specifico riferimento alla fattispecie concreta, Caio contestava che Sempronio si fosse qualificato, sia pure in riconvenzionale, titolare del diritto reale minore e cioè di servitù di passaggio. Da ciò consegue che l’actio negatoria servitutis è un’azione di accertamento negativo e, in quanto tale, lo interesse ad esperirla sorge allorché il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l’esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo. Ne deriva che detta azione in tanto è promovibile, in quanto si sia creata una situazione che implichi l’esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell’attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l’accertamento della inesistenza di quella servitù. Ulteriore corollario è che non può essere promossa un’actio negatoria servitutis per ottenere una declaratoria generica di libertà di un fondo indipendentemente da concreti attentati
Imprescrittibilità dell’azione – Come ogni altra azione a tutela della proprietà, l’azione negatoria non si prescrive, perché non si estingue per non uso il diritto di proprietà, salvo il caso di acquisto della servitù per usucapione da parte di terzi. L’actio negatoria servitutis è azione imprescrittibile, con la conseguenza che il proprietario del preteso fondo servente (nel caso di specie Caio) può in qualsiasi momento, e fatti salvi gli effetti dell’intervenuta usucapione, chiedere che venga accertata, per mancanza del titolo o del decorso del termine dell’usucapione, l’inesistenza della servitù. Ora, in relazione alla fattispecie concreta, indubitabilmente sussistevano, tutti i presupposti di legge per la valida esperibilità della detta azione; che si rivelava utile ed indispensabile perché diretta non solo all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù (di passaggio), ma anche al conseguimento della cessazione della situazione antigiuridica, al fine di ottenere la libertà del fondo (e cioè, la chiusura del cancello). In tal modo legittimando l’attore (cioè Caio) a richiedere non solo l’accertamento dell’inesistenza dell’altrui diritto ma anche la rimozione di un cancello posto sul proprio fondo, oggi non più necessario.
Legittimazione attiva e passiva – L’azione negatoria è concessa al proprietario ovvero il singolo comunista o condomino (cfr., BARBERO A., La Legittimazione ad agire in confessoria ed in negatoria, Milano, 1950, 77). Non sono ammessi ad esperire la negatoria, ovviamente, né il possessore e neppure il semplice detentore, mentre è facoltizzato l’enfiteuta (cfr., Cass., 12-8-2002, n. 12169). Chiaramente la giurisprudenza, attesta che nelle azioni reali, di negatoria servitutis, la legittimazione processuale attiva spetta esclusivamente ai proprietari, e ai titolari di un diritto reale di godimento sul fondo servente (fra le ultime, Cass., 12-8-2002, n. 12169). Stante la natura e l’oggetto della azione, diretta a salvaguardare da molestie e turbative reali, assai problematico è individuare chi siano i legittimati passivi dell’azione negatoria. Questo perché, come abbiamo detto, la giurisprudenza condiziona l’esperibilità dell’azione negatoria alla pretesa in capo al molestatore convenuto di esercitare un diritto reale. In mancanza di ciò, come si è visto, il proprietario vittima delle altrui molestie, è “armato” con l’azione personale di danni. Atteso che, sino alla difesa in giudizio del convenuto, l’attore praticamente ignora quale possa essere la ragione dell’azione del secondo, contestualmente vi può essere la non remota possibilità che la controversia, instaurata nei confronti dell’autore materiale delle molestie, laddove questo si difenda adducendo di aver esercitato un diritto altrui, potrebbe essere integrata, dal lato passivo, nei confronti del terzo chiamato in causa dal “molestore”. Il quale, a quel punto, diventerebbe legittimato passivo di una semplice azione di risarcimento del danno. Quantunque, il molestatore reale ed il terzo, semplice utilizzatore del fondo attoreo, possano risultare litisconsorti passivi per l’azione di risarcimento dei danni. Ed invero, il principio secondo il quale unico legittimato passivo rispetto ad un’actio negatoria servitutis è il proprietario del fondo (asseritamente) dominante trova il suo limite nell’ipotesi in cui il terzo costruttore sia stato chiamato in giudizio per il risarcimento dei danni, essendo legittimamente predicabile la di lui (co)legittimazione passiva in ordine a tale, concorrente azione risarcitoria (Cass., 26-1-2005, n. 1553). In tal senso, è stato così decretato che Il convenuto che abbia espressamente escluso di rivendicare per sé qualsivoglia diritto reale e che non sia condomino, ma abbia esercitato il passaggio in nome del fratello condomino, è carente di legittimazione passiva all’actio negatoria servitutis (App. Genova, 20-5-2006). Insomma, le implicazioni di siffatta ambulatorietà, discendenti dal carattere reale dell’azione, si riflettono soprattutto sulla identificazione del soggetto legittimato passivamente che si individua in relazione al tempo della domanda e non a quello della perpetrazione delle turbative (cfr., Cass., 17-1-2003, n. 637), salvo il caso in cui si agisca per il risarcimento del danno allorché il carattere personale delle richieste avanzate impone di agire contro l’autore di questo. Recentemente è stato statuito che nell’actio negatoria servitutis, qualora si eccepisca il difetto di legittimazione passiva, sull’assunto che le opere in cui si concretizzerebbero le contestate servitù, preesistevano all’acquisto del terreno, la legittimazione attiva e passiva compete a coloro che sono titolari delle posizioni giuridiche dominicali, rispettivamente, svantaggiate o avvantaggiate dalla servitù (App. Napoli, 24-9-2008).
Prova – Vivamente discusso è stato in passato il tema della prova nella negatoria. La maggioranza degli autori ritiene che l’attore debba provare soltanto la sua proprietà, ma una parte della dottrina reputa che egli debba anche provare la mancanza di diritto del convenuto e quindi l’illiceità della turbativa. Un’opinione intermedia richiede questa prova qualora il convenuto sia in possesso della cosa, ma l’ipotesi è estrema e comunque la tesi non pare fondata (cfr., GAMBARO A., Confessoria e negatoria, in Enc. giur., IV, Roma, 1988, 3). Poiché l’esperimento della negatoria presuppone il possesso del bene in capo a chi la propone e poiché il suo oggetto non è la titolarità del fondo, ma la sua libertà, la giurisprudenza statuisce costantemente che l’onere probatorio gravante sull’attore è diverso ed assai meno rigoroso di quello gravante su chi agisce in rivendica. Sul contenuto poi della prova relativa alla qualità di proprietario, la Cassazione ha evidenziato che in tema di azione negatoria poiché la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce non ha l’onere di dare la prova rigorosa come nell’azione di rivendica essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche con presunzioni, di possedere il fondo in forza di un titolo valido, mentre al convenuto incombe l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere l’attività lamentata come lesiva dall’attore (Cass., 23-1-2007, n. 1409). In altre parole, il proprietario che con l’actio negatoria servitutis chiede l’accertamento della libertà del suo fondo deve solo provare il suo diritto di proprietà nei confronti del convenuto, cui spetta, invece, provare il diritto reale da lui vantato (cfr. Cass., 16-1-1996, n. 301). Qualora il convenuto in un giudizio di “negatoria servitutis” deduca l’esistenza della servitù contestatagli, per averla acquistata per titolo o per usucapione o in qualsiasi altro modo, al solo scopo di impedire l’accoglimento della domanda negatoria, si resta nei limiti dell’eccezione riconvenzionale, laddove se lo stesso convenuto invochi il riconoscimento dell’esistenza della servitù al fine di ottenere un provvedimento a suo favore, finendo con ciò per esercitare un’actio confessoria servitutis, vengono travalicati i limiti della difesa e ci si trova, perciò, davanti ad una vera e propria domanda riconvenzionale, con tutte le conseguenza derivanti dalla differente disciplina delle due ipotesi in relazione al diverso regime processuale di decadenze e preclusioni. Per questa ragione, la decisione del Tribunale appare corretta, ed invero, in punto di prova a Caio spettava esclusivamente di dimostrare la piena proprietà del proprio fondo assertivamente libero da gravami, pesi e servitù, mentre Sempronio avrebbe dovuto offrire la prova tranquillizzante della titolarità del diritto reale esercitato e non solo di un possesso qualificato e pacifico del bene, vigendo in subiecta materia la presunzione iuris tantum della libertà del ben da ogni vincolo.
Trascrivibilità dell’azione negatoria servitutis – La domanda con la quale l’attore fa valere, in proprio favore, i limiti che, ex lege, vincolano le facoltà ricomprese nell’altrui diritto di proprietà denunziandone la violazione, non tende, infatti, ad uno sterile accertamento del regime vincolistico e della sua violazione, bensì – attraverso la contestazione del fatto posto in essere dal convenuto come illegittimamente impositivo sul fondo dell’attore d’un peso non consentito in ragione della sussistenza dei limiti legali e la consequenziale richiesta di condanna all’eliminazione di quanto realizzato o d’inibitoria di quanto si vorrebbe realizzare in violazione degli stessi – tende a salvaguardare il diritto di proprietà dell’attore dalla costituzione d’una servitù avente ad oggetto una situazione di fatto realizzata in contrasto con altra tutelata dal limite violato e, quindi, lesiva del corrispondente diritto al mantenimento della detta situazione qua ante ed al suo ripristino, onde va qualificata come negatoria servitutis e rientra, pertanto, nella previsione dell’art. 2653 c.c., n. 1. In altri termini, quando il proprietario di un immobile denuncia la violazione di un limite legale da parte del vicino, mira non già a far accertare il diritto di proprietà o l’esistenza della tutela vincolistica di essa ma a far valere l’inesistenza di iura in re a carico della detta proprietà suscettibili di dar luogo a una servitù che esoneri il convenuto dal rispetto di tale limite legale, cioè esercita una negatoria servitutis (cfr. già Cass., 7-7-1979 n. 3902). In tale prospettiva, l’automaticità dei limiti legali e la loro reciprocità, con la possibilità da parte di qualsiasi terzo di conoscerli indipendentemente da uno specifico rapporto negoziale, è del tutto irrilevante, in quanto, come già sopra evidenziato, l’oggetto del giudizio non è l’astratta esistenza del limite legale che si assume violato, ma l’inesistenza di una servitù che tale mancato rispetto giustifichi (Cass. S.U., 12-6-2006, n. 13523 in Giur. it., 2007, 935).
Le turbative e le molestie – Nonostante la apparente chiarezza del testo normativo, vivace è il dibattito sul contenuto precettivo della locuzione turbative e molestie. La giurisprudenza (si v., Cass., 29-5-2001, n. 7277…cit.) richiede che la turbativa si sostanzi in una precisa pretesa (del terzo) sulla cosa dell’attore. In linea generale, la negatoria è estesa a qualsiasi usurpazione venga vantata sulla cosa, purché si concretizzi in una pretesa di diritto. La molestia o molestia di fatto, quindi, pur potendo dar luogo eventualmente alla tutela possessoria, non potrebbe giustificare l’azione negatoria, dovendosi trattare di un diritto, quello posto a fondamento dell’azione del convenuto, di natura ed indole reale. In giurisprudenza il concetto è così sintetizzato che la turbativa o molestia deve essere, per così dire, qualificata, nel senso che non è sufficiente la violazione materiale della sfera giuridica altrui, se non accompagnata dalla pretese di un diritto reale sulla cosa, in difetto di questo presupposto, l’azione ha carattere essenzialmente personale (cfr., Cass., 1-12-1961, n. 2759, in Giur. it., 1962, I, 1, 3). Infine, ulteriore presupposto dell’actio negatoria servitutis è che la turbativa e/o molestia debba necessariamente interessare il fondo dell’attore. In forza di questo principio è stato così statuito che In ipotesi di alterazioni dei luoghi compiute dal titolare di una servitù prediale e tali da concretare vere e proprie turbative o molestie in pregiudizio al proprietario del fondo servente, la tutela di questi non si esercita mediante l’actio negatoria servitutis, ma facendo ricorso ai rimedi di cui all’art. 1063 c.c. o all’art. 1067 c.c., o sussistendone le condizioni, ai rimedi di natura possessoria (Cass., 15-12-2003, n. 19182).
Conclusioni
In forza delle considerazioni fin qui esposte si ritiene, dunque, di poter concludere lo studio attestando la piena ed assoluta correttezza ed esattezza della decisione in esame. Ed invero, da una parte, il convenuto, non avendo allegato processualmente la sussistenza di un valido titolo di acquisito della servitù di passaggio piuttosto che l’ininterrotto e pacifico godimento dell’altrui bene per oltre venti anni, non poteva pretendere che l’ordinamento riconoscesse Lui il diritto, giuridicamente tutelabile, di passare sul fondo finitimo. Dall’altra parte, l’attore, avendo tollerato che il prefato vicino utilizzasse liberamente il proprio fondo, non aveva neppure titolo e diritto per pretendere alcun risarcimento di danni ipoteticamente sofferti.
Punti rilevanti
Natura reale dell’azione negatoria
Imprescrittibilità dell’azione negatoria servitutis
Causa petendi dell’actio negatoria servitutis: sussistenza del diritto di proprietà
Petitum: accertamento inesistenza diritti altrui, cessazione molestia, risarcimento e riduzione in pristino
Trascribilità dell’azione negatoria servitutis
Punti controversi
Legittimazione passiva nell’azione negatoria
Onere della prova nell’azione negatoria
Contenuto del diritto al risarcimento nell’azione negatoria
Trascrivibilità dell’azione negatoria servitutis
Interesse ad agire nell’azione negatoria
Possibilità di richiedere la riduzione in pristino
Riferimenti normativi
Art. 949 c.c. Azione negatoria
Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivato di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può anche chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno.
Giurisprudenza rilevante
Interesse ad agire
Cass. 28-8-2002, n. 12607
L’interesse ad agire in negatoria servitutis sorge quando venga posta in essere dal terzo un’attività implicante in concreto l’esercizio, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, mentre non può essere proposta l’azione al fine di far dichiarare una generica libertà del fondo, indipendentemente da concreti attentati alla stessa.
Natura reale dell’azione negatoria
Cass., 5-8-2005, n. 16495
In tema di azioni a difesa della proprietà, costituisce “actio negatoria servitutis” non solo la domanda diretta all’accertamento dell’inesistenza della pretesa servitù ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà dal medesimo realizzate, allo scopo di ottenere la effettiva libertà del fondo, così da impedire che il potere di fatto del terzo corrispondente all’esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l’acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui.
Trascrivibilità dell’actio negatoria servitutis
Cass. S.U., 12-6-2006, n. 13523
La domanda giudiziale intesa a far valere le violazioni ai limiti legali della proprietà, in quanto sussumibile nell’ambito dell'”actio negatoria servitutis”, deve ritenersi soggetta alla formalità della trascrizione, ai sensi dell’art. 2653 c.c., n. 1), affinché l’attore possa utilmente opporre il giudicato anche al terzo acquirente dal convenuto laddove la domanda medesima non sia circoscritta all’ottenimento del risarcimento del danno ma volta al ripristino della situazione preesistente.
Ivano Cimatti, laureato in Giurisprudenza presso la II Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, è inscritto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e note a sentenze su diversi giornali e riviste. Curriculum vitae >>>
Impianti termici alimentati ad energia solare Il testo affronta le tematiche riguardanti l’utilizzo dell’energia solare, ponendo particolare attenzione al dimensionamento ed installazione degli impianti per la produzione di acqua calda sanitaria e per il riscaldamento. |