Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Gian­ni Bal­za­ret­ti


Gli es­se­ri umani non sem­pre rie­sco­no a in­stau­ra­re un rap­por­to gra­ti­fi­can­te o per­lo­me­no ra­zio­na­le con gli ani­ma­li. Trat­tan­do­si poi di ani­ma­li di di­men­sio­ni ri­le­van­ti, quali ad esem­pio i ca­val­li, le dif­fi­col­tà di­ven­ta­no a volte in­sor­mon­ta­bi­li.
In ge­ne­re le azio­ni e le rea­zio­ni degli uo­mi­ni adul­ti non sono co­mu­ni a quel­le molto più istin­ti­ve pro­prie degli altri ani­ma­li. Sfrut­tan­do però l’os­ser­va­zio­ne e il ra­gio­na­men­to è pos­si­bi­le cer­ca­re di mi­glio­ra­re que­sta si­tua­zio­ne di con­vi­ven­za met­ten­do­ci ‘dalla loro parte’.
Pro­via­mo a pen­sa­re e agire di­men­ti­can­do il no­stro modo di ve­de­re: cer­chia­mo di ca­pi­re il punto di vista del ca­val­lo pren­den­do­ne in esame il com­por­ta­men­to.


La ‘cau­sa-ef­fet­to’


Le azio­ni del ca­val­lo sono il ri­sul­ta­to di un in­sie­me com­ples­so di ne­ces­si­tà fi­si­che pri­ma­rie (fame, sete, fa­ti­ca…) e stati emo­ti­vi (paura, ansia, sod­di­sfa­zio­ne…).


Per ot­te­ne­re le giu­ste rea­zio­ni e am­pli­fi­ca­re le ca­pa­ci­tà di ap­pren­di­men­to è im­por­tan­te riu­sci­re a for­ni­re i giu­sti sti­mo­li.


I giusti stimoli al cavallo
(foto http://​www.​the​equi​nein​depe​nden​t.​com/)


L’uo­mo rie­sce in que­sto modo ad ot­te­ne­re dal ca­val­lo rea­zio­ni con­trol­la­te e vo­lu­te come ri­spo­sta a de­ter­mi­na­ti sti­mo­li. Lo sti­mo­lo in­ne­sca la vo­lon­tà di fare, o me­glio, una rea­zio­ne per sod­di­sfa­re un de­si­de­rio.
Pro­ba­bil­men­te tutti co­lo­ro che ne hanno avuta la pos­si­bi­li­tà hanno già ap­pli­ca­to e uti­liz­za­to que­ste rea­zio­ni di ‘cau­sa-ef­fet­to’: ad esem­pio, sti­mo­lan­do­ne la go­lo­si­tà, per av­vi­ci­nar­si ad un ca­val­lo e in­stau­ra­re un buon rap­por­to, una zol­let­ta di zuc­che­ro rap­pre­sen­ta la forma più co­mu­ne.


Ca­val­li li­be­ri in na­tu­ra


Pren­dia­mo in esame il com­por­ta­men­to dei ca­val­li li­be­ri in na­tu­ra e non con­trol­la­ti di­ret­ta­men­te dal­l’uo­mo per os­ser­va­re quali sono i mec­ca­ni­smi che re­go­la­no il loro istin­to. Il ca­val­lo in li­ber­tà vive in bran­co. Al suo in­ter­no trova si­cu­rez­za e pro­te­zio­ne con­tro pre­da­to­ri e in­tru­si e s’in­stau­ra e si man­tie­ne un equi­li­brio so­cia­le ben de­fi­ni­to. Nel grup­po, il ca­val­lo ha la ne­ces­si­tà di as­su­me­re un ruolo ge­rar­chi­co cor­ri­spon­den­te alla sua in­do­le e alla sua per­so­na­li­tà o ‘ani­ma­li­tà’.
Il ca­val­lo do­mi­nan­te o esu­be­ran­te si con­qui­sta un ruolo in cima alla scala so­cia­le men­tre un sog­get­to re­mis­si­vo o pigro è re­le­ga­to in fondo.
Ogni ca­val­lo co­mun­que, al­l’in­ter­no del grup­po, ha bi­so­gno di sen­tir­si ac­cet­ta­to.
La stes­sa ap­pro­va­zio­ne è cer­ca­ta con l’uo­mo e quin­di con la per­so­na che con lui in­te­ra­gi­sce mag­gior­men­te (uomo di scu­de­ria, ad­de­stra­to­re, ca­va­lie­re).
Se os­ser­via­mo un pu­le­dro spa­ven­ta­to, no­te­re­mo come cer­chi pro­te­zio­ne nel grup­po per sen­tir­si in un luogo si­cu­ro. E un ca­val­lo-ge­ni­to­re tran­quil­liz­za il suo pu­le­dro stro­fi­nan­do­si per con­fer­ma­re un con­tat­to fi­si­co ras­si­cu­ran­te. Molto spes­so lo stes­so tipo di ag­gre­ga­zio­ne si sta­bi­li­sce tra un gio­va­ne ca­val­lo e l’uo­mo. Il pu­le­dro che non vive in bran­co con­si­de­ra l’uo­mo il suo ri­fe­ri­men­to ge­rar­chi­co più pros­si­mo (la sua mamma) e quin­di il suo ri­fu­gio. Te­nia­mo pre­sen­te que­sto tipo di con­di­zio­ne per in­ter­pre­ta­re al­cu­ni suoi at­teg­gia­men­ti quan­do in si­tua­zio­ni di ‘pe­ri­co­lo’ o di ansia il pu­le­dro tende fi­si­ca­men­te ad av­vi­ci­nar­si al­l’uo­mo (… a volte anche trop­po!) per cer­ca­re si­cu­rez­za.
Tutti i ca­val­li hanno bi­so­gno della com­pa­gnia di altri si­mi­li.
Que­sto bi­so­gno di af­fet­to de­ri­va pro­ba­bil­men­te dalla paura ata­vi­ca di ri­ma­ne­re da soli e quin­di non avere così la forza del bran­co a di­spo­si­zio­ne come mezzo di di­fe­sa e pro­te­zio­ne. La pro­fon­da ne­ces­si­tà di ag­gre­ga­zio­ne può ri­ve­lar­si un mezzo ef­fi­ca­ce che pos­sia­mo usare in fase di ad­de­stra­men­to per­ché il ca­val­lo, in si­tua­zio­ni nuove, ten­de­rà a com­por­tar­si come gli altri suoi si­mi­li. Que­sta emu­la­zio­ne, al con­tra­rio, sarà dan­no­sa quan­do avre­mo ne­ces­si­tà di un com­por­ta­men­to in­di­vi­dua­le di­stin­to.


Uomo come capo bran­co


Il ca­va­lie­re-ad­de­stra­to­re deve porsi come lea­der e non la­scia­re che sia il ca­val­lo a de­ci­de­re e do­mi­nar­lo. Quan­do il ca­va­lie­re dà un’in­di­ca­zio­ne al ca­val­lo, que­sta deve es­se­re im­me­dia­ta­men­te ese­gui­ta. Non bi­so­gna es­se­re bru­ta­li ma fermi nelle de­ci­sio­ni per non crear­gli con­fu­sio­ne.
Se il ca­val­lo non ob­be­di­sce o s’in­ner­vo­si­sce, spes­so è la ri­chie­sta del ca­va­lie­re-ad­de­stra­to­re che non è posta in modo chia­ro o non ha te­nu­to conto di una pro­gres­sio­ne lo­gi­ca di ap­pren­di­men­to.
Ad esem­pio non si può pre­ten­de­re dal ca­val­lo di ese­gui­re un salto im­pe­gna­ti­vo se non sono mai stati fatti nean­che eser­ci­zi pre­li­mi­na­ri sulle bar­rie­re a terra e sui ca­val­let­ti…
Il ca­rat­te­re e l’a­bi­li­tà della per­so­na che si oc­cu­pa di un ca­val­lo pos­so­no quin­di con­di­zio­nar­ne la for­ma­zio­ne e la suc­ces­si­va pre­sta­zio­ne. Un at­teg­gia­men­to trop­po in­dul­gen­te nei con­fron­ti di un gio­va­ne ani­ma­le può, in­fat­ti, di­se­du­ca­re l’in­di­vi­duo e ren­der­lo in­trat­ta­bi­le o dif­fi­ci­le per­ché ri­tie­ne che tutto sia per­mes­so.
Al con­tra­rio, un’ec­ces­si­va se­ve­ri­tà lo può ter­ro­riz­za­re al punto da ren­der­lo men­tal­men­te in­sta­bi­le.
Dare una fru­sta­ta o mal­me­nar­lo equi­va­le a un morso o a un cal­cio tra ca­val­li e un gesto bru­ta­le nei suoi con­fron­ti è pa­ra­go­na­bi­le a una of­fe­sa o un li­ti­gio tra due ca­val­li: dob­bia­mo con­trol­la­re molto op­por­tu­na­men­te le no­stre rea­zio­ni!
Ogni azio­ne quin­di deve es­se­re ese­gui­ta con fer­mez­za e bi­so­gna ri­cor­re­re alla pu­ni­zio­ne solo se è ve­ra­men­te ne­ces­sa­rio.
Non bi­so­gna as­so­lu­ta­men­te pu­ni­re un ca­val­lo per­ché ha paura. Il ri­cor­do in­con­scio di una si­tua­zio­ne di ti­mo­re viene ‘ar­chi­via­to in me­mo­ria’ e rie­mer­ge in con­di­zio­ni ana­lo­ghe. In que­sti casi è me­glio usare la calma e ri­sta­bi­li­re, tra­mi­te il tono ras­si­cu­ran­te della voce, la sua tran­quil­li­tà.


La calma è una cosa molto importante
(foto http://​www.​normglenn.​com/)


Un ca­val­lo ‘do­ci­le’ (cioè ar­ren­de­vo­le, con­di­scen­den­te), al­me­no al­l’i­ni­zio, sarà più fa­ci­le da ad­de­stra­re per­ché già per in­do­le più sot­to­mes­so e ub­bi­dien­te.
Al con­tra­rio, un ca­val­lo con una per­so­na­li­tà spic­ca­ta, ad esem­pio da capo bran­co, cer­che­rà im­me­dia­ta­men­te di in­di­vi­dua­re i punti de­bo­li del suo ca­va­lie­re per ap­pro­fit­ta­re della si­tua­zio­ne e af­fer­ma­re la sua po­si­zio­ne do­mi­nan­te. In que­sto caso per l’uo­mo è im­por­tan­te es­se­re sen­si­bi­le e de­li­ca­to ma as­so­lu­ta­men­te ri­so­lu­to per ri­sta­bi­li­re la cor­ret­ta ge­rar­chia.


Ri­spet­ta­re le at­ti­tu­di­ni


E’ molto im­por­tan­te ri­spet­ta­re le at­ti­tu­di­ni del ca­val­lo.
Ca­pi­re che cosa com­pie con fa­ci­li­tà e na­tu­ra­lez­za è ne­ces­sa­rio per non con­tra­sta­re la sua in­do­le ma am­pli­fi­ca­re in­ve­ce la sua po­ten­zia­le ca­pa­ci­tà.
Come a volte è im­pro­dut­ti­vo o ad­di­rit­tu­ra dan­no­so ac­ca­nir­si per tra­sfor­ma­re una per­so­na senza pas­sio­ne né orec­chio mu­si­ca­le in un bravo mu­si­ci­sta, così è fa­ci­le spre­ca­re un’e­nor­me quan­ti­tà di ener­gia per cer­ca­re di ‘tra­sfor­ma­re’ ca­val­li che non amano sal­ta­re in ca­val­li sal­ta­to­ri, ca­val­li pigri o lin­fa­ti­ci in ca­val­li da dres­sa­ge. Un esper­to uomo di ca­val­li deve in­tui­re e sco­pri­re qual è il ta­len­to na­tu­ra­le del suo ca­val­lo: potrà così ar­ri­va­re a por­tar­lo al­l’u­so più pro­prio e tro­va­re una re­ci­pro­ca e pro­dut­ti­va col­la­bo­ra­zio­ne.


La noia ne­mi­ca della cu­rio­si­tà


Prima di ini­zia­re qual­sia­si la­vo­ro di ad­de­stra­men­to il ca­val­lo deve in­nan­zi­tut­to avere buona forma fi­si­ca al­tri­men­ti sarà de­mo­ra­liz­za­to o de­mo­ti­va­to e in­ca­pa­ce di la­vo­ra­re bene.
Il primo obiet­ti­vo da porsi è di far ac­qui­si­re ‘buone abi­tu­di­ni’ in modo che di­ven­ti­no spon­ta­nee le azio­ni cor­ret­te e allo stes­so tempo to­glie­re i vizi o la sua pro­pen­sio­ne a non ub­bi­di­re. E’ pra­ti­ca­men­te im­pos­si­bi­le ob­bli­ga­re con la forza un ca­val­lo a ese­gui­re le azio­ni ri­chie­ste. E’ in­ve­ce pos­si­bi­le eser­ci­tar­lo e con­vin­cer­lo con co­stan­za e pa­zien­za ad ap­pren­de­re gra­dual­men­te. Me­glio cer­ca­re di ini­zia­re il la­vo­ro pre­sen­tan­do­lo come un gioco: il ca­val­lo è un ani­ma­le ti­mi­do ma di na­tu­ra molto cu­rio­so. Sfrut­tan­do que­sto suo in­te­res­se verso cose nuove pos­sia­mo as­so­cia­re gli eser­ci­zi a qual­co­sa di pia­ce­vo­le e man­te­ne­re viva la sua at­ten­zio­ne. La noia del ri­pe­te­re il la­vo­ro allo stes­so modo e con la stes­sa se­quen­za può to­glie­re alla cu­rio­si­tà lo sti­mo­lo a par­te­ci­pa­re at­ti­va­men­te al la­vo­ro. E’ vero che il ca­val­lo im­pa­ra tra­mi­te ri­pe­ti­zio­ne e abi­tu­di­ne ma que­sto non si­gni­fi­ca es­se­re pe­dan­ti o no­io­si. Sia per il ca­val­lo sia per il ca­va­lie­re l’e­ser­ci­zio deve es­se­re me­to­di­co ma ricco di va­ria­zio­ni. Pro­via­mo a cam­bia­re le com­bi­na­zio­ni degli eser­ci­zi mo­di­fi­can­do la suc­ces­sio­ne, la du­ra­ta o il luogo di la­vo­ro o spo­stia­mo­ci di po­si­zio­ne anche nello stes­so campo di la­vo­ro per crea­re con­di­zio­ni di­ver­si­fi­ca­te.


La me­mo­ria e gli sti­mo­li


Il la­vo­ro di ad­de­stra­men­to è pro­fi­cuo quan­do è pro­vo­ca­to da ‘sti­mo­li po­si­ti­vi’ vale a dire dal de­si­de­rio di es­se­re ri­com­pen­sa­to per aver ese­gui­to cor­ret­ta­men­te un eser­ci­zio e sen­tir­si di con­se­guen­za sod­di­sfat­to. Il ca­val­lo, sen­ten­do­si gra­ti­fi­ca­to (nota bene NON VI­ZIA­TO), cer­che­rà di fare sfor­zi sem­pre mag­gio­ri per ri­ce­ve­re ap­pro­va­zio­ni e ri­com­pen­se. Una stra­da op­po­sta pre­ten­de ub­bi­dien­za at­tra­ver­so la pu­ni­zio­ne e quin­di il ca­val­lo ar­ri­va alla sot­to­mis­sio­ne solo per evi­ta­re il do­lo­re.
Que­sto me­to­do che uti­liz­za pre­va­len­te­men­te quel­li che chia­ma­no ‘sti­mo­li ne­ga­ti­vi’ to­glie la vo­lon­tà al la­vo­ro e la pro­ba­bi­le con­se­guen­za sarà di la­vo­ra­re per star lon­ta­no dalle pu­ni­zio­ni e nulla di più. Pos­sia­mo chia­ma­re po­si­ti­vo uno sti­mo­lo che è pro­vo­ca­to di­ret­ta­men­te da un bi­so­gno: un ca­val­lo ha sete e ha quin­di come obiet­ti­vo l’ac­qua per ap­pa­ga­re il suo de­si­de­rio sen­ten­do­si poi gra­ti­fi­ca­to quan­do la trova. Uno sti­mo­lo ne­ga­ti­vo nasce in­ve­ce da uno stato d’an­sia: il ca­val­lo è spa­ven­ta­to da qual­co­sa e cerca la sal­vez­za nella fuga per al­lon­ta­nar­si dal pe­ri­co­lo e cer­ca­re pro­te­zio­ne; tende quin­di a ‘av­vi­ci­nar­si ‘ a uno sti­mo­lo po­si­ti­vo e a ‘al­lon­ta­nar­si ‘ da uno ne­ga­ti­vo. Il ca­val­lo è si­cu­ra­men­te ani­ma­le di gran­de me­mo­ria. Ciò che viene im­pa­ra­to con il me­to­do che ab­bia­mo chia­ma­to degli ‘obiet­ti­vi po­si­ti­vi’, viene più fa­cil­men­te di­men­ti­ca­to se non viene con­ti­nua­men­te eser­ci­ta­to. Le espe­rien­ze ne­ga­ti­ve ri­man­go­no in­ve­ce in­de­le­bi­li nella me­mo­ria di­ven­tan­do anche causa di quel­le paure e ti­mo­ri che il ca­val­lo non di­men­ti­ca e si tra­sci­na per tutta la sua vita. Di­ven­ta dun­que im­por­tan­tis­si­mo che il ca­val­lo sap­pia per che cosa è pre­mia­to e per che cosa è pu­ni­to. Que­sto fatto in ap­pa­ren­za sem­bra scon­ta­to ma in pra­ti­ca non è fa­ci­le en­tra­re nella sua lo­gi­ca e far ca­pi­re in modo di­stin­to le si­tua­zio­ni. Ve­dia­mo un esem­pio clas­si­co: un ca­val­lo si li­be­ra del pro­prio ca­va­lie­re but­tan­do­lo a terra. Non ha più peso da tra­spor­ta­re e potrà cor­re­re o fer­mar­si li­be­ra­men­te. Si è gra­ti­fi­ca­to, dal suo punto di vista, per avere preso au­to­no­ma­men­te un’i­ni­zia­ti­va non ri­chie­sta!
Se il ca­va­lie­re, quan­do riu­sci­rà a ri­pren­der­lo, rea­gi­rà pu­nen­do­lo, il ca­val­lo as­so­ce­rà la pu­ni­zio­ne al­l’es­ser­si fatto ri­pren­de­re e non al­l’a­ver di­sar­cio­na­to il ca­va­lie­re.
Que­sto è un esem­pio evi­den­te di come un ca­val­lo possa es­se­re ri­com­pen­sa­to per aver fatto qual­co­sa di sba­glia­to (di­sar­cio­na­to il ca­va­lie­re) e pu­ni­to per aver fatto una cosa giu­sta (la­scia­to­si ri­pren­de­re). E’ ovvio che il ca­va­lie­re in­ve­ce non debba tra­sfor­ma­re la pu­ni­zio­ne in ri­com­pen­sa e vi­ce­ver­sa.
Se du­ran­te un ga­lop­po il ca­val­lo rea­gi­sce con un’im­prov­vi­sa… sgrop­pa­ta… un at­teg­gia­men­to ce­de­vo­le o di non-rim­pro­ve­ro equi­va­le al per­mes­so di con­ti­nua­re la sua di­fe­sa. Ancor peg­gio se il ca­va­lie­re si ras­se­gna met­ten­do­lo al passo o fa­cen­do­lo ri­po­sa­re: que­sto sarà in­ter­pre­ta­to come una ri­com­pen­sa. E’ quin­di di­se­du­ca­ti­vo la­sciar per­de­re o non agire at­ti­va­men­te du­ran­te una si­tua­zio­ne si­mi­le. E’ fa­ci­le spre­ca­re in poche azio­ni sba­glia­te, i ri­sul­ta­ti ot­te­nu­ti in pre­ce­den­za con molto la­vo­ro. Allo stes­so modo, quan­do un ca­val­lo, sal­tan­do un osta­co­lo, su­bi­sce un ’ti­ro­ne’ di re­di­ni alla bocca da un ca­va­lie­re con un as­set­to pre­ca­rio, sarà in­ter­pre­ta­to dal­l’a­ni­ma­le come una pu­ni­zio­ne ri­ce­vu­ta per aver fatto il suo do­ve­re (com­piu­to il salto), e quin­di ot­te­nu­ta una pu­ni­zio­ne in­giu­sta per ciò che gli era stato chie­sto. Que­sto ge­ne­ra con­fu­sio­ne!
Ri­sul­ta evi­den­te che la per­so­na che ad­de­stra un ca­val­lo ha un ruolo molto im­por­tan­te: deve dare sem­pre in­di­ca­zio­ni chia­re e fa­cil­men­te in­ter­pre­ta­bi­li dal ca­val­lo per ar­ri­va­re al suo scopo.


Com­por­ta­men­to ge­ne­ra­liz­za­to


I ca­val­li hanno rea­zio­ni co­mu­ni a si­tua­zio­ni de­ter­mi­na­te. Se un ca­val­lo è fe­ro­ce­men­te per­cos­so con una fru­sta, in se­gui­to (anche dopo molti anni) alla sola vista della fru­sta, rea­gi­rà ter­ro­riz­zan­do­si. Que­sto deve es­se­re te­nu­to pre­sen­te per ca­pi­re al­me­no al­cu­ne delle rea­zio­ni ap­pa­ren­te­men­te in­com­pren­si­bi­li.


Le reazioni nel cavallo
(foto http://​www.​online.​wsj.​com/)


Quan­do un ca­val­lo du­ran­te un salto si pro­vo­ca una le­sio­ne ur­tan­do su di un osta­co­lo, in se­gui­to as­so­ce­rà l’o­sta­co­lo al do­lo­re e que­sto potrà es­se­re causa di ri­fiu­to o in­si­cu­rez­za in una si­tua­zio­ne ana­lo­ga. E’ bene, in que­sto caso, ri­pro­va­re lo stes­so osta­co­lo ab­bas­san­do­lo e cer­ca­re di ri­sta­bi­li­re fi­du­cia nei suoi mezzi ar­ri­van­do gra­dual­men­te a ri­pe­te­re il salto che aveva pro­vo­ca­to la dif­fi­col­tà. Come fare per cor­reg­ge­re un vizio o una ‘cat­ti­va abi­tu­di­ne’? Pos­so­no es­se­re ri­mos­si per as­so­cia­zio­ne a un pic­co­lo ca­sti­go. Un ca­val­lo che ha il vizio di mor­de­re, fin­ché non as­so­ce­rà: ’Se do un morso, ri­ce­vo una pu­ni­zio­ne’ non si ren­de­rà conto della sua brut­ta abi­tu­di­ne e sarà con­si­de­ra­to, suo mal­gra­do, un ca­val­lo cui ‘stare alla lar­ga’, un sog­get­to da evi­ta­re.
Per il bene del ca­val­lo quin­di oc­cor­re riu­sci­re a to­glie­re i vizi con­si­de­ran­do che ha avuto il de­sti­no di con­vi­ve­re con l’uo­mo. Una gran­dis­si­ma sod­di­sfa­zio­ne in­ter­vie­ne nel co­sta­ta­re il cam­bia­men­to di un ca­val­lo con­si­de­ra­to dif­fi­ci­le (anche per­ché in que­sto modo gli si evi­ta­no … varie com­pli­ca­zio­ni).


Il ca­val­lo è … il ca­val­lo


L’ or­go­glio e la stima del ca­val­lo pos­so­no es­se­re co­strui­ti con pa­zien­za senza ‘ bru­cia­re’ le tappe. Nes­sun ani­ma­le deve es­se­re spin­to oltre le sue reali ca­pa­ci­tà senza però porre li­mi­ti ai suoi mi­glio­ra­men­ti.
Il ca­val­lo non deve di­ven­ta­re il fil­tro delle fru­stra­zio­ni del suo ca­va­lie­re!
Non deve es­se­re la copia di un idea­le mo­del­lo astrat­to se non pos­sie­de qua­li­tà, at­ti­tu­di­ni e po­ten­zia­li­tà: un co­mu­ne ca­val­lo da cam­pa­gna non può avere la ve­lo­ci­tà che aveva Ribot! Spes­so il pro­ble­ma di un ‘ca­val­lo dif­fi­ci­le’ è pa­ral­le­lo a un ‘ca­va­lie­re dif­fi­ci­le’. E’ molto im­por­tan­te es­se­re chia­ri e non tra­smet­te­re con­fu­sio­ne.
Met­tia­mo­lo nella mi­glior con­di­zio­ne di ca­pi­re e la­scia­mo­glie­ne il tempo. Le in­di­ca­zio­ni de­vo­no es­se­re: sem­pli­ci, li­nea­ri, gra­dua­li, ri­pe­ti­ti­ve ma non no­io­se.
Con l’e­spe­rien­za il ca­val­lo rie­sce a cor­reg­ge­re i pro­pri even­tua­li pic­co­li er­ro­ri. Se in­con­tria­mo dif­fi­col­tà nel ca­pi­re la rea­zio­ne del ca­val­lo po­nia­mo­ci que­sta do­man­da: come ci com­por­te­rem­mo noi nella stes­sa si­tua­zio­ne al suo posto?
Met­tia­mo­ci dalla sua parte cer­can­do di ri­spet­ta­re il più pos­si­bi­le la sua na­tu­ra. Il fa­sci­no di que­st’a­ni­ma­le è pro­prio, tra l’al­tro, di avere una spic­ca­ta ‘per­so­na­li­tà’.
Cer­chia­mo di non fare pre­va­le­re solo la va­ni­tà del ca­va­lie­re ma te­nia­mo una re­la­zio­ne di ri­spet­to per com­pren­der­lo me­glio e pen­sa­re come pen­se­reb­be lui.


Gian­ni Bal­za­ret­ti, istrut­to­re di 3° li­vel­lo della Fe­de­ra­zio­ne Ita­lia­na Sport Eque­stri e tec­ni­co C.O.N.I., è au­to­re di di­ver­si ar­ti­co­li e pub­bli­ca­zio­ni sulla sto­ria del­l’e­qui­ta­zio­ne, Pu­ro­san­gue In­gle­si, con­cor­so com­ple­to di equi­ta­zio­ne. At­tual­men­te in­se­gna pres­so la So­cie­tà Ip­pi­ca No­va­re­se.


 






Emozioni in movimento
Emo­zio­ni in mo­vi­men­to
Pic­co­le ri­fles­sio­ni eque­stri – Gian­ni Bal­za­ret­ti – Edi­zio­ni Miele


Ar­go­men­ti trat­ta­ti: la di­sten­sio­ne del­l’in­col­la­tu­ra verso l’”avan­ti-bas­so”, la con­du­zio­ne a mano, l’in­se­gna­men­to ini­zia­le, gli eser­ci­zi su bar­rie­re e ca­val­let­ti, i primi pas­sag­gi in cam­pa­gna, i salti a scen­de­re, la­vo­ra­re su ter­re­no in pen­den­za…
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