di Ivano Cimatti
In questo studio verrà affrontato il discusso tema della prelazione agraria ed in particolare del contenuto, della natura giuridica e dei presupposti della facoltà di riscatto che l’ordinamento assegna al coltivatore diretto che sia, al contempo, proprietario terriero e confinante del fondo rustico posto in vendita.
In linea generale, il diritto di prelazione consiste nel diritto di essere preferiti rispetto ad altri, nella conclusione di un contratto. La cosiddetta prelazione agraria attribuisce il diritto ad essere preferiti nell’acquisto di un fondo agricolo qualora il proprietario decida di venderlo. La prelazione agraria trova la sua origine nell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 che recita “in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno quattro anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia”. Successivamente il legislatore ha esteso la facoltà altresì al coltivatore del fondo finitimo a quello compravenduto. Al riguardo l’art. 8 della legge 14 agosto 1971, n. 871 recita che “detto diritto di prelazione, con le modifiche previste nella presente legge, spetta anche: 1) al mezzadro o al colono il cui contratto sia stato stipulato dopo l’entrata in vigore della legge 15 settembre 1964, 756; 2) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti. Nel caso di vendita di più fondi ogni affittuario, mezzadro o colono può esercitare singolarmente o congiuntamente il diritto di prelazione rispettivamente del fondo coltivato o dell’intero complesso di fondi”.
Scopo unico della prelazione agraria quindi era quello di collegare la proprietà del fondo agricolo con il soggetto che con la sua opera determinava lo sfruttamento del suolo, senza privare nondimeno il proprietario del suo diritto, ma soltanto condizionandone l’esercizio a beneficio di una determinata categoria di soggetti, i quali, sfruttando la redditività della terra, beneficiavano di una sorta di rapporto privilegiato tra proprietà e soggetto lavoratore. Coll’introduzione della prelazione del confinante, muta altresì la funzione dell’istituto giuridico, in quanto la prelazione del confinante mira all’accorpamento dei fondi agricoli al fine di migliorare la redditività dei terreni, cioè di formare imprese diretto-coltivatrici di più ampie dimensioni, più efficienti sotto il profilo tecnico ed economico. In altre parole, si parla perciò di prelazione agraria comune per indicare la prelazione che incide sul fondo posto in vendita a favore del coltivatore diretto insediato sul fondo stesso; invece di relazione del confinante per indicarla prelazione prevista a beneficio del proprietario diretto di fondo contiguo al terreno agricolo posto in vendita.
Elemento essenziale nella disciplina della prelazione agraria in generale è quello della qualifica di coltivatore diretto in capo al soggetto preferito (Sarno S., Il retratto agrario: il requisito soggettivo, in Dir agr. amb., 2007, 566). Puranco, con riferimento alla prelazione del confinante, il diritto potestativo spetta al confinante, laddove questo sia al contempo coltivatore diretto. Da ciò consegue che soggetti titolari della prelazione agraria e della succedanea facoltà di riscatto sono solo ed esclusivamente i coltivatori diretti che si trovino nella posizione di conduttore del fondo compravenduto o di proprietario confinante o componente della famiglia coltivatrice o di coerede del venditore della quota ereditaria. Il diritto di prelazione, nel caso di quello generico, spetta, in primo luogo, al coltivatore diretto che sia conduttore del fondo in questione giusta un contratto di affitto, di colonia o di compartecipe non stagionale. Al riguardo, l’elencazione dei contratti agrari che legittimano la prelazione è tassativa ed esclude pertanto altre ipotesi contrattuali pure aventi ad oggetto la concessione del fondo a coltivatore diretto. E’ certa l’esclusione, dal diritto di prelazione, di chi coltiva il fondo per mera tolleranza del proprietario o comunque senza un valido rapporto contrattuale, perché già venuto a scadenza oppure risolto perché risolto per inadempienza del coltivatore stesso.
In questa sede, tuttavia, ci occupiamo della tipologia della prelazione del confinante. La quale, è sancita e regolata dal secondo coma dell’art. 7 legge 817/1971 che ha esteso il diritto di prelazione e, conseguentemente, la succedanea facoltà di riscatto al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con quelli offerti in vendita purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari od enfiteuti coltivatori diretti. Mentre il diritto di prelazione del conduttore ha il suo fondamento nell’esistenza di un contratto agrario valido e tende a far coincidere nella medesima persona titolarità dell’azienda e proprietà dei fondi coltivati, il diritto di prelazione del proprietario confinante trova la sua giustificazione nella volontà del legislatore di favorire la realizzazione di un’azienda agraria di più vaste dimensioni mediante l’accorpamento di terreni contigui.
Per effetto dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, il diritto di prelazione spetta al confinante purché egli sia contemporaneamente proprietario e coltivatore diretto del fondo confinante. Ciò significa che, sul punto, l’esercizio della prelazione (nel caso del proprietario confinante) e della correlata azione di riscatto presuppongono il medesimo possesso dei requisiti previsti dall’art. 8, legge 590/1965 (cfr., Cass., 16-6-2005, n. 12963), e precisamente: la coltivazione diretta del fondo da parte dell’avente diritto e dei suoi familiari da almeno due anni, a prescindere dal titolo che li legittima alla coltivazione stessa; una capacità lavorativa pari almeno ameno ad un terzo di quella necessaria per condurre direttamente il fondo riscattato unitamente a quello già posseduto; non aver alienato fondi rustici di imponibile fondiario superiore alle vecchie lire mille nel biennio precedente l’esercizio del riscatto.
E’ bene comunque precisare che ciò che rileva, ai fini della qualità di coltivatore diretto, non è il dato formale della iscrizione in elenchi, bensì l’effettivo esercizio dell’attività agricola con lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia (Cass., 1-6-2001, n. 7445, in Dir. agr. amb., 2002, 250). Occorre, ancora, che i fondi confinanti con quello del quale si chiede il riscatto siano coltivati direttamente dal proprietario, in quanto solo in questo caso si attua, con l’accorpamento, lo scopo normativamente perseguito, ovvero la formazione di imprese dirette coltivatrici di più ampie dimensioni, più efficienti sotto il profilo tecnico ed economico, laddove l’esercizio della prelazione non è previsto in favore di chi sul fondo eserciti l’allevamento del bestiame o di chi eserciti attività di coltivatore diretto su fondi diversi rispetto a quelli confinanti (Cass., 27-7-2002, n. 11134, in Giust. civ., 2002, 1384) E’ stato anche chiarito che tali condizioni non possono ritenersi integrate dalla mera attività di taglio dell’erba che cresce spontaneamente nel terreno, la quale non comporta alcun atto di gestione produttiva del fondo (Cass., 16-3-2005, n. 5682).
Una delle condizioni perché il coltivatore insediato sul fondo (oppure del proprietario confinante) possa esercitare la prelazione è che egli coltivi il fondo per un certo periodo di tempo e cioè da due anni. Scopo della norma è quello di garantire, prescrivendo un periodo determinato di permanenza sul fondo, un minimo di professionalità da parte del coltivatore ovvero coltivatore diretto, proprietario del fondo finitimo, atto a giustificare il diritto di preferenza che gli viene concesso (cfr., Calabrese D., La prelazione agraria, Padova, 2004, 24). Un altro importante requisito per l’esercizio della prelazione è l’esigenza che il coltivatore “non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a mille lire, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria. La giustificazione di questa preclusione è quella di valutare quel comportamento del coltivatore come comportamento speculativo e non come intento di coltivare la terra (Cass., 9-8-1991, n. 8658, in Dir. giur. amb., 1992, 605). La legge parla di fondo, senza altra specificazione, quantunque, ovviamente, trattasi di fondo agricolo, cioè di un terreno destinato all’agricoltura. E cioè un appezzamento di terreno destinato a coltivazione agricola, anche se privo di colture in atto. Pur nel silenzio della legge, la giurisprudenza è pervenuta alle seguenti conclusioni: – non aver alcun rilievo la dimensione del terreno, rientrando nella casistica della prelazione agraria sia i piccoli appezzamenti che i fondi di notevole dimensione, non essendo che l’estensione costituisca almeno la minuna unità culturale stabilita dall’art. 846 c.c. (Cass., 2-2-1995, n. 1244, in Riv. dir. agr., 1996, II, 325); – non rileva in alcun modo la tipologia di coltivazione, per cui qualunque terreno è idoneo a dar luogo a prelazione (nondimeno quello coltivato a bosco) e neppure rileva che il fondo in questione sia, al momento, coltivato o meno (Cass., 2-2-1995, n. 1244..cit.); l’esistenza di un caseggiato nel fondo non esclude la prelazione, laddove questo è strumentale alla coltivazione del fondo (Cass., 29-10-1985, n. 5317). Oggetto di prelazione sono, invero, non soltanto i terreni agricoli, ma anche i fabbricati che ne costituiscono pertinenza Non ha alcun rilievo, a tal fine, la classificazione catastale del fondo oppure la qualificazione datagli nel rogito notarile.
Non rientrano nella prelazione i terreni destinati a cave, torbiere, serre per la floricoltura, ad attività che non sono in stretto collegamento coll’agricoltura.
La prelazione può inoltre riguardare un fondo rustico alienato unitamente ad altri beni immobili; in tal caso però l’alienante deve – nel contratto – specificarne il relativo prezzo, onde consentire al prelazionante di esercitare il suo diritto sulla singola porzione di natura agricola. Qualora il proprietario venditore non abbia indicato il prezzo del terreno oggetto della prelazione, il prelazionante, da una parte, potrà esercitare la prelazione su tutti i beni in blocco oppure richiedere, in corso di causa, da parte del giudice, di determinare il prezzo con riferimento al prezzo globale.
Con riguardo al profilo della sussistenza dei requisiti oggettivi, l’orientamento della giurisprudenza sembra ondivago. Negli anni ottanta, in giurisprudenza, emerge chiaramente quell’indirizzo più ampio, diretto a riconoscere il diritto di prelazione sull’intero fondo e ciò quando la porzione avente destinazione agricola fosse prevalente su quella extra-agricola. In seguito i giudici di legittimità prima e poi anche la giurisprudenza di merito si stabilizzarono a favore di una tesi meno «forte» e, forse, più fedele alla lettera della legge nonché all’intenzione del legislatore, ritenendo il diritto di prelazione esercitabile solo con riguardo a quella porzione di fondo avente destinazione agricola con esclusione di quelle porzioni ricadenti in zona edificatoria e ciò in considerazione del divieto di cui all’art. 8, comma 2 della l. 26 maggio 1965, n. 590, norma di natura chiaramente imperativa ed eccezionale, insuscettibile di interpretazione estensiva ai sensi dell’art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale visto che prevede una deroga «(…) al generale principio della libera disponibilità dei beni da parte del proprietario (…)» di cui all’art. 832 del codice civile. Successivamente si afferma in giurisprudenza che nonostante una porzione del fondo sia destinata ad usi diversi da quello agricolo, le regole dettate per i fondi agricoli diventano assorbenti anche rispetto alle porzioni non agricole che risulterebbero attratte nella disciplina speciale prevalente. Questo principio appare giustificabile laddove il rapporto tra le particelle del fondo destinate all’attività agricola e quelle destinate ad usi diversi risulti sbilanciato a favore delle prime. Ciò in ossequio al principio della tutela dell’unità poderale, avuto riguardo alla nozione unitaria di «fondo» come oggetto della prelazione. Prospettandosi, al riguardo, il principio del bilanciamento degli interessi che vengono messi in discussione. Ciò si giustifica anche in relazione alla tutela dell’impresa rispetto alla proprietà. La giurisprudenza ha attribuito prevalenza alla tutela dell’unità poderale che sarebbe risultata ingiustamente sacrificata da uno scorporo delle particelle non agricole (Cass., 16-5-2008, n. 12440). Con una recente pronuncia (Cass., 10-11-2006, 24150, in Dir.agr. amb., 2007, 42), il criterio della prevalenza non sembra venire in alcun modo in rilievo. In effetti, se si considera che la finalità principale dell’istituto della prelazione agraria sia quella del razionale sfruttamento della proprietà agricola nell’interesse pubblico allo sviluppo delle strutture produttive del Paese, come la giurisprudenza della Suprema Corte ha più volte riconosciuto, si finisce con il giustificare il nuovo filone giurisprudenziale visto che, nel caso di specie, la porzione di terreno non agricolo era, invece, destinata ad altri scopi ugualmente meritevoli di attenzione. Si parlava di mercato e nella fattispecie si è voluto salvaguardare il mercato immobiliare escludendo dal regime speciale le particelle con destinazione edificatoria, obiettivo che d’altra parte si era posto anche il legislatore del 1965 escludendo all’art. 8 comma 2 dal regime privilegiato proprio quei «(…) terreni che in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati, siano destinati ad utilizzazione edilizia, residenziale o turistica».
Come abbiamo visto, oltre che la qualità di coltivatore diretto, il diritto di proprietà sul fondo confinante, la contiguità materiale tra il fondo di proprietà ed il fondo alienato, la libertà di quest’ultimo da insediamenti giustificati da un titolo valido, necessitano al proprietario confinante, per la titolarità del diritto di prelazione o di riscatto.
Le condizioni perché operi la prelazione del confinante sono quindi le seguenti: a) sul piano oggettivo la contiguità dei fondi (quello offerto in vendita e altro fondo contiguo); b) sul piano soggettivo che sul fondo contiguo sia insediato un proprietario coltivatore diretto; c) sempre sul piano soggettivo, come elemento di esclusione, occorre che sul fondo posto in vendita non esista un coltivatore diretto sulla base di un titolo giuridico valido.
Il concetto di fondo confinante è stato ritenuto corrispondente o a quello di confinanza in senso giuridicamente proprio, oppure a quello di contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo la linea di demarcazione. Ed invero, ciò che dà origine al diritto di prelazione del confinante è non tanto la proprietà dei terreni finitimi a quelli posti in vendita, essendo questo soltanto uno dei due requisiti richiesti dalla legge, quanto soprattutto la coltivazione diretta ed abituale dei fondi medesimi. La preferenza è, infatti, accordata al proprietario confinante in dipendenza dell’effettivo possesso della qualifica di coltivatore diretto e non in forza di uno jus vicinitatis, cioè della sola vicinanza tra i fondi, la quale inoltre deve consistere in una vera e propria contiguità fisica e non in una contiguità funzionale che riguarda fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria.
Al riguardo la giurisprudenza prevede una lunga casistica di situazioni di fatto che escludono la contiguità, rendendo inagibile la prelazione: se i terreni sono divisi da una strada interpoderale si intendono confinanti (Cass., 29-9-1995, n. 10272, in Dir. agr. Amb., 1996, 801); allorquando sono divisi da una strada pubblica (Cass., 9-2-1994, n. 1331, in Vita not., 1986, 272) oppure privata di proprietà di un terzo soggetto (Cass., 17-7-2002, n. 10337, in Dir. agr. amb., 2002, 595) piuttosto che da una strada vicinale (Cass., 8-1-1996, n. 58 in Riv. not., 1996, 1163), invece, i due fondi sono ritenuti non confinanti; laddove i terreni sono divisi da un fosso la prelazione opera (Cass., 26-3-2003, n. 4486, in Dir. agr. amb, 2004, 416); mentre laddove questi sono separati da corso naturale di acqua pubblica non si ravvisano gli estremi della contiguità, a nulla rilevando altresì che lo stesso non sia incluso nell’elenco delle acque demaniali ovvero sia a volte in secca (Cass., 20-2-2001, n. 2471, in Riv. not., 2001, 855); l’opposto occorre, al contrario, laddove i due fondi sono divisi da un corso d’acqua privata, in quanto, mancando una prova contraria, questo canale si deve presumere comune, ai sensi dell’art. 897 c.c., con la conseguente contiguità materiale dei due fondi, che si estendono fino alla metà del canale fra essi interposto (Cass., 17-12-1991, n. 13558, in Vita not., 1992, 58). La giurisprudenza ha, infine, chiarito non essere possibile creare artificiosi diaframmi al fine di eliminare il requisito della con finanza fisica tra i suoli onde precludere l’esercizio della prelazione.
Si sono sin qui considerati la natura del diritto di prelazione, i soggetti che ne sono titolari ed i requisiti che questi devono possedere qualora lo vogliano il diritto che loro compete. Le modalità attuative di tale diritto sono regolate dalle disposizioni di cui all’art. 8, comma IV della legge n. 590/1965.
Tre sono sostanzialmente le fasi nel corso delle quali si concretizza l’esercizio della prelazione agraria: l’invio della proposta di alienazione o denuntiatio, l’accettazione della proposta ed il pagamento del prezzo.
Come è noto, l’art. 8, terzo comma della legge 590/1965 dispone che il proprietario deve notificare con lettera raccomandata al coltivatore la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita. A questa notificazione della propria volontà di alienare il fondo si dà il nome di denuntiatio. La dottrina e la giurisprudenza discutono sulla natura giuridica della denuntiatio: una prima opinione afferma che essa abbia natura contrattuale ex art. 1326 c.c., con la conseguenza che, colla semplice accettazione dell’oblato, il contratto si perfezionerebbe (per tutti, in dottrina, Triola R., La prelazione agraria, Milano, 1990, 72; Bassanelli E., La prelazione agraria, in Riv. dir. agr., 1972, I, 75. ed in giurisprudenza Cass., 30-11-2005, n. 26079 in Dir agr. amb., 2007, 109). Per altra tesi, invece, la denuntiatio costituisce strumento autonomo rispetto alla proposta contrattuale (Tamponi M., Prelazione agraria, in DIg. Disc. Priv., Sez. Civ., XIV, Torino, 1996, 190 ed in giurisprudenza, Cass., 14-4-2000, n. 4858 in Foro it., 2000, I, 2529).
Nel corso del tempo è prevalso la tesi che ravvisa nella denuntiatio natura contrattuale (Bolognini S., Sulla forma della denuntiatio, in Dir. agr. amb., 2007, 110). Ciò perché la legge 590 del 1965, attribuisce al titolare del diritto di prelazione agraria un diritto potestativo accessorio di riscatto al fine di potere agire nei confronti del terzo acquirente per ottenere la proprietà del bene alienato: tale diritto è soggetto al termine decadenziale di un anno dalla trascrizione dell’acquisto del terzo. La ratio è quella di consentire al titolare del diritto di prelazione di ottenere la proprietà del bene che – in difetto di denuntiatio – non abbia potuto acquisire esercitando tempestivamente il diritto di prelazione nei confronti dell’alienante limitando tuttavia temporaneamente la possibilità di incidere nella sfera giuridica del terzo acquirente e armonizzando le ragioni del prelazionario pretermesso con il principio generale di tutela dell’affidamento dell’acquirente, che può vedersi privato del proprio diritto quantunque acquisito in buona fede. Proprio al fine di legittimare sul piano legale la facoltà di riscatto e, conseguentemente, valutarne i presupposti ex lege, particolare importanza assume la proposta di alienazione fatta dal venditore cui incombe l’onere di rispettare la prelazione: infatti, come già evidenziato, qualora il proprietario – alienante non provveda alla notificazione ex art. 8 legge 26 maggio 1965 n. 590, “l’avente titolo al diritto di prelazione può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell’acquirente e da ogni altro successivo avente causa” (Cass., 22-1-2004, n.1103 in Arch. Civ., 2004, 1318). La denuntiatio, pertanto, rappresenta l’elemento di fatto più rilevante nel giudizio volto a risolvere i contrasti sorti tra il prelazionario pretermesso ed i terzi aventi causa dal venditore.
Orbene, la querelle giudiziaria ha avuto ad oggetto proprio la forma che la notifica ex art. 8 l. cit. debba rivestire, al fine di ritenere adempiuto l’obbligo previsto dalla legge a favore del coltivatore diretto. L’orientamento giurisprudenziale risalente ha ritenuto, in modo costante, che la denuntiatio potesse ritenersi produttiva di effetti, (quindi anche ai fini del termine decadenziale previsto), solo qualora essa fosse stata resa in forma scritta, da ritenersi requisito di validità, (ex multis, Cass., 5-10-1991 n. 10429). La proposta di vendita ex art. 8 l. cit., pertanto, qualora effettuata solo verbalmente, dava luogo ad un negozio giuridico radicalmente nullo, se non giuridicamente inesistente.
La giurisprudenza più recente ha, tuttavia, invertito rotta e ritenuto di aderire al diverso orientamento per il quale “il diritto di prelazione agraria diventa attuale e concreto nel momento in cui il proprietario comunica ai soggetti interessati anche verbalmente la sua volontà di alienare il fondo a titolo oneroso”, (Cass., 31-1-2008, n.2402).
La Cassazione ha così ritenuto che “in tema di prelazione agraria, la norma che prevede le formalità della comunicazione, pur perseguendo finalità di interesse sociale, ha carattere dispositivo e non cogente e inderogabile, sicché è rimessa all’iniziativa delle parti l’adozione di forme alternative di comunicazione, purché idonee a consentire la piena conoscenza della proposta in funzione dell’esercizio della prelazione. E nell’ambito del principio generale di libertà delle forme è sufficiente anche la forma verbale, non derivando alcun ostacolo dalla disposizione di cui all’art. 1351 c.c., che per i contratti preliminari aventi forma scritta richiede “ad substantiam” la medesima forma, poiché la comunicazione non ha natura di proposta contrattuale”, (si tratta di Cass., 19-5-2003, n.7768 in Arch. Civ., 2004, 370).
L’orientamento oggi dominante, richiamati i precedenti in distonia, sconfessa l’indirizzo liberista optando, pertanto, adduce a sostegno della decisione un diverso ordine di argomentazioni: a) la denuntiatio è, quanto alla natura giuridica, una proposta contrattuale e, dunque, un atto di carattere negoziale essendo la lettera della legge inequivoca in tal senso; 2) il requisito della forma sotto pena di nullità non allude alla “forma in senso generale” ma a quella cd. speciale, imposta per taluni negozi, (art. 1350 c.c.); 3) la denuntiatio è un atto preparatorio di una fattispecie traslativa avente ad oggetto un bene immobile; 4) funzione di garanzia della forma de qua dei diversi interessi coinvolti.
La legislazione vigente prevede che, ove il diritto di prelazione sia stato esercitato, il versamento del prezzo di acquisto deve essere effettuato entro il termine di tre mesi decorrenti dal trentesimo giorno dalla notifica del preliminare da parte del proprietario salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti, nel quale caso le condizioni contrattuali più favorevoli giovano al prelazionante che può profittarne. In questo caso, nondimeno, la legge sancisce che “in tutti i casi nei quali il pagamento del prezzo è differito, il trasferimento della proprietà è sottoposto alla condizione sospensiva del pagamento stesso entro il termine stabilito”.
Il versamento del prezzo del fondo riscattato nel termine perentorio stabilito dall’art. 8 della Legge 590/1965, costituisce condicio iuris del trasferimento della proprietà al retraente e deve essere effettuato con le modalità previste dagli artt. 1209 e ss. cc. Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione che hanno deciso che il mancato avverarsi della condizione del pagamento nei termini prescritti travolge automaticamente il contratto conclusosi con l’accettazione della proposta di alienazione senza necessità di domanda risolutoria da parte del proprietario, e restituisce a quest’ultimo la piena disponibilità del fondo (Cass. S.U., 9-5-1977, n. 1805, in Giur. it., 1977, I, 1, 1259).
L’obbligo del retrattato di rilasciare nella disponibilità del retraente il fondo, a seguito della sola proposizione della domanda di riscatto, e in pendenza del giudizio che accerti l’esistenza del diritto “ex adverso” azionato, da escludersi in forza della speciale normativa di cui alla legge n. 590 del 1965, non può – ancora – affermarsi neppure ex artt. 1360 e 1361 c.c. Pur se, infatti, “gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto” (cfr., art. 1360 c.c., comma 1, prima parte), ciò non esclude l’eventualità che “per la natura del rapporto, gli effetti del contratto… debbano essere riportati a un momento diverso” (art. 1360, comma 1, seconda parte) e che “l’avveramento della condizione non pregiudica la validità della atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui in pendenza della condizione spettava l’esercizio del diritto” (art. 1361, comma 1, c.c.). Alla luce delle quali norme emerge che ben lungi dal prevedere che per effetto dell’avveramento della condizione gli effetti del contratto retroagiscono comunque, ed in ogni caso, al momento della conclusione del contratto stesso, non solo fanno salva l’eventualità che tali effetti possano non retroagire a causa della peculiare natura del contratto, ma prevedono, altresì, espressamente, la validità degli atti di amministrazione compiuti dalla parte a cui, in pendenza della condizione stessa, spettava l’esercizio del diritto (cfr., Cass., 23-5-2001, n. 7030).
Poiché è un’ipotesi tutt’altro che remota il fatto che il venditore non si premuri di avvisare il confinante avente diritto di prelazione, il legislatore ha previsto un rimedio per salvare le legittime aspettative dell’avente diritto, a condizione però che ne ricorrano tutti gli estremi per l’esercizio.
Il diritto del coltivatore di subentrare al terzo acquirente del fondo agricolo in caso di mancata osservanza delle norme sulla prelazione: a) è un diritto potestativo del retraente; b) si estrinseca in una dichiarazione unilaterale; c) va presentata nel termine legale di decadenza si un anno, che decorre dalla data della trascrizione dell’atto di vendita; d) va espressa o con atto stragiudiziale, oppure mediante atto giudiziale di citazione in giudizio (Cass., 11-6-1987, n. 5084 in Giur. agr. it., 1987, 548).
I contratti stipulati in violazione delle norme sulla prelazione non sono considerati nulli dal legislatore, ma sono pienamente validi se il coltivatore diretto non esercita nei termini stabiliti il diritto facoltativo di riscatto. Infatti, il contratto concluso in violazione della normativa sulla prelazione è valido in quanto il legislatore ha previsto che il coltivatore diretto che non sia stato messo in condizione di far valere la prelazione, possa utilizzare il rimedio del riscatto nei confronti del terzo acquirente entro l’anno dalla trascrizione del contratto. L’esercizio del “diritto” di riscatto agrario, da parte del titolare della prelazione che non sia stato posto in condizioni di farla valere, ha come conseguenza non la risoluzione del contratto stipulato dal terzo acquirente e la relativa formazione di un titolo di acquisto ex nunc da parte del riscattante, ma la sostituzione di quest’ultimo con effetto ex tunc al terzo mediante una propria dichiarazione subordinata al versamento del prezzo, colla conseguenza che la relativa azione giudiziale è di accertamento dichiarativo. Con la dichiarazione di riscatto il coltivatore si sostituisce nella stessa posizione del terzo acquirente, nel senso che si opera una sorta di retitutio in integrum el coltivatore, con effetto ex tunc. Tale concetto ribadisce un orientamento, costante della giurisprudenza (cfr., Cass., 4-6-2007, n. 12934, in Dir. agr. amb., 2008, 185), che sottolinea che la pronuncia che decide sulla domanda di riscatto agrario ha carattere di accertamento in merito alla sostituzione del retraente all’acquirente del fondo; e poiché il venditore non ha interesse giuridico a tale modifica soggettiva, il medesimo non è litisconsorte necessario nel relativo giudizio. L’azione giudiziaria, invero, ha lo scopo non di consentire il riscatto, ma solo quello di dichiararne l’esistenza.
In forza delle considerazioni fin qui esposte si ritiene, dunque, di poter concludere lo studio attestando la piena ed assoluta correttezza ed esattezza della decisione in esame. Ed invero il retraente, pur avendo pieno diritto a pretendere di essere sostituito nella titolarità del fondo rustico, compravenduto in violazione delle norme sulla prelazione agraria, non poteva pretendere, nei confronti del pretermesso, alcun indennizzo, avendo quello, in perfetta buona fede, acquistato, dal venditore il fondo rustico.
Riferimenti normativi
Art. 8 della Legge 26 maggio 1965, n. 590
in caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l’affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno quattro anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia
Art. 7 della Legge 14 agosto 1971, n. 817
“detto diritto di prelazione, con le modifiche previste nella presente legge, spetta anche: 1) al mezzadro o al colono il cui contratto sia stato stipulato dopo l’entrata in vigore della legge 15 settembre 1964, 756; 2) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti. Nel caso di vendita di più fondi ogni affittuario, mezzadro o colono può esercitare singolarmente o congiuntamente il diritto di prelazione rispettivamente del fondo coltivato o dell’intero complesso di fondi”.
Riferimenti giurisprudenziali
Forma della denuntiatio
Cass., 20-1-2009, n. 1348
In materia di contratti agrari, per la comunicazione (“notifica”) al coltivatore o al confinante della proposta di alienazione del fondo, ai fini della prelazione di cui all’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e all’art. 7 della legge n. 817 del 1971, da parte del proprietario venditore, è richiesta la forma scritta “ad substantiam”, non essendo idonea allo scopo l’effettuazione della stessa verbalmente. Infatti, la “denuntiatio” non va considerata solo come atto negoziale ma anche come uno dei due elementi (l’altro é l’accettazione, che integra l’esercizio positivo del diritto di prelazione) di una fattispecie traslativa avente ad oggetto il fondo agrario e, pertanto, deve rivestire necessariamente la forma scritta “ad substantiam”, in applicazione dell’art. 1350 cod. civ., con inevitabili riflessi sul piano probatorio, non essendo, per questo, consentita la prova testimoniale “ex” art. 2725 cod. civ..
Nozione di contiguità
Cass., 26-11-2007, n. 24622
Il diritto di prelazione e riscatto del coltivatore diretto, proprietario del terreno confinante, previsto dall’art. 7 della legge n. 817 del 1971, costituisce una limitazione della circolazione della proprietà agricola, oltre che dell’autonomia negoziale, e spetta soltanto nel caso di fondi confinanti in senso giuridicamente proprio, caratterizzati, cioè, da contiguità fisica e materiale, per contatto reciproco lungo la comune linea di demarcazione (sia essa meramente ideale, ovvero esteriorizzata mediante muri, siepi, recinzioni o altri segnali), senza poter essere esteso alla diversa ipotesi della cosiddetta “contiguità funzionale”, ossia di fondi separati ma idonei ad essere accorpati in un’unica azienda agraria.
Dimensione del fondo compravenduto
Cass., 26-11-2006, n. 25130
Non operando la legge 14 agosto 1971 n. 817 distinzioni, ai fini del diritto di prelazione (e di riscatto del confinante), in relazione all’estensione dei fondi (sia di quello da riscattare sia di quello confinante), tutti i fondi che abbiano carattere agricolo sono possibili oggetto di prelazione (e di riscatto), con l’unico limite costituito dall’impossibilità di concreto sfruttamento o addirittura dalla non coltivabilità del terreno, in relazione ad entrambi i fondi, accorpati e non.
Forma e contenuto dell’atto di trasferimento del fondo compravenduto
Cass., 15-5-2001, n. 6711
Per l’esistenza, a favore del proprietario coltivatore diretto del fondo rustico confinante con quello ceduto, del diritto di prelazione, e del correlato diritto di riscatto, per il combinato disposto di cui agli art. 8, comma 1, l. 26 maggio 1965 n. 590 e 7, comma 2, n. 2, l. 14 agosto 1971 n. 817, è necessario che il trasferimento sia a titolo oneroso.
Ivano Cimatti, laureato in Giurisprudenza presso la II Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, è inscritto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e note a sentenze su diversi giornali e riviste. Curriculum vitae >>>
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