Lo sviluppo rurale e la PAC dopo il 2013
Quali strategie e proposte
di Nicola Galluzzo
1. Introduzione
In questi giorni si sta osservando un grande fermento intorno a cosa succederà al mondo agricolo e a quello rurale dopo il 2013 quando terminerà il periodo programmatorio della Politica agricola comunitaria 2007-2013. Oramai in tutti gli Stati membri ci si trova a dovere fare un breve bilancio di quanto fatto fino ad ora e di quanto si potrà fare nel prossimo futuro, avanzando delle proposte che dovranno tenere conto dei vincoli di bilancio comunitario stringenti, da un lato, e la necessità di soddisfare un equilibrio ambientale e sociale delle aree rurali, dall’altro. La Rete rurale nazionale, sul proprio sito, ha pubblicato un proprio position paper nel quale sono indicati alcuni aspetti generali che la prossima programmazione (2014-2020) dovrà tenere in debita considerazione, cui si rimanda il lettore per maggiori chiarimenti e/o informazioni.
La spesa totale che è stata impiegata nel periodo 2007-2013 è stata pari a circa 231 miliardi di Euro nell’Europa a 27 Stati, cui hanno contribuiti i privati, attraverso il cofinanziamento delle iniziative, gli Stati membri con propri fondi e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) di cui 8.290 milioni di Euro erogati all’Italia attraverso i 21 Programmi regionali di sviluppo rurale (PSR) e il programma Rete Rurale Nazionale.
2. Considerazioni generali e proposte
In riferimento al position paper proposto, in generale, sia l’impostazione metodologica che l’approccio al problema appaiono essere condivisibili e in linea con quelle che sono state le esigenze emerse durante il periodo programmatorio in corso e che hanno portato a fare una sintesi dalle sollecitazioni che da varie parti sono state evidenziate.
Nel primo capitolo non si fa menzione a quello che è l’ammontare delle risorse necessarie e da imputare al secondo pilastro della Politica agricola comunitaria (Pac), ciò rappresenta una grave mancanza. A tal fine sarebbe auspicabile riuscire a quantificare le esigenze e ad incrementare il budget che l’Unione europea assegnerà all’Italia anche se, al momento attuale, margini di manovra possibili non se ne vedono stante la rigida disciplina di bilancio che vede, in linea generale, una contrazione delle risorse da assegnare alla Pac e al secondo pilastro. Sarebbe opportuno rimpinguare le risorse agendo sulla modulazione; una soluzione potrebbe essere quella di consentire agli Stati membri la possibilità di gestire, in maniera diretta, i fondi derivanti dalla modulazione, evitando che ritornino a Bruxelles che li riassegnerà, successivamente, il che comporta una perdita di tempo e di efficienza distributiva.
Nel secondo capitolo si deve ribadire, a chiare lettere, che lo sviluppo rurale ha come obiettivo la salvaguardia e il presidio delle aree rurali a rischio marginalizzazione e desertificazione socio-economica e, pertanto, gli indennizzi non sono null’altro che il giusto ristoro per l’azione meritoria di multifunzionalità che essi svolgono, mediante esternalità positive. Sarebbe auspicabile inserire il concetto dell’agricoltura quale strumento per il reinserimento sociale di soggetti con particolari problemi e socialmente deboli e/o svantaggiati. In questo caso il discorso del ruolo e delle funzioni dell’agricoltura apparirebbe completo e organico. Non è auspicabile individuare nel PSR uno strumento finalizzato a fare ricerca e sperimentazione in agricoltura, poiché esistono dei progetti specifici, sia di natura regionale e nazionale che europea, quale il Programma Quadro, che già assolvono a queste funzioni. Gli assi 3 e 4 devono rimanere di diretta gestione del II pilastro della Pac perchè, nel corso degli anni, le amministrazioni e tutti i soggetti coinvolti hanno sviluppato un approccio al problema e una metodologia problem solving adeguata, che sarebbe opportuno non disperdere. Il secondo pilastro, inoltre, punta sugli assi 3 e 4 per rilanciare lo sviluppo delle aree rurali, mediante un approccio bottom-up condiviso, ed un effetto imitazionale che altri fondi avrebbe sicuramente molte difficoltà nel farle proprie, avendo dei tecnicismi ben definiti e non facilmente intercambiabili.
Nel terzo capitolo si ribadisce la necessità di rimpolpare le misure necessarie al presidio del territorio e alla salvaguardia delle aree rurali, anche se l’effetto di trascinamento delle misure agroambientali, iniziate subito dopo la riforma McSharry, rischiano di intercettare molte risorse disponibili nel II secondo pilastro; tutto ciò potrebbe avere una diretta conseguenza sull’ammontare degli importi delle indennità compensative, strumento necessarie per una valorizzazione socio-economica e di presidio del territorio rurale.
Nel quarto capitolo appare altamente condivisibile l’obiettivo di agire su uno sviluppo della green tecnology per il presidio del territorio e dell’ambiente, associato ad un incremento della formazione degli operatori, necessaria per essere reattivi ai rapidi cambiamenti sul mercato, fermo restando che l’azienda rimane il fulcro degli interventi, in una prospettiva territoriale coesa e integrata, necessaria ad assicurare la piena competitività verso le altre realtà produttive. Sarebbe auspicabile rivedere la zonizzazione proposta da alcune regioni nei loro PSR che hanno potuto danneggiare alcune aree agricolo e rurali, collocate vicino ai poli urbani, e che presentano situazioni orografiche ed economiche, tipiche delle aree rurali a rischio marginalizzazione, che potrebbe beneficiare di alcune azioni e che, invece, l’attuale programmazione 2007-2013, non ha consentito di finanziare, con la conseguente penalizzazione.
Il quinto capitolo presenta alcuni spunti di riflessione connessi ad una necessità di semplificare i procedimenti autorizzativi e di spesa e che, in maniera diretta, agiscono anche sul meccanismo di disimpegno automatico. Come già proposto sarebbe opportuno creare un unico corpus nazionale di programmazione all’interno del quale collocare i 21 PSR regionali in maniera tale che, le risorse non spese da una regione, sottoposte a disimpegno automatico, possano essere riassegnate allo Stato membro e poi da questo redistribuite alle altre regioni; invece, con il meccanismo attuale una regione che non impegna e spende perde la quota dei fondi assegnati, i quali non possono essere presi da un’altra regione più virtuosa, ma ritornano all’Unione europea. I controlli dovrebbero essere efficaci, ma anche abbastanza rapidi nella loro conclusione in fase di accertamento e definizione, fissando fin da subito, nei bandi, i margini e ambiti di manovra, ossia chi fa cosa, come lo fa e entro quale termine deve farlo.
Nel capitolo 6 si auspica una maggiore coesione e relazione con quanto previsto nel primo pilastro, il che appare abbastanza condivisibile, anche alla luce di quelle che sono state le modifiche avvenute nelle diverse organizzazioni di mercato: tuttavia, permangono delle differenze formali e sostanziali tra gli obiettivi che i due pilastri perseguono che è opportuno tenere sempre ben distinti al fine di perseguire correttamente, anche se separatamente, gli obiettivi e le priorità.
Il capitolo 7 ribadisce la necessità di una maggiore integrazione con le politiche di coesione necessarie a garantire un corretto presidio del territorio e delle realtà rurali, che in esso vivono e lavorano. Da ciò emerge la necessità di attuare degli interventi che siano legati al territorio e che siano decisi localmente e non decisi sulla carta nella speranza che possano adattarsi in tutti i Paesi membri o in tutte le regioni italiane senza tener conto delle peculiarità e dei punti di forza e di debolezza delle agricolture italiane (poliedricità) e non dell’agricoltura italiana.
L’assenza di un indicatore specifico che possa valutare la bontà o no di come si sta procedendo e quali correttivi utilizzare, appare essere un elemento distintivo del II pilastro e, pertanto, ciò deve spingere tutti i soggetti coinvolti e i portatori di interesse a favorire una rete di dialogo e di scambio continuo delle iniziative, al fine di apportare delle idee innovative e intervenire, laddove possibile, con degli interventi correttivi adeguati su situazioni che rischierebbero di sclerotizzare.
3. Conclusioni
Le aree rurali hanno bisogno del supporto dei fondi europei al fine di indennizzare quelle esternalità positive prodotte e per garantire, di conseguenza, uno sviluppo coeso, armonico e condiviso che sappia rispettare l’ambiente, il paesaggio e le comunità rurali che in esso vivono, generando, sia con un effetto richiamo che con un effetto imitazionale, una rivitalizzazione dello spazio rurale, riducendo lo spopolamento e l’impoverimento territoriale. Il position paper, come già indicato in precedenza, appare abbastanza equilibrato nelle proposte presentate anche se la formazione culturale e professionale, possibilmente non fine a se stessa, appare essere una delle leve strategiche su cui puntare per riuscire a fare integrare le aziende e gli imprenditori, nel quadro produttivo mondiale, anticipando, laddove possibile, quelle esigenze che il mercato globalizzato richiede e che non possono essere rinviabili, pena l’estromissione dei soggetti più deboli e professionalmente più fragili.
Le aree urbane e quelle rurali non devono più essere individuate come due fronti opposti con specifiche tecnico-produttive e socio-economiche diverse, diversificate e antagoniste ma dovranno collaborare, sinergicamente, poiché l’una dipende vicendevolmente dall’altra e se l’area urbana tralascia o penalizza quella rurale, o viceversa, gli effetti saranno deleteri per entrambe. Questo impone la necessità di attuare delle azioni di intervento che siano transcalari e trasversali; tutto questo implica la “intercambiabilità” delle azioni e la capacità di agire in sintonia avendo, non più, un unico obiettivo di fondo ma una pluralità di obiettivi da perseguire e raggiungere. In tutto questo non andrà mai persa di vista la scala di intervento, possibilmente a carattere locale, e il ruolo del territorio quale elemento che unifica, piuttosto che elemento di divisione e diversità, cui si deve fare sempre riferimento per attuare delle strategie condivise e attive nel medio-lungo periodo. Per tale motivo non ritengo che la prossima programmazione debba privarsi, sganciandosene, dell’asse IV, asse nel quale si inseriva il L.e.a.d.e.r., assegnandolo ad altri fondi. Il L.e.a.d.e.r., infatti. ha rappresentato e rappresenterà un’iniziativa comunitaria specifica e dedicata al mondo rurale, capace di essere un elemento fondamentale per uno sviluppo coeso e condiviso del territorio, che percepisce, con il suo approccio basso-alto, le reali esigenze delle comunità che vivono le aree rurali.
Nicola Galluzzo, dottore di ricerca in Scienze degli alimenti, si è laureato in Scienze agrarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, conseguendo il perfezionamento in Economia del turismo e in Gestione e organizzazione territoriale delle risorse naturali presso l’Università La Sapienza di Roma, in Studi europei presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Genova e in Controllo e autocontrollo degli alimenti presso la Facoltà di Medicina e chirurgia “A. Gemelli” di Roma. Assegnista di ricerca presso l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea). E.mail: nicoluzz@tin.it
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