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L’etichetta dei prodotti alimentari e le regole di comunicazione

di Donato Ferrucci, Micaela Giangrandi


L’etichetta, attraverso dizioni e segni, è lo strumento di comunicazione delle caratteristiche del prodotto alimentare. Chiarezza del messaggio e coerenza con le proprietà ne rappresentano gli elementi chiave. Nel corpo normativo dedicato all’etichettatura degli alimenti, considerata la delicatezza delle tematiche, il legislatore ha individuato delle regole di relazione tra il sistema produttivo ed il consumatore finale, basate sul principio di lealtà e corretta informazione.
L’obiettivo è duplice, da un lato la tutela del consumatore in grado, grazie agli strumenti informativi resi disponibili dall’etichetta, di compiere scelte consapevoli; dall’altro, generare un più elevato grado di fiducia nel sistema di produzione e nella correttezza delle leggi che lo regolano. Gli operatori diventano gestori delle informazioni e della lealtà relazionale. E’ loro obbligo ma anche opportunità chiarire al consumatore l’intimità dell’oggetto offerto, al fine di creare aspettative commisurate alla realtà, indotte dalla coerenza tra la comunicazione e i valori concreti del prodotto alimentare.


Le regole sulla materia specificano quanto si deve dire in etichetta e quanto non si può dire a meno di creare aspettative fuorvianti circa le proprietà o gli effetti dell’alimento. Esiste poi un’area normativa che regola i segni e le diciture facoltative, in molti casi dettagliate da norme specifiche per una determinata tipologia di prodotti (origine delle materie prime sul latte o passate di pomodoro, valori nutrizionali su alimenti destinati all’infanzia, ecc.)


L’etichetta di un prodotto alimentare contiene le informazioni che:


  1. specificano alcune caratteristiche oggettive (ingredienti, proporzione di alcuni, modalità di consumo, durata, ecc.);
  2. eventualmente qualificano il prodotto (origine, processo, valori etici);
  3. consentono di risalire all’ultimo soggetto che ha lavorato il prodotto e quindi di innescare il meccanismo di ricostruzione del processo produttivo (rintracciabilità delle responsabilità);
  4. assicurano la corretta e trasparente informazione.

Il consumatore ha così l’opportunità di valutare l’insieme delle informazioni oggettive e qualificanti, gli organi di vigilanza di risalire al produttore e verificarne la coerenza con quanto effettuato in concreto.
L’azienda agricola ha quindi disponibile uno strumento di elevate potenzialità comunicative e a basso costo. Il prodotto trasformato immesso direttamente sul mercato fa viaggiare l’etichetta che diviene strumento di comunicazione dei valori. E’ quindi fondamentale calibrare il messaggio che si intende proporre e relazionarlo alle proprietà in concreto caratterizzanti il prodotto, fermo restando il rispetto dei requisiti minimi imposti dalla legge in materia di etichettatura.
E’ opportuno sottolineare che un prodotto alimentare che non rispetti le norme cogenti sull’etichettatura non può essere immesso sul mercato. Il punto non esaurisce la tematica, infatti, l’etichetta è ideata in modo tale da indicare dove il prodotto è stato realizzato, il che implica la conformità alle regole di produzione previste dalla normativa (idoneità dei locali, sistemi di gestione dell’igiene, della tracciabilità, ecc.).
Quindi, l’etichetta comunica anche la conformità implicita alle regole di processo e di gestione, qualora ciò non fosse, ad esempio lavorazione in locali non idonei dal punto di vista igienico sanitario, l’immissione in commercio del prodotto costituisce un illecito.


In sintesi, l’etichetta comunica:


  1. la conformità del metodo;
  2. le caratteristiche del prodotto;
  3. eventualmente, il valore intangibile di quest’ultimo.

Il fondamento legislativo è rappresentato a livello nazionale dal Decreto L.vo n. 109 del 1992, a livello comunitario dalla Direttiva 2000/13/CE del 20 marzo 2000
Dal punto di vista normativo l’etichettatura è definita come: “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo”. Comprende quindi la totalità delle informazioni che “viaggiano” con il prodotto e non solo quelle apposte su di questo.
L’etichettatura inoltre deve essere predisposta in modo tale da:
a) non indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare e precisamente sulla natura, sulla identità, sulla qualità, sulla composizione, sulla quantità, sulla conservazione, sull’origine o la provenienza, sul modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto stesso;
b) non attribuire al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede;
c) non suggerire che il prodotto alimentare possiede caratteristiche particolari, quando tutti i prodotti alimentari analoghi possiedono caratteristiche identiche;
d) non attribuire al prodotto alimentare proprietà atte a prevenire, curare o guarire una malattia umana nè accennare a tali proprietà, fatte salve le disposizioni comunitarie relative alle acque minerali ed ai prodotti alimentari destinati ad un’alimentazione particolare.
I divieti e le limitazioni citati valgono anche per la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari.


Le indicazioni minime che devono essere riportate sull’etichetta sono le seguenti:


-) la denominazione di vendita;
-) l’elenco degli ingredienti;
-) la quantità, netta o nominale;
-) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
-) il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore;
-) la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
-) il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1,2% in volume;
-) una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto;
-) le modalità di conservazione e di utilizzazione qualora sia necessaria l’adozione di particolari accorgimenti in funzione della natura del prodotto;
-) le istruzioni per l’uso, ove necessario;
-) il luogo di origine o di provenienza, nel caso in cui l’omissione possa indurre in errore l’acquirente circa l’origine o la provenienza del prodotto;
-) la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti, caratterizzante ed evidenziato dal produttore.


La denominazione di vendita, la quantità, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza devono figurare nello stesso campo visivo.


Alle citate menzioni vano poi aggiunte ulteriori indicazioni qualora il caso di regole per l’utilizzo dei segni di qualità regolamentata (denominazioni di origine o prodotti biologici), per i quali sono previste una ulteriore serie di informazioni.


Per i prodotti a denominazione, andranno indicati anche:
-) Designazione di Origine;
-) La dizione D.O.P. – Denominazione di origine protetta o I.G.P – Identificazione Geografica Protetta;
-) Logo dell’eventuale Consorzio;
-) Logo DOP o IGP;
-) Estremi del Regolamento di riferimento;


Per i Prodotti Biologici:
-) Il riferimento al metodo di produzione (“biologico”) correlato alla denominazione del prodotto;
-) Il riferimento al metodo di produzione (“biologico”) correlato ai singoli ingredienti;
-) Eventuale logo comunitario;
– ) Codice organismo di Controllo e codice operatore


Ora in dettaglio alcuni aspetti delle menzioni obbligatorie.


La denominazione di vendita


E’ intesa come il nome del prodotto, e non il marchio o la denominazione di fantasia. La denominazione di vendita è definita dalla legge o consacrata dall’uso. Quindi, il prodotto dovrà sempre riportare, a seconda dei casi marmellata, pasta, specialità alimentare, confettura, ecc. Inoltre va inserita, se del caso, una indicazione relativa allo stato fisico in cui si trova il prodotto alimentare o al trattamento specifico da esso subito (ad esempio: in polvere, concentrato, liofilizzato, surgelato, affumicato);


L’elenco degli ingredienti


Disposti in ordine di peso decrescente devono essere preceduti dal termine “Ingrediente”, ed indicati con il nome specifico (farina di frumento duro, pomodoro, albicocche, ecc.). Regola di eccezione riguarda le categorie incluse nell’allegato I e allegato II Sez. 1 del Decreto L.vo 109/1992, riconducibili a:


  1. gruppi di ingredienti, quali ad es. oli raffinati diversi da quello di oliva, che possono essere designati genericamente come oli, completati dal qualificativo “vegetale” o “animale” a seconda dei casi;
  2. additivi da indicare con il nome della categoria (es. Conservanti o Coloranti) e dal nome specifico o dal codice CE (es. E 251)

Anche l’acqua aggiunta al prodotto viene considerata come ingrediente e pertanto ne deve essere riportato il quantitativo in etichetta.
Nel caso di miscugli di frutta, ortaggi, funghi, spezie e piante aromatiche, in cui nessuna delle componenti abbia una predominanza di peso rilevante, gli ingredienti possono essere elencati in un altro ordine, purché la loro elencazione sia accompagnata da una dicitura del tipo «in proporzione variabile».
Gli ingredienti, che costituiscono meno del 2 % nel prodotto finito, possono essere elencati in un ordine differente dopo gli altri.
Qualora si utilizzi un ingrediente composto (es. pasta di nocciole, che a sua volta si compone di zucchero, nocciole, olio di palma, olio di girasole, lecitina e vaniglia), vanno specificati in dettaglio i suoi costituenti. Quanto detto non è obbligatorio solo se l’ingrediente rappresenta meno del 2% del prodotto finito.


E’ possibile non menzionare i costituenti di un ingrediente composto solo se:


  1. è definito da normative comunitarie (prodotti di cioccolato, succhi di frutta, confetture, ecc) ed inferiore al 2%;
  2. è costituito da miscugli di spezie ed inferiore al 2%;
  3. quando l’ingrediente è un prodotto alimentare per il quale la normativa comunitaria non ne rende obbligatoria l’elencazione degli ingredienti (es. burro, formaggi, latte)

E’ importante che, nel caso di approvvigionamento dall’esterno, inteso come prodotti non realizzati in azienda ma acquistati da fornitori, siano acquisite le schede tecniche delle materie prime (es. preparato a base di frutta per yogurt) e se ne valuti in maniera adeguata il contenuto, inclusi gli eventuali additivi presenti e le dosi degli elementi qualificanti quali la frutta.
Una scheda informativa di un prodotto è una etichetta tecnica che specifica la composizione e le modalità di utilizzazione del prodotto ma che è destinata ad operatori del settore. La valutazione di questa presuppone una conoscenza adeguata degli additivi presenti nel preparato, in modo tale da evitare eventuali additivi forse non particolarmente graditi al consumatore, incoerenti con il prodotto e potenzialmente in grado di svilire il valore “naturale” ad esso associato.


Ingredienti “particolari”


La legislazione considera quattro tipologie di ingredienti particolari, in quanto non assimilabili a quelli comunemente usati e distinti in: allergeni, aromi, additivi, di tipo “evidenziato” e “caratterizzanti” il prodotto.
Nei primi tre casi si tratta di ingredienti dotati di specificità oggettiva, gli allergeni sono riconosciuti come potenzialmente pericolosi per alcune categorie di persone, gli aromi e gli additivi per il contributo che danno al prodotto in termini di sapidità, stabilità, aspetto ed altro ancora. L’ultimo caso riguarda un ingrediente dotato di specificità soggettiva, ovvero attribuita dal produttore ai fini della caratterizzazione del prodotto mediante l’evidenziazione dell’ingrediente. E’ il caso di prodotti del tipo “torta alle pesche”, “dolce al cioccolato”, “biscotti al farro”, dove l’ingrediente caratterizzante è evidenziato mediante associazione alla denominazione commerciale del prodotto.


Aromi


Chimicamente, l’aroma di un alimento è una complessa miscela di svariate molecole organiche, armonicamente legate tra loro. Per le preparazioni alimentari, gli aromi vengono utilizzati allo scopo di ottimizzare e perfezionare la standardizzazione degli alimenti.
Vanno indicati in etichetta con il termine di «aromi», con una indicazione più specifica oppure con una descrizione dell’aroma, in alternativa i tre casi.
Il termine “naturale” o qualsiasi altra espressione avente un significato sensibilmente equivalente può essere utilizzato soltanto per gli aromi la cui parte aromatizzante contenga esclusivamente sostanze naturali. Se l’indicazione dell’aroma contiene un riferimento alla natura o all’origine vegetale o animale delle sostanze utilizzate, il termine “naturale” può essere utilizzato soltanto se la parte aromatizzante è stata isolata mediante opportuni processi fisici, enzimatici o microbiologici.
Fanno eccezione il chinino e la caffeina, utilizzati come aromi nella fabbricazione o nella preparazione dei prodotti alimentari, devono essere indicati nell’elenco degli ingredienti del prodotto composto con la loro denominazione specifica,immediatamente dopo il termine “aroma”.
Gli aromatizzanti si possono indicare in etichetta come:
. aromi naturali: sono aromatizzanti naturali, ottenuti sia per estrazione che per sintesi, a partire da piante o da animali.
. aromi: sono sostanze chimiche artificiali a carattere aromatizzante.


Additivi


Sono composti con funzione prettamente tecnologiche, in etichetta devono essere indicati con il nome della categoria, seguita per gli additivi dal nome specifico o dal numero CE. Elencati nell’allegato II del D.L.vo 109/1992, sono distinti in 22 categorie, tra le quali le più usuali sono rappresentate da coloranti, conservanti, antiossidanti, esaltatori di sapidità, regolatori di acidità, amidi modificati, edulcoranti, agenti lievitanti.
Questi prodotti, se utilizzati, vanno indicati in etichetta mediante la categoria seguita dal nome specifico o dalla classificazione CE. In es. “coloranti: E140”, oppure “coloranti: Clorofilla”.
In alcuni alimenti ne è vietato l’utilizzo, quali l’olio extravergine di oliva, latte fresco pastorizzato, yogurt al naturale, miele, zucchero, paste alimentari secche.


Allergeni


Sono elencati nell’allegato II – Sezione III del D.L.vo 109/1992. Se presenti nel prodotto finito, indipendentemente dalla quantità, devono essere indicati secondo le modalità di seguito riportate.
Caso 1. Se il nome dell’allergene figura nella denominazione di vendita o nell’elenco degli ingredienti, nessuna ulteriore indicazione è richiesta (Es. Pasta all’uovo)
Caso 2. Se il nome dell’ingrediente derivato da un allergene non porta alcun riferimento ad esso, occorrerà integrare il nome per rendere evidente la presenza dell’allergene: caseine (da latte), lecitine (di soia), amido (di frumento).
Caso 3. In relazione a quest’ultimo caso, se l’allergene è già menzionato come ingrediente, non viene richiesta l’integrazione di cui al caso 2: Ad esempio il caso di – pasta fresca con ripieno di grana padano e prosciutto (pasta: farina di grano tenero; uova 20%; ripieno: grana padano 10%, latte, conservante lisozima, caglio, sale, prosciutto 5%). Non vengono, quindi, menzionati l’uovo nel lisozima né le tracce di farina di frumento nel prosciutto in quanto già in elenco.


Ingrediente “caratterizzante”


E’ tra le situazioni più comuni in un preparato alimentare e dove, a livello aziendale, si dimentica che la norma prevede che l’indicazione della quantità di un ingrediente (o di una categoria di ingredienti), usata nella fabbricazione o nella preparazione di un prodotto alimentare, è obbligatoria, se:
-) l’ingrediente risulta nella denominazione di vendita o sia generalmente associato dal consumatore alla denominazione di vendita;
-) qualora l’ingrediente sia messo in rilievo nell’etichettatura con parole, immagini o rappresentazione grafica;
-) qualora l’ingrediente o la categoria di ingredienti sia essenziale per caratterizzare un prodotto alimentare e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso per la sua denominazione o il suo aspetto.


I casi in cui la regola non si applica sono i seguenti:
1) l’indicazione della quantità dell’ingrediente è obbligatoria per legge (netta sgocciolata se in liquido di governo oppure ai sensi di disposizioni comunitarie);
2) l’ingrediente è utilizzato in piccole dosi come aromatizzante;
Si aggiungono a queste un’altra serie di condizioni di tipo molto più particolare per le quali si rimanda al testo del Decreto. Il principio di questo aspetto della norma è comunque basato su fatto che se un prodotto viene “qualificato” attraverso l’evidenza di un suo componente (cioccolato, mirtillo, nocciola, ecc.) il produttore è obbligato a comunicare la quantità dell’ingrediente, in quanto questa può veicolare la scelta del consumatore. La regola trova eccezione solo nel caso in cui la quantità dell’ingrediente è già evidente o definita da norme comunitarie (caso delle confetture, derivati del pomodoro, ecc.)


Esenzioni dall’indicazione degli ingredienti


E’ possibile non indicare gli ingredienti quando:
1) nei prodotti costituiti da un solo ingrediente, a meno di norme specifiche sul prodotto e che la denominazione di vendita sia identica al nome dell’ingrediente (es. Farina di mais),
2) negli ortofrutticoli freschi, comprese le patate, che non siano stati sbucciati, tagliati, o che non abbiano subito trattamenti;
3) nel latte e nelle creme di latte fermentati, nei formaggi, nel burro, purché non siano stati aggiunti ingredienti diversi dai costituenti propri del latte, dal sale o dagli enzimi e colture di microrganismi necessari alla loro fabbricazione; in ogni caso l’indicazione del sale è richiesta per i formaggi freschi, per i formaggi fusi e per il burro;
4) per prodotti che non sono definiti ingredienti ma con essi confondibili, quali tutti i tipi di coadiuvanti tecnologici utilizzati nel processo ma che non residuano nel prodotto finito se non in una quantità ridotta e a condizione che questi residui non costituiscano un rischio per la salute. La esenzione appena citata non è valida quando l’additivo è anche allergene (es. derivati del glutine o delle uova)
5) L’indicazione dell’acqua non è richiesta se l’acqua è utilizzata nel processo di fabbricazione unicamente per consentire la ricostituzione nel suo stato originale di un ingrediente utilizzato in forma concentrata o disidratata. Nel caso di liquido di copertura che non viene normalmente consumato.


La quantità


Nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, va indicata sulla confezione la quantità nominale definita come la massa o il volume indicato sull’imballaggio e corrisponde alla quantità di prodotto netto che si ritiene debba contenere.
La quantità netta di un preimballaggio è la quantità effettiva che esso contiene al netto della tara.
Ciò comporta che quantità netta (effettiva) sia tendenzialmente superiore, per garanzia del produttore, a quella nominale (dichiarata e promessa in confezione).
La quantità inoltre deve essere espressa in unità di volume per i prodotti liquidi ed in unità di massa negli altri casi.


Il termine minimo di conservazione o la data di scadenza


Il termine minimo di conservazione è la data fino alla quale il prodotto alimentare mantiene le sue proprietà in adeguate condizioni di conservazione; si indica con “da consumarsi preferibilmente entro” quando la data prevede l’indicazione del giorno (es. 12/15/2006) o con la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro la fine” negli altri casi (es. 15/2005).
Il termine minimo di conservazione si compone dell’indicazione nell’ordine, del giorno, del mese e dell’anno e può essere espresso:
a) con l’indicazione del giorno e del mese per i prodotti alimentari conservabili per meno di tre mesi;
b) con l’indicazione del mese e dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di tre mesi ma per meno di diciotto mesi;
c) con la sola indicazione dell’anno per i prodotti alimentari conservabili per più di diciotto mesi.


Se è necessario adottare, nello specifico, particolari attenzioni per garantire la conservazione del prodotto, queste vanno indicate esplicitamente (condizioni di conservazione).
Tra i prodotti esentati dall’indicazione del termine minimo di conservazione troviamo gli ortofrutticoli freschi che non abbiano subito alcuna lavorazione (sbucciatura, taglio), i vini, le bevande con contenuto alcolico maggiore o uguale al 10%, i prodotti della panetteria e della pasticceria che, per loro natura, sono normalmente consumati entro le 24 ore successive alla fabbricazione; gli aceti; ecc.


Se i prodotti preconfezionati sono rapidamente deperibili dal punto di vista microbiologico il termine minimo di conservazione è sostituito dalla data di scadenza; essa deve essere preceduta dalla dicitura “da consumarsi entro” seguita dalla data stessa o dalla menzione del punto della confezione in cui compare l’informazione (ad es. sulla capsula di chiusura). La data di scadenza comprende, nell’ordine ed in forma chiara, il giorno, il mese ed eventualmente l’anno. E’ inoltre prevista l’enunciazione delle condizioni di conservazione e, qualora prescritto, un riferimento alla temperatura in funzione della quale è stato determinato il periodo di validità.
L’indicazione del termine minimo di conservazione o della data di scadenza deve figurare in modo facilmente visibile, chiaramente leggibile e indelebile, secondo modalità non meno visibili di quelle indicanti la quantità del prodotto, ed in un campo visivo di facile individuazione da parte del consumatore .


Il nome e la sede del fabbricante o del confezionatore


E’ intesa la sede legale del distributore, nel caso, anche fabbricante o confezionatore. E’ possibile utilizzare anche un marchio registrato, purché consenta di identificare in modo univoco il titolare.


La sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento


L’indicazione della sede dello stabilimento di fabbricazione o confezionamento può essere omessa quando è la stessa sede del fabbricante, commercializzatore o confezionatore. In pratica, il produttore (o confezionatore) ed il commercializzatore coincidono.
Ciò avviene quando un’impresa produttrice (o confezionatrice) dispone di un unico stabilimento allo stesso indirizzo della sede legale o sociale. E’ il caso di un’azienda agricola con piccolo laboratorio di produzione annesso.
In via analoga l’indirizzo dello stabilimento di produzione può essere omesso se in presenza di bollo sanitario.


L’azienda che commercializza un prodotto realizzato da terzi può omettere il nome del fabbricante ma deve comunque indicare l’indirizzo dello stabilimento. Se il confezionamento è effettuato presso l’azienda, la sede dello stabilimento di produzione può essere omessa.


Il lotto


La norma richiede una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto. Il lotto di prodotto è definito come un insieme di unità di vendita, prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze praticamente identiche. I prodotti alimentari non possono essere posti in vendita qualora non riportino l’indicazione del lotto di appartenenza che viene determinato dal produttore.
Il lotto deve essere facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile. E’ preceduto dalla lettera «L», salvo nel caso in cui sia riportato in modo da essere distinto dalle altre indicazioni di etichettatura.
La definizione di lotto lascia ampi spazi organizzativi al produttore, in quanto può essere interpretata con diversi livelli di complessità. E’ compito dell’operatore identificare il lotto che meglio si adatta alle caratteristiche organizzative e strutturali della realtà aziendale e lo trasferisce in etichetta. Ciò comporta una comunicazione con diverso grado informativo, che varia dal “lotto 1/2006” fino alla “bottiglia n. 12 di 10.000”.


L’indicazione del lotto non è richiesta quando 1) il termine minimo di conservazione o la data di scadenza figurano con la menzione almeno del giorno e del mese; 2) per i prodotti alimentari venduti nei luoghi di produzione o di vendita al consumatore finale confezionati su richiesta dell’acquirente o preconfezionati ai fini della loro vendita immediata; 3) per le confezioni ed i recipienti il cui lato più grande abbia una superficie inferiore a 10 cm2.


Le indicazioni volontarie


Per indicazione volontaria si intende un qualsiasi messaggio, segno o rappresentazione, figurativa, grafica o simbolica riferita ad un dato alimento e non obbligatoria a norma della legislazione vigente.
Le indicazioni volontarie possono essere ricondotte alle seguenti tipologie:


  1. tecniche;
  2. valorizzanti, a loro volta classificabili in,
    1. nutrizionali;
    2. salutistiche;
    3. di processo.

Indicazioni tecniche


Sono relative ad alcune informazioni di tipo oggettivo e volte ad agevolare l’utilizzo del prodotto, evidenziare alcune caratteristiche o favorire il corretto smaltimento dei contenitori. Si tratta di messaggi inerenti i materiali di confezionamento, le modalità di conservazione od utilizzo, i consigli ambientali, ecc. Fanno parte di questa categoria anche le “etichette nutrizionali”, quando le informazioni riportate non sono accompagnate da alcun commento ad evidenza di particolari proprietà.


Indicazioni valorizzanti


Sono riconducibili a messaggi mirati a “catturare” l’attenzione del consumatore al fine di rendere preferibile la proposta rispetto ad altre simili od assimilabili. E’ uno strumento molto incisivo nel veicolare le preferenze, focalizzando l’attenzione del potenziale acquirente su alcune proprietà e peculiarità del prodotto. Si assiste allo stimolo della sensibilità individuale, che porta ad evocare virtù olistiche dell’alimento, correlate alla salute, al territorio o all’ambiente.


Indicazioni nutrizionali e salutistiche


Riferite alle proprietà nutritive o all’eventuale rapporto tra alimento e salute umana. Tali indicazioni sono oggetto di una recente norma comunitaria. Infatti, considerata la proliferazione nel numero e nel tipo di menzioni nutrizionali e salutistiche figuranti sulle etichette dei prodotti alimentari e, in assenza di disposizioni specifiche a livello europeo, il legislatore ha ritenuto doverosa una regolamentazione del settore. Il dettato legislativo prevede la definizione di parametri oggettivi e standardizzati, corrispondenti a determinate indicazioni (“claims”), quali ad esempio:


  1. “ridotto contenuto di calorie/light/leggero”, solo nel caso di valore energetico ridotto di almeno il 30 % , con indicazione delle caratteristiche distintive;
  2. “fonte di fibre”, se almeno 3 gr per ogni 100 gr;
  3. “senza zuccheri aggiunti”, solo nel caso di nessuna aggiunta, inclusi altri alimenti per le loro proprietà dolcificanti;
  4. “basso contenuto di calorie”, con meno di 40 Kcal per 100 gr (o 20 Kcal per 100 ml)
  5. ecc.

Le indicazioni salutistiche, intese come comunicazione di un rapporto tra alimento ed effetti benefici sulla salute, diretti (“healt claims”) o indiretti (“disease-risk reduction claims”), dovranno trovare conforto e sostegno in prove scientifiche. Tali correlazioni (alimento/virtù) saranno elencate dalla comunità europea mediante atto legislativo o, potranno essere “coniate” ex-novo da ditte private attraverso una procedura di autorizzazione. Questa procedura si applica sia nel caso di innovazioni tecnologiche vere e proprie (“novel foods”), sia nel caso di scoperte relative a proprietà nutrizionali di alimenti di tipo tradizionale.
La norma interessa anche le piccole imprese, in quanto, potranno “attingere” dall’elenco comunitario ed avvalersi di diciture e menzioni tutelate da una garanzia giuridica ed in grado di valorizzare il prodotto realizzato, anche al semplice livello di azienda agricola.


Indicazioni di processo


Riguardano tutte le indicazioni non soggette a regolamentazione che specificano alcune caratteristiche del processo produttivo. Anche in questo caso, seppur con atti legislativi “verticali”, per singola categoria di prodotti, è evidente la volontà legislativa di regolamentare questo genere di diciture. Ne sono esempio ed emblema prodotti come il latte fresco, l’olio di oliva (non “d’oliva”, si veda il Reg. CE 1019/2002 per il riferimento al procedimento), la passata di pomodoro, ed altri.
Nei casi non regolamentati è possibile, in via facoltativa, valorizzare alcuni aspetti del metodo produttivo, fermo restando l’attenta lettura delle leggi che regolano il prodotto nello specifico, al fine di evitare errori grossolani e sanzioni inaspettate.


La valorizzazione consiste nel qualificare, rispetto all’interpretazione dell’azienda, la cura prestata ad una componente del processo produttivo. Si intende quindi dare risalto ad alcuni aspetti quali, ad esempio:


  1. l’attenzione alla selezione, coltivazione, origine delle materie prime selezionate;
  2. il rispetto dell’ambiente o dei diritti di chi collabora alla realizzazione del prodotto;
  3. la cura nel processo, in termini di garanzie di sicurezza, igiene, tempistica nelle lavorazioni, controlli nei parametri che consentono di preservare fragranza e freschezza, ecc.

Alcune possibilità dichiarative sono inoltre favorite ed incoraggiate dai sistemi di certificazione su base volontaria. In questo caso, l’azienda supera quanto imposto dalla legislazione e si pone vincoli maggiori e obiettivi più elevati. Il raggiungimento di quanto programmato assume il valore di una promessa mantenuta e si traduce in una comunicazione ai diretti interessati, operatori o consumatori.


Una serie di indicazioni a valorizzazione del prodotto possono essere quindi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo:


  1. lavorato in giornata;
  2. con l’esclusivo utilizzo di materie prime ottenute in azienda;
  3. con metodi di lotta integrata;
  4. nel rispetto dell’ambiente, sistema di lotta integrata in conformità a…..;
  5. 100 % da prodotto italiano;
  6. dalle nostre api (olivi, animali, o quant’altro);
  7. solo da animali allevati in azienda;
  8. nel rispetto del benessere degli animali;
  9. dove il cielo incontra la terra
  10. lavorato appena colto;
  11. varietà locali;
  12. dai nostri campi alla vostra tavola;
  13. raccolti a mano;
  14. “Riserva” Casa dei Campi;
  15. nel segno della tradizione (dei valori, o quant’altro);
  16. ecc.

E’ fondamentale ricordare che le dizioni in elenco non sono utilizzabili tal quale indipendentemente dal prodotto considerato ma si rende necessario valutare ogni singolo caso.


Per concludere


Interessante è l’attenzione del legislatore a modalità e forme sempre più leali di comunicazione verso il consumatore, al fine di garantire una maggiore serenità nelle scelte e fiducia nel sistema.
Pertanto, al momento di predisporsi a realizzare un nuovo prodotto, per quanto attiene l’etichetta da apporre sulla confezione, occorre una indagine preliminare su eventuali regole specifiche. Infatti, anche per l’etichettatura, come per altri aspetti del settore agroalimentare, esistono norme dette “orizzontali”, valide per l’intero settore, e norme “verticali”, specifiche per un dato comparto se non per un determinato prodotto (es. Olio di oliva).
Il primo riferimento è sempre da ricercare in indicazioni normative di tipo generale, come quelle indicate nei paragrafi precedenti e valide per qualsiasi prodotto immesso in commercio come etichettato. Segue poi la ricerca di riferimenti di tipo specifico come nel caso della passata di pomodoro, olio d’oliva, marmellate, miele, per citarne alcuni.
Altro elemento fondamentale, accennato in precedenza, è la corretta valutazione ed armonizzazione degli ingredienti, sia di origine aziendale che acquisiti sul mercato. Mentre per i primi l’azienda contribuisce attivamente alla realizzazione e ne conosce i valori e le caratteristiche, per i secondi deve effettuare una ricerca e valutazione di prodotti coerenti con i primi, in termini di qualità ma soprattutto valori. Vanno pertanto privilegiati ingredienti semplici, selezionati per origine, qualità e storia, con un uso limitato di additivi e se possibile di tipo naturale o tradizionale per la cultura agricola locale.
Anche la comunicazione va vista in termini di lealtà e trasparenza, senza nascondere gli ingredienti dietro sigle o codici. L’ingrediente deve essere evidenziato per il suo contributo al prodotto finito, da leggere in chiave positiva come “arricchimento” o “perfezionamento”.


La ricetta del prodotto, intesa come interazione tra ingredienti, cultura e ambiente, deve essere coerente con l’azienda ed i valori che si intende trasmettere, legati alla tradizione, alla genuinità ed alla ruralità.


Riferimenti Bibliografici e normativi:


  1. Decreto L.vo 27.1.92 n. 109 – Attuazione delle direttive 89/395/CEE e 89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari. Modificato con i Decreti Legislativi n.68 del 25 febbraio 2000 e n.259 del 10 agosto 2000, dal Decreto Legislativo n.181 del 23 giugno 2003 e, di recente, dal Decreto Legislativo 8 febbraio 2006, n.114.
  2. DIRETTIVA 2000/13/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 20 marzo 2000 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l’etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità
  3. Comunicazione pubblicitaria e informazione nel settore agro-alimentare. Alessandra di Lauro. Istituto di diritto agrario internazionale e comparato – Firenze. Giuffrè Editore – Milano. 2005.
  4. Il diritto alimentare tra comunicazione e sicurezza. Alberto Germanò – Eva Rook Basile. G. Giappichelli Editore. Torino. 2005.
  5. Etichette e pubblicità principi e regole. Dario Dongo. Edagricole. 2004.
  6. Regolamento (CE) n. 258/97 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 gennaio 1997 sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari.
  7. Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.

  • Così come introdotto dall’art. 4 del DECRETO-LEGGE 31 gennaio 2007, n.7 (secondo pacchetto Bersani), Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese. (GU n. 26 del 1-2-2007) che modifica l’articolo 3 del D. lgs. n. 109/1992. In applicazione entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.
  • Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 dicembre 2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari.
  • Ambito di applicazione del Reg. CE 258/97, tratta l’immissione in commercio di “nuovi” prodotti o ingredienti alimentari. Il concetto di “nuovo” è riferito sia al contenuto alimentare sia alle tecniche di produzione, non ancora utilizzati in misura significativa per il consumo umano all’interno della Comunità Europea.


Donato Ferrucci, Dottore agronomo libero professionista, riveste attualmente l’incarico di Responsabile di Bioagricert Lazio e di Cultore della materia presso la cattedra di Gestione e Comunicazione d’Impresa” – Facoltà di Scienze della Comunicazione, Università degli Studi della Tuscia. E-mail: donatoferrucci@alice.it

Micaela Giangrandi, Dottore in Scienze Agrarie libero professionista è esperta in controllo e certificazione dei prodotti alimentari.


 






Atlante razze autoctone
Non c’è sull’etichetta
Quello che mangiamo senza saperlo
Felicity Lawrence – Einaudi – Marzo 2005


In maniera analoga alla fondamentale inchiesta di Eric Schlosser sul Fast food, l’autrice risale, curiosa e precisa, lungo le filiere della produzione alimentare piú comune. Ne emerge un quadro triste, a tratti scandaloso: gran parte del settore agro-industriale è povero di gusto, ingiusto, inquinante, socialmente iniquo, potenzialmente pericoloso per la nostra salute.
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