La sottozona fitoclimatica “lauretum II° freddo” del Gargano
L’influenza del suolo e del clima sullo sviluppo delle associazioni vegetali
Il Gargano secondo la classificazione Mayr-Pavari (1916)
Si definisce “zona fitoclimatica” la distribuzione geografica, associata a parametri climatici, di un’associazione vegetale rappresentativa, composta da specie omogenee sotto il profilo climatico. Il concetto di zona fitoclimatica trova riscontro in selvicoltura, ecologia forestale e botanica, allo scopo di definire gli areali vegetazionali delle specie vegetali senza dover tenere conto del rapporto tra altitudine e latitudine. Difatti, la suddivisione del territorio in zone fitoclimatiche omogenee, tiene in considerazione il riscontro tra associazioni vegetali simili, dislocate in aree geografiche differenti per altitudine e latitudine, ma confrontabili tra loro per regime termico e pluviometrico. Esistono attualmente vari schemi di classificazione. In Italia si utilizza, tendenzialmente, il modello elaborato da A. Pavari nel 1916 sulla base della suddivisione per quota e latitudine proposto da H. Mayr (1906), chiamato appunto “Mayr-Pavari” e migliorato da A. De Philippis nel 1937. I parametri climatici di riferimento sono le temperature medie dell’anno, del mese più caldo, del mese più freddo e le medie di minimi. Ogni zona è suddivisa in tipi e sottozone, in base alla temperatura e, per alcune zone, alla piovosità. Secondo tale classificazione, il territorio italiano è suddiviso in 5 zone, associate in genere al nome di una specie vegetale rappresentativa, che sono rispettivamente, dalla più calda alla più fredda: Lauretum (Laurus nobilis), Castanetum (Castanea sativa), Fagetum (Fagus sylvatica), Picetum (Picea abies), Alpinetum. La classificazione conserva, come si può osservare, la successione altitudinale delle zone temperate proposta da Mayr. Da come si può vedere in Fig. 1, il Promontorio del Gargano rientra ufficialmente nella zona a Lauretum. Questa è contraddistinta da temperature piuttosto calde con inverni miti, piovosità contenuta e presenza costante di macchia mediterranea bassa, media o alta. Il Lauretum è suddiviso in tre tipi, corrispondenti a differenti regimi pluviometrici: il I° tipo, con piogge uniformemente distribuite nel corso dell’anno; il II° tipo, con siccità estiva; il III° tipo, senza siccità estiva. Il Gargano rientra (in massima parte) nel 2° tipo, possedendo un regime pluviometrico distribuito in modo piuttosto disomogeneo nel corso dell’anno, con punte di piovosità in tardo autunno e primavera e siccità estiva prolungata nei mesi di luglio-agosto. Ciascun tipo è ulteriormente suddiviso in sottozone, in base al regime termico: calda, media e fredda. La sottozona calda ha temperature medie annue comprese tra 15°C e 23°C, la media del mese più freddo >7°C e la media dei minimi >-4°C. La sottozona media ha temperature medie annue comprese tra 14°C e 18°C, la media del mese più freddo >5°C e la media dei minimi >-7°C. La sottozona fredda ha temperature medie annue comprese tra 12°C e 17°C, la media del mese più freddo >5°C e la media dei minimi >-9°C. Il Gargano passa dalla sottozona calda a quella fredda, lungo un gradiente orientato circa SW-NE: la costa di Manfredonia e i versanti Sud di Monte degli Angeli, Monte Saraceno e Punta Rossa presentano i più elevati valori termici, la più intensa siccità estiva e risultano completamente schermati dai venti freddo-umidi di grecale, mentre la costa compresa tra Peschici e Vieste, battuta dai venti nordorientali per gran parte dell’anno, si caratterizza per temperature più moderate e uniformi, maggiori quantità di precipitazioni non temporalesche e assenza di venti caldo-secchi meridionali, bloccati dall’altopiano centrale. Si configura così un passaggio graduale dalla sottozona calda della costa alta tra Manfredonia e Pugnochiuso (e in minima parte lungo la costa Nord presso le lagune di Lesina e Varano), alla sottozona fredda che interessa Bosco Quarto, l’Altopiano delle Chiancate, i rilievi di Monte Calvo, La Foresta Umbra e le aree collinari costiere di Monte d’Elio, San Menaio e Manacore. La sottozona media è rappresentata da una stretta fascia di raccordo, non ben definita e variabile nel tempo, che copre all’incirca le località di Rignano, Sannicandro, Cagnano, Carpino, le parti alte del territorio comunale di Rodi, quelle basse di Ischitella e Vico, le pendici della Foresta Umbra e la Valle Carbonara. Per le peculiari caratteristiche orografiche, tra Ischitella, Vico e la Foresta Umbra si prefigurano le condizioni tipiche di una zona a Fagetum, fortemente limitata ad alcuni versanti montuosi e intervallata da cerrete della zona a Castanetum: è il biotopo delle faggete garganiche depresse.
Le zone fitoclimatiche italiane, secondo la classificazione di Mayr-Pavari.
L’influenza del substrato geologico sull’optimum vegetazionale
Il substrato geologico guida la pedogenesi, che si esplica con modalità e intensità differenti a seconda delle condizioni meteoclimatiche del sito. Il regime pedogenetico, a sua volta, genera suoli differenti in base a numerosi fattori che dipendono dalle caratteristiche al contorno: pendenza, esposizione, ventilazione, rocciosità, pietrosità, fenomeni gravitativi di versante, presenza d’acqua stagnante o corrente, destinazione agricola, tecniche di coltivazione, impatto antropico, presenza di vegetazione spontanea, incendi. Il Promontorio del Gargano è parte dell’Avampaese Adriatico, che durante il Mesozoico costituiva una zona di piattaforma carbonatica e ciglio di scarpata nel settore occidentale, di scarpata e transizione al bacino profondo in quello orientale. Le condizioni paleoecologiche durante il Mesozoico (mare basso, acque temperate, limpide, mosse e pulite) hanno generato sedimenti carbonatici molto potenti, formati da fossili di organismi bentonici (lamellibranchi, gasteropodi, coralli, briozoi) e planctonici (foraminiferi) che oggi affiorano come successioni di strati calcarei spesse centinaia di metri, presenti in tutto il Promontorio con facies di piattaforma ad Ovest (calcari massicci, carsificati e fossiliferi) e di scarpata e bacino a Est (maiolica, calcilutiti, calcari pelagici di scaglia bianca con liste e noduli di selce). Crolli imponenti durante il Cretacico e, successivamente, nel Paleogene, hanno generato grossi corpi di megabreccia, visibili oggi a Monte Sant’Angelo, Cagnano, Peschici e Ischitella. Nell’Eocene si è generata una vasta piattaforma con foraminiferi bentonici di tipo Nummulites, rapidamente franata verso il bacino profondo: oggi costituisce la Formazione delle calcareniti di Peschici. Nel Miocene i sedimenti carbonatici sono stati coperti da materiale arenaceo-conglomeratico di età tortoniana, dopodiché il Promontorio, a seguito di un forte uplift, conseguente alla formazione della vicina Catena Appenninica, ha assunto la conformazione attuale. Dal Pliocene ad oggi i calcari del Gargano sono stati esposti per oltre quattro milioni di anni all’azione incessante degli agenti atmosferici: vento, neve, ghiaccio nei periodi glaciali, alternanze caldo-freddo e, soprattutto, acqua piovana. Quest’ultima, in virtù dell’anidride carbonica atmosferica, si trasforma in minima parte in acido carbonico H2CO3, diventando chimicamente aggressiva. Quando l’acido carbonico attacca le rocce carbonatiche, scioglie il carbonato di calcio CaCO3, che si trasforma in bicarbonato Ca[HCO3]2 e viene dilavato. Il carsismo è il complesso di fenomeni morfogenetici che si esplicano sulle rocce chimicamente solubili a partire dall’acqua piovana. Il Gargano è modellato in modo piuttosto intenso dal carsismo, che nel tempo ha generato campi di doline (l’Altopiano delle Chiancate ha la massima concentrazione di doline in Italia, >100 per km2), polje, valli carsiche, inghiottitoi, grotte, condotti, campi carreggiati, idrografia sotterranea e molti altri fenomeni particolari, tutti contraddistinti dall’assenza, quasi totale, di reticoli idrografici superficiali. Il settore occidentale, contraddistinto da rocce calcaree massicce e porose, ha avuto una rapida ed intensa evoluzione verso il carsismo a cockpit, mentre i calcari con selce e le marne del settore orientale rallentano molto il processo. Il prodotto del regime pedogenetico di calcificazione, attivo alle medie latitudini sui substrati calcarei, è un suolo residuale rosso-bruno, di granulometria limoso-argillosa, costituito dall’accumulo di ossidi, idrossidi e sesquiossidi di Fe3+ e Al3+: diasporo, bohemite, gibbsite, goethite. In condizioni di clima caldo-umido, la lisciviazione accelerata dei minerali meno stabili guida la pedogenesi verso il regime di laterizzazione e il prodotto finale è il suolo lateritico o la bauxite. Nei record stratigrafici del Cretacico si riscontrano livelli spessi di bauxite, per cui, è testimoniato che al Gargano sono stati attivi sia il regime di laterizzazione, che quello attuale di calcificazione. In prossimità delle dune eoliche, sugli istmi di Bosco Isola e Isola di Varano e lungo tutta la linea di costa, si registra un principio di salinizzazione. L’attuale regime fitoclimatico è in prevalenza termoxerofilo, per cui sono avvantaggiate le specie che resistono bene allo stress indotto dalla siccità estiva: presso la costa, in particolare nel Lauretum II caldo del settore meridionale, sono tipici i caratteri alofili e psammofili (resistenza alla salsedine ed alla sabbia). Il piano basale del Promontorio favorisce le sclerofille sempreverdi: vegetazione alofila, psammofila e idrofitica sulla duna eolica, macchia mediterranea lungo le scogliere, leccete, pinete a pino d’Aleppo e pseudomacchia caducifoglia submontana a Paliurus spina-christi nell’entroterra. I versanti che raccordano il Piano basale con l’altopiano centrale, specialmente a Sud, ospitano latifoglie eliofile: boschi misti termoxerofili ed eliofili e cerrete. In questo contesto è difficile individuare la divisione tra il Lauretum II freddo e la cintura di Castanetum che borda l’altopiano. L’altopiano stesso e i suoi versanti settentrionali presentano “isole” di Fagetum immerse nel Lauretum II freddo, costituite da latifoglie sciafile, nello specifico faggete e boschi misti di acero, cerro, frassino e abete. L’evoluzione pedogenetica ha dato luogo, col passare del tempo, a due profili caratteristici, ai quali possono essere ascritti quasi tutti i suoli del Promontorio. In prossimità delle coste, lungo tutto il settore meridionale tra Manfredonia e Pugnochiuso e sull’Altopiano delle Chiancate tra Sannicandro, Apricena e San Marco in Lamis si rileva la presenza di alfisuoli. Questi sono legati alla fase estrema della dissoluzione carsica del substrato carbonatico (calcareo, in subordine dolomitico e calcareo-marnoso) in regime di calcificazione, fenomeno tutt’ora in azione, ma anche durante le fasi sia incipienti che mature del regime di laterizzazione, oggi inattivo. Ciò implica che la calcificazione estrema delle rocce carbonatiche del settore orientale e la rapida laterizzazione delle stesse conducono allo stesso prodotto finale, una terra rossa debolmente marnosa, ricca in sesquiossidi di alluminio e Ferro residuale. Condizione necessaria per la rapida evoluzione è la presenza di rovesci intensi e ripetuti che, nel corso dell’anno dilavano sia il substrato che gli accumuli terrigeni, alternati a lunghi periodi di siccità. L’altopiano centrale, con la Foresta Umbra e i rilievi del Bosco Quarto, è caratterizzato, invece, da spesse coltri di suolo rosso-bruno, della potenza di una decina di metri negli avvallamenti, classificabile come mollisuolo ad impronta petrocalcica. In questo caso la componente litica è ben distribuita nella matrice sabbioso-limosa, ricca in humus. Si registra che la distribuzione dei mollisuoli dipende dalla quota ed essi sono quasi assenti al di sotto dei 200 m s.l.m. nel settore settentrionale e dei 300 m s.l.m. in quello meridionale. In corrispondenza della Formazione di Peschici si osserva la presenza di un alfisuolo rosso molto evoluto, sicuramente il più maturo della zona orientale del Promontorio; ciò è dovuto all’elevatissima carsificazione dei termini calcarenitici e brecciosi costituenti la formazione geologica. In definitiva gli alfisuoli, acidi e poco produttivi, si distribuiscono in corrispondenza degli affioramenti affetti da un carsismo maturo e generalmente a basse quote, mentre i mollisuoli sono presenti ad alta quota in corrispondenza di rocce meno carsificate e selciose. La natura geologica del substrato, tuttavia, non riveste un ruolo sostanziale: si ritiene che, allo stato attuale, il fattore che maggiormente guida la produzione e conservazione dei suoli sia la vegetazione stessa. Gli alfisuoli, che in origine costituivano il prodotto pedologico di tutti i substrati, hanno permesso la generazione di estese e fiorenti comunità di Pino d’Aleppo (Pinus halepensis), le più importanti d’Italia, mentre la naturale gradazione termica operata dalla quota ha fatto sì che le aree centrali si arricchissero sempre più di latifoglie di origine transadriatica. Le conifere, in particolar modo i pini, si moltiplicano rapidamente sui suoli ferrallitici (Fig. 2), rendendoli col tempo sempre più acidi e quindi non adatti alla proliferazione di latifoglie, ad eccezione del Leccio (Quercus ilex). Il risultato è che le pinete costiere si sono rapidamente evolute verso il loro stadio serale climax, costituito da comunità di Pinus halepensis con sottobosco a Pistacia lentiscus, Viburnum tinus, phyllirea angustifolia e Laurus nobilis. Il forte inacidimento ha impedito la penetrazione sia di latifoglie termoxerofile che eliofile e il suolo si è evoluto nella direzione iniziale. Alle alte quote, la presenza di essenze vegetali con richieste biologiche molto differenti, ha creato i presupposti per la formazione di coltri di suolo ferrallitico sempre più ricco in humus. Le prime comunità di Quercus pubescens, Acer campestris e Fagus sylvatica si sono impostate nelle porzioni più alte dei rilievi della Foresta Umbra, colonizzando poi tutto il versante settentrionale fino all’attuale bosco di Ischitella. La progressiva neutralizzazione del pH ad opera delle piante stesse ha reso i suoli più ospitali per la generazione di vastissime associazioni sia di alto fusto che di sottobosco. Quercus cerris, il Cerro comune, non è un’essenza autoctona tipica, ma promossa dall’uomo nel XIX secolo per la produzione di traversine ferroviarie all’epoca dell’espansione delle reti di comunicazione al Sud Italia.
Macchia mediterranea e Pinus halepensis su alfisuolo; calcari brecciosi della Formazione di Peschici.
L’azione dei venti nordorientali e l’effetto di barriera orografica
Per la sua configurazione morfologica aspra e rilevata, che descrive una penisola rocciosa protesa verso l’Adriatico, montuosa per la gran parte del suo territorio e delimitata su tre lati da imponenti e ripide scarpate di faglia, il Promontorio del Gargano costituisce una dorsale che, come poche altre in Italia, genera effetti di barriera orografica. Si definisce “barriera orografica” un rilievo o una dorsale che, per la ripidità ed estensione dei suoi versanti, provoca una deviazione sensibile, una anomalia di circolazione atmosferica o, nei casi estremi, l’interruzione completa del transito di masse d’aria rispetto al loro percorso teorico. Se il Gargano non esistesse, le masse d’aria freddo-umide portate dai venti di grecale e tramontana, dopo aver attraversato l’Adriatico con un fetch di oltre 450 km, spirerebbero verso l’entroterra, apportando clima piovoso e ventilato su Puglia e Basilicata, fino ad esaurirsi gradualmente in corrispondenza dei rilievi appenninici. Allo stesso modo, le masse d’aria caldo-umide del libeccio, provenienti da Sudovest, dopo essersi in gran parte scaricate sull’Appennino, si estinguerebbero gradualmente, apportando una residua umidità sulle isole della Dalmazia. Il contrafforte roccioso del Gargano, ripido e uniforme, genera una vistosa anomalia nella circolazione grecale-libeccio, bloccando le masse d’aria provenienti, rispettivamente, da Nordest e Sudovest. D’inverno, quando sono attive le porte della bora e della tramontana, le masse d’aria freddo-umide incontrano la costa settentrionale e sovrascorrono il versante Nord della Foresta Umbra, che ne rappresenta lo stau. Raffreddandosi, l’aria condensa sotto il punto di rugiada e genera precipitazioni nevose, ghiaccio e nevischio. Nei mesi caldi, invece, lo stesso fenomeno apporta venti freschi nel settore Nord dell’altopiano. Le masse d’aria, transitando oltre la linea di cresta, discendono verso la costa Sud a Mattinata: costrette a riscaldarsi in modo adiabatico per l’effetto lee, si espandono e generano aria secca. Simile e speculare è il fenomeno se si considerano i venti di libeccio. D’estate, quando in modo irregolare penetrano in Mediterraneo le perturbazioni atlantiche, le masse d’aria caldo-umide da Sudovest, dotate ancora di una umidità residua, sono costrette a salire lungo lo stau del versante meridionale. L’aria subisce un raffreddamento adiabatico, condensa e genera violenti rovesci temporaleschi sulla Foresta Umbra, dopodiché scende lungo il versante di lee, si riscalda e diviene secca, apportando tempo bello sulla costa settentrionale e sul mare. D’inverno il fenomeno è meno frequente, ma può tuttavia verificarsi. Il versante Nord è, dunque, responsabile della condensazione delle masse freddo-umide, mentre quello Sud lo è per le masse caldo-umide. Le masse d’aria secche, ovviamente, posseggono un potere di condensazione molto minore, irrilevante sotto questo aspetto. L’effetto di barriera orografica genera dunque due microclimi, che effettivamente marcano molto fedelmente i domini del Lauretum II freddo e caldo. Dove transitano, condensando, i sistemi di grecale, si ha un clima sublitoraneo fresco, con inverni rigidi, freddi e nevosi, mitigati dal mare in prossimità della costa ed estati miti. Nel settore centrale dell’Altopiano, tra Monte Spigno, Villaggio Umbra e Cutino Tagliente, il clima acquista caratteri di continentalità, con forti escursioni annue tra le massime estive e le minime invernali ed una tendenza a medie annue piuttosto contenute. Dove, invece, agiscono gli effetti della condensazione dei sistemi di libeccio, il clima è sublitoraneo caldo o litoraneo, con estati torride e secche, intervallate da violenti acquazzoni, ed inverni freschi e umidi, in genere contraddistinti da piovosità irregolare. La ventilazione lungo la costa settentrionale è piuttosto uniforme: i venti spirano con maggiore frequenza da N300, N360 e N040 (maestrale, tramontana e grecale), ma il quadrante più battuto è N010. Il fetch è massimo per il maestrale (oltre 450 km) e minimo per il grecale (meno di 250 km), di conseguenza il maestrale spira con maggiore intensità, ma è difficile che provochi condensazione delle masse d’aria. La macchia alta di Torre Mileto è orientata secondo la direzione dei venti prevalenti, con le chiome di fillirea e lentisco allungate verso Sud. La costa meridionale, invece, presenta un regime di ventilazione più vario, sia in termini di direzioni (N120, N180, N210) che intensità. Il fetch è massimo per lo scirocco (500 km) e minimo per il libeccio (50 km). Le mareggiate di scirocco apportano aria torrida e secca su tutto il Promontorio.
Le associazioni vegetali attuali e l’impatto antropico
Le comunità vegetali attualmente presenti sono varie e differenziate (Fig. 3). Procedendo dalla costa meridionale a quella settentrionale lungo un ipotetico transetto che unisca Mattinata a Rodi Garganico, s’incontrano, rispettivamente: vegetazione alofila e psammofila (Ammophila arenaria, essenze aromatiche di macchia bassa, finocchietto selvatico) sulla spiaggia e la duna eolica, vegetazione idrofitica presso i pantani costieri e i reticoli idrografici della piana, macchia bassa e gariga sugli scogli e lungo le falesie calcaree; vegetazione termoxerofila nelle aree coltivate (Olea europea), associata a pseudomacchia a caducifoglie (Quercus ilex-, Quercus pubescens, phyllirea angustifolia) nelle zone incolte, fino a quote di 450-500 m s.l.m.; bosco ceduo a latifoglie termoxerofile ed eliofile (Quercus ilex-, Quercus pubescens, Quercus cerris, Acer campestris, Alnus cordata, Tilia cordata, Sorbus aucuparia, Fraxinus ornus) fino alle parti culminanti dell’altopiano, in associazione a praterie, pseudosteppa carsica e gariga; boschi di latifoglie sciafile (Fagus sylvatica, Acer campestris, Alnus cordata, Tilia cordata, Sorbus aucuparia,) e conifere (Taxus baccata, Larix decidua, Abies picea, Abies alba), ricchi in sottoboscoa Ilex aequifolium e rampicanti delle specie Hedera helix e Clematis vitalba, diffusi in tutto il settore centrale e settentrionale dell’altopiano; boschi di latifoglie sciafile adattate (faggete depresse) fino alla quota minima di 250-300 m s.l.m. (minimo italiano per il faggio); boschi di latifoglie termoxerofile ed eliofile, ricche in Quercus cerris, querce varie della specie Quercus pubescens, agrumi, ulivi e lecci, fino a poche decine di metri di quota s.l.m.; infine pseudomacchia a caducifoglie, macchia alta a phyllirea angustifolia, Pistacia lentiscus, Quercus ilex, Ficus carica, Pinus halepensis, varie specie del genere Juniperus, Myrtus communis, Rhamnus alaternus e Paliurus spina-christi; macchia bassa a Rosmarinus officinalis, Cistus clusii e Carpobrotus edulis. Il dominio delle latifoglie sciafile appare visibilmente spostato verso la parte settentrionale del Promontorio, in stretta dipendenza con l’effetto di barriera orografica discusso prima. Se questo non incidesse, il confine tra latifoglie sciafile e termoxerofile/eliofile seguirebbe un limite lungo la stessa quota. L’esistenza delle faggete depresse sul versante settentrionale tra Vico e Ischitella non può essere giustificata in base all’esposizione differente, perché la differenza di quota tra il limite inferiore a Nord (circa 250 m s.l.m.) e Sud (circa 600 m s.l.m.) appare eccessiva e non trova riscontro nelle dorsali appenniniche di morfologia paragonabile. Neanche la pendenza dei versanti può aver guidato l’evoluzione della vegetazione, perché le faggete depresse insistono sia su ripide scarpate rocciose, che su colli blandamente immergenti. La rocciosità, simile su tutto l’altopiano, non ha inciso sullo sviluppo favorevole di una specie rispetto alle altre. L’idrografia superficiale, infine, è scarsa o totalmente assente in Foresta Umbra, ad eccezione di rare sorgenti e “cutini”, per cui neanche il drenaggio appare un motivo discriminante tra il versante settentrionale e quello meridionale. Si può concludere, quindi, che la diversa distribuzione di specie vegetali, essenzialmente, è il frutto dell’azione climatica e della quota. In alcuni casi, tuttavia, l’azione dell’uomo ha inciso profondamente sulla distribuzione delle specie vegetali, in particolar modo di quelle arboree. Le fustaie di cerro, che attualmente coprono gran parte della fascia pedemontana ai bordi della Foresta Umbra, costituendo la più importante comunità di boschi a latifoglie non sciafile, non erano presenti in tale misura prima del XIX secolo, non essendo parte della flora transadriatica derivata dal ponte balcanico pleistocenico: il vasto rimboschimento e taglio operato per ottenere legname da traversine ferroviarie, ha variato l’assetto ecologico precedente, favorendo la diffusione di una pianta resistente e competitiva. Bosco Quarto costituisce una cerreta matura, prossima allo stadio di climax. Anche gli incendi, spesso provocati dall’uomo, provocano profonde variazioni nell’assetto ecologico: le comunità di pini d’Aleppo, allo stadio di climax, se percorse dal fuoco due volte di seguito, regrediscono allo stadio serale di macchia alta, quindi macchia bassa e infine gariga. Per tornare dallo stadio di gariga alla comunità climax sono necessari oltre cento anni. Le aree percorse dal fuoco nel 2007 sono regredite, nel migliore dei casi, a macchia alta, ma saranno necessari decenni per ottenere una pineta adulta con sottobosco.
I due aspetti della vegetazione garganica: bosco ceduo di latifoglie sciafile e macchia mediterranea.
Conclusioni
Il Promontorio del Gargano appare molto disomogeneo nella sua composizione ecologica, in particolare in relazione alla distribuzione altitudinale delle specie vegetali. Il Lauretum II freddo caratterizza la gran parte del territorio garganico. Pur nella sua variabilità interna, esso si lascia distinguere facilmente per la presenza della macchia mediterranea alta (Bosco Isola, Isola di Varano, Torre Mileto), associata a boschi termoxerofili ed eliofili in prossimità del mare, pseudomacchia caducifoglia e fustaie di cerro favorite dall’opera dell’uomo. Si contrappone nettamente al meno rappresentato Lauretum II caldo, caratterizzato da pseudosteppe carsiche, gariga, macchia bassa e uliveti, diffuso nella gran parte delle regioni meridionali. I boschi di latifoglie sciafile, che ricadono nel dominio del Lauretum II freddo, sono ascrivibili, tuttavia, a “lembi di antico” con caratteristiche di Fagetum estranee al resto del versante adriatico italiano e di provenienza transadriatica. Il Lauretum II freddo è favorito dalla presenza della barriera orografica; questa abbassa notevolmente la quota dell’optimum fitoclimatico lungo il versante settentrionale del Promontorio, generando le premesse per lo sviluppo rigoglioso delle faggete depresse. Il substrato geologico, pur nella sua variabilità minero-petrografica, non sembra incidere in modo sostanziale sullo sviluppo della vegetazione: calcari di piattaforma, brecce e megabrecce, calcari marnosi, marne a fucoidi, maiolica e scaglia, calcareniti e successioni arenaceo-conglomeratiche costituiscono l’ossatura e le coperture sedimentarie del Gargano, generando, tuttavia, due soli tipi principali di suolo: alfisuoli (suoli rossi ferrallitici) e mollisuoli petrocalcici (suoli rosso-bruni con humus). La distribuzione di queste due tipologie risente, in primo luogo, della quota e della storia vegetazionale precedente, difatti i mollisuoli, basici e fertili, tappezzano il fondo dell’altopiano, mascherando substrati calcareo-dolomitici, calcareo-marnosi e calcareo-silicei, mentre gli alfisuoli, acidi e poco produttivi, si rinvengono presso la costa e sull’altopiano carsico delle Chiancate, su substrati calcarei e calcarenitici. In realtà esistono anche altre tipologie di suolo (vertisuoli, oxisuoli, inceptisuoli presso le spiagge, gleysuoli al bordo delle lagune costiere), ma la loro distribuzione è piuttosto limitata ed essi non incidono in modo sensibile sulla distribuzione delle sottozone fitoclimatiche. Indagini effettuate sulla Valle Carbonara tra Monte Sant’Angelo e Monte Spigno hanno messo in evidenza un’inversione delle associazioni vegetali da Nord a Sud: il versante meridionale del Monte Spigno, posto più a Nord rispetto a quello settentrionale della Montagna degli Angeli, presenta boschi termoxerofili di ambiente più temperato che quest’ultimo. Allo stato attuale si suppone che ciò sia dovuto, essenzialmente, alla differente esposizione al sole dei due versanti. Anche la macchia è un buon indicatore ecologico delle differenti condizioni climatiche tra Nord e Sud. La macchia alta è completamente assente sulla costa meridionale, mentre è abbondante e rigogliosa nei pressi di Torre Mileto, La gariga, invece, è diffusa tra Manfredonia e Mattinata, mentre è molto rara a Nord. Gli effetti di gravi e ripetuti incendi delle pinete costiere, tuttavia, hanno provocato una rapida espansione della gariga lungo la costa nordorientale, ad esempio a Monte Pucci, a Baia di Manaccora e Baia di San Felice. La ripresa vegetativa successiva al grave incendio del 2007 sta dimostrando, però, che la macchia bassa a lentisco, alaterno, ginepro e fillirea riprende con vigore, generando rapidamente un sottobosco di discreta densità che, nel giro di una decina di anni, potrà favorire la ripresa vegetativa della pineta originaria, a riprova del fatto che la gariga non è la comunità climax del Lauretum II freddo, bensì di quello caldo. In conclusione, il Lauretum II freddo è la sottozona fitoclimatica che meglio rappresenta le condizioni ecologiche del Promontorio e la sua distribuzione è legata indissolubilmente ai fattori climatici e pedologici che governano l’evoluzione del Gargano.
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(17) A. Sigismondi, N. Tedesco (1990): “Natura in Puglia. Flora. Fauna e ambienti naturali”, © 1990 Mario Adda Editore, Bari.
(18) C. Solito (2002): “Itinerari speleologici nelle più belle e grandi grotte di Puglia”, © 2002 Bastogi Editore, Foggia.
(19) G. Solla, S. Soreca (2010): “L’aglianico del taburno e l’aglianico del vulture: due importanti terroir vitivinicoli italiani messi a confronto. Fattori geomorfologici, petrologici ed ecopedologici alla base della produzione”. Geologi – Periodico dell’Ordine dei Geologi della Campania (in corso di stampa).
(20) S. Soreca (2004): “I materiali industriali in Provincia di Benevento”, Università degli Studi del Sannio, Benevento.
(21) S. Soreca (2006): “Caratterizzazione minero-petrografica di un lapideo ornamentale: il Marmo di Vitulano”, Tesi di Laurea, Università degli Studi del Sannio, Benevento.
(22) S. Soreca S. (2008): “Il Promontorio del Gargano – Geologia Geomorfologia Ecologia”,© 2008 Tip. Borrelli, S. Giorgio del Sannio (BN); patrocinio morale della Comunità Montana del Gargano.
(23) S. Soreca S. (2008): “Il dissesto idrogeologico delle Baie di Procenisco e San Nicola (Peschici, Foggia). I fattori geomorfologici ed antropici alla base del fenomeno”, Geologia tecnica e ambientale, 3-4 2008, pp. 5-20.
(24) S. Soreca S. (2009): “Tra geoturismo ed energie alternative. Le nuove tendenze della Provincia di Benevento”, L’Ambiente – Ranieri Editore, 6/2009.
(25) F. Zezza, T. Zezza (1999): “Il carsismo in Puglia”, © 1999 Mario Adda Editore, Bari.
Salvatore Soreca, laureato in Scienze Geologiche presso l’Università del Sannio, è abilitato all’esercizio della libera professione di Geologo presso l’Università di Bari. Svolge attività libero-professionale e di ricerca nei campi della geologia ambientale e applicata, idrogeologia ed ecologia.
E-mail: salvatore.soreca@gmail.com
Guida alla conoscenza della biologia e dell’ecologia del suolo Cristina Menta – Alberto Perdisa Editore – 2008 Il volume prende in esame i diversi aspetti della biologia del suolo, approfondisce il ruolo che i diversi organismi assumono nel mantenimento degli equilibri chimico-fisici e biologici, e mette in rilievo l’importanza degli organismi viventi come “strumenti” di indicazione della salute del suolo. |