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di Ermanno Bodeo


La denominazione Provolone deriva presumibilmente da “prova” o “provatura”, il caratteristico test di stiratura della pasta che veniva, e viene tutt’ora praticato, per saggiarne la disposizione a filare ed essere formata; il termine compare per la prima volta nel “Vocabolario di Agricoltura” di Canevazzi-Mancini nel 1871, dove con “Provolone” viene indicata una provola di grandi dimensioni.
Il Provolone nasce nella la seconda metà del 19° secolo grazie alla vocazione lattiero casearia della Valle Padana.
Nel 1861, l’unificazione d’Italia rende possibile l’insediamento nella Valle Padana di imprenditori provenienti dal Meridione, determinati nel promuovere e diffondere la cultura e il consumo di paste filate in tutto il territorio nazionale. La Valle Padana offre grande disponibilità di latte adatto alla trasformazione casearia ed anche le infrastrutture necessarie per l’ottenimento di produzioni di qualità.
Tra i pionieri nella radicazione delle paste filate nella Valle Padana ricordiamo: i fratelli Margiotta nel bresciano, a Borgo San Giacomo, Giovanni Carbonelli e famiglia a Codogno, nel lodigiano, e, non ultimo, Gennaro Auricchio a Pieve San Giacomo, nel cremonese.
Mentre nel Meridione proseguivano con le paste filati in piccoli formati (caciocavalli, provole e scamorze), nel Settentrione, grazie alla presenza di numerose stalle e alla qualità del latte, venne agevolata la creazione di formati di grandi dimensioni.
La lavorazione del Provolone si suddivide in tre fasi ben distinte:


Lavorazione in caldaia


Molto spinta con aggiunta di fermenti omofermentanti al 3% o superiore a seconda dell’acidità del latte per ottenere un’acidità di miscela pari o superiore a 3,8 SH/50 cc. Coagulazione con caglio liquido per il tipo dolce, in pasta di capretto per la tipologia piccante e giovane. Il gusto piccante del provolone è dovuto alla presenza nel caglio di capretto delle lipasi che disgregano il grasso del latte producendo acidi grassi liberi responsabili del caratteristico sapore. A coagulazione avvenuta, viene fatto un primo taglio delicato della cagliata della grandezza di una noce con una pausa ed estrazione del siero necessario per produrre il siero innesto per la lavorazione del giorno successivo e per la cottura. Secondo taglio alla grandezza di una nocciola, sosta per 5 minuti, estrazione del siero residuo, agitazione per 5 minuti per asciugare bene la cagliata e cottura, con iniezione del siero caldo a 72-74°C, fino ad arrivare alla temperatura di 51-53°C. La cottura viene effettuata con iniezione del siero per non seccare troppo la cagliata in modo da ottenere così un prodotto più morbido. Al termine della cottura, l’estrazione della cagliata e la messa in vasche per lo spurgo del siero.


La cagliata in lavorazione
La cagliata in lavorazione (foto Caseificio Sociale Gardalatte)


Maturazione della cagliata


Consiste in un’acidificazione della cagliata (detta nel gergo maturazione) fino a raggiungere, in tre quattro ore, il pH 5,00-4,80; durante questa fase vengono eseguiti dei rivoltamenti, impilando la cagliata a fette per esaltarne la plasticità e mantenendola calda al fine di favorirne la maturazione


Filatura


Quando la cagliata ha raggiunto il pH ideale si procede con la filatura, che consiste nell’immergere la cagliata in acqua sufficientemente calda fino ad ottenere una massa fibrosa plastica con un successivo modellamento per ottenere la forma voluta. I formati vanno da pochi etti del silanino (600 grammi) ai 110 kg del pancettone; la tradizione vorrebbe fossero fatti rigorosamente a mano ma nella stragrande maggioranza dei caseifici, oggi, viene fatto tutto meccanicamente. Io personalmente preferisco la formatura a mano perché esalta la qualità del formaggio.


Chiusura manuale
Chiusura manuale (foto Lino Palumbo)


Dopo la filatura, i provoloni vengono messi a rassodare in acqua fredda per diverse ore a seconda della grandezza del formato ottenuto e successivamente messi nelle salamoie con concentrazione di sale pari al 20-25% per la salatura che può variare da poche ore per i piccoli formati fino ad arrivare a 21 giorni per i formati più grandi.
Al termine della salatura vengono legati come dei salami oppure messi in rete e appesi per un giorno in un locale adibito all’asciugatura per poi essere trasferiti nei magazzini di stagionatura.
Quest’ultima varia a seconda del prodotto che si vuole ottenere:
per un provolone dolce o giovane può variare da 1 a 3 mesi, mentre per il tipo piccante da 4 mesi in su fino ad arrivare anche a 24 mesi, ci sono addirittura casi di maturazione protratta per 40 mesi.


Alcune considerazioni:


IL LATTE


La qualità del latte ricopre un’importanza fondamentale nella produzione di qualsiasi formaggio; io mi ritengo molto fortunato in quanto, operando in una cooperativa agricola che lavora latte conferito da soci per ovvi motivi interessati alla qualità del prodotto finale, ho a disposizione sempre latte perfetto. Per la produzione di paste filate, la cui cagliata deve maturare per raggiungere il pH di filatura, sarebbe consigliato un latte un po’ più maturo, io consiglierei di utilizzare un 4 munte (48 ore). Un altro fattore importante è il tipo di alimentazione della bovina: è preferibile un’alimentazione a base di foraggi insilati che, oltre ad aiutare il processo digestivo dell’animale, ci conferiscono un’acidità superiore al latte e, di conseguenza, una predisposizione alla fermentazione. Le bovine che producono il latte per il provolone sono prevalentemente frisone italiane.


I FERMENTI


Consiglio vivamente l’utilizzo di fermenti autoctoni, in modo da avere un prodotto con caratteristiche proprie e non il solito formaggio standard, creato con fermenti liofilizzati prodotti in laboratorio per semplificare la lavorazione a completo discapito della qualità e dell’unicità di una produzione.


IL CAGLIO


Per il provolone dolce è previsto l’utilizzo di caglio naturale liquido di vitello, mentre per la produzione di provolone giovane e di quello piccante, è preferibile l’utilizzo di caglio in pasta di capretto.


LA COTTURA


Ci sono 2 tipi di cottura: la cottura per il giovane e il dolce, che consiste nel riscaldamento della cagliata a 51-53°C per mezzo di inoculo del siero preriscaldato a 72-74°C, una sola calda per ottenere un prodotto più morbido; per il piccante, la cottura avviene in due fasi, la prima a 42°C e la seconda a 52°C sempre con inoculo diretto del siero preriscaldato per ottenere un prodotto più asciutto.


MATURAZIONE DELLA CAGLIATA


Fino a pochi decenni fa la maturazione durava 9-10 ore perché, non avendo la possibilità di raffreddare il latte, si faceva la lavorazione quando arrivava il latte, in pratica 2 lavorazioni al giorno e la cagliata lavorata alla sera veniva filata alla mattina e quella del mattino nel pomeriggio. Con l’avvento delle nuove tecnologie di stoccaggio del latte, possiamo permetterci di lavorarlo una volta al giorno ed effettuare una maturazione veloce in 3-4 ore. Durante questa fase avvengono alcune trasformazioni a carico dei componenti della cagliata ed in particolare del lattosio che, grazie ai batteri contenuti nel siero innesto utilizzato,viene trasformato in acido lattico che agendo sul calcio presente nella caseina la rende elastica e pronta per essere modellata a caldo durante la filatura. La maturazione della cagliata è quindi una fase unica per le paste filate e durante questo periodo deve essere nell’abilità del casaro gestire la velocità di acidificazione


FILATURA


E’ la parte più spettacolare della lavorazione. In questa fase, appena terminata la maturazione, si fa la “prova” da cui sembra abbia origine il nome del formaggio. Questa consiste nell’immergere in acqua, alla temperatura a cui fileremo, un pezzetto di cagliata per vedere se è pronta: se la cagliata si tira lunga almeno una trentina di centimetri, allora è pronta. Io personalmente considero questa prova più affidabile di qualsiasi strumento elettronico perché l’acqua calda non mente mai. Sicuramente il momento più spettacolare è quando le mani esperte del casaro modellano questa materia plastica, ottenuta dall’immersione nell’acqua calda, fino a dargli quelle forme che poi vediamo esposte in tutte le salumerie. Una volta create le varie forme vengono immerse in acqua fredda per un rassodamento che dura 20 ore circa, quindi messe in salamoia e infine poste nei magazzini di stagionatura dove resteranno per tutto il tempo necessario per il raggiungimento del grado di maturazione richiesto.


Magazzino di stagionatura
Magazzino di stagionatura (foto Caseificio Sociale Gardalatte)


In conclusione, tengo a sottolineare come il provolone sia un formaggio per la cui produzione la componente “umana” è fondamentale e, nonostante sia decisamente sottovalutato, il rispetto della tradizione unito alle moderne tecnologie ci permette ogni giorno di ottenere un prodotto vecchio di secoli ma sicuramente al passo coi tempi.


Ermanno Bodeo, agrotecnico diplomato all’Istituto Professionale Agrario di Corzano (BS), dopo esperienze maturate in alcuni caseifici della provincia è casaro responsabile della produzione di provolone presso il Caseificio Sociale Gardalatte di Lonato (BS) http://www.gardalatte.it/. Grazie a passione e competenza in materia è diventato moderatore della sezione industria lattiero-casearia nel Forum di Agraria.org.


 






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