di Giuliano Russini
In un precedente articolo (“Il comportamento e i sensi animali ”, n. 101 della Rivista di Agraria.org) ho trattato brevemente il ruolo dei sensi, in relazione ai comportamenti animali, in termini di catene riflesse ripetute a base istintiva, nelle specie più semplici e con una crescente complessità, ove si sviluppano, nelle specie più evolute, in sistemi comportamentali più raffinati e articolati, sempre tutto alla luce della dicotomia ambiente e genetica a cui si dovrebbe aggiungere un quid, di cui si percepisce l’esistenza, ma che ancora sfugge alla biologia.
Come accennato, la complessità di una risposta comportamentale, o, in genere di un modus operandi, di un animale, sia che ricada nell’ambito riproduttivo, che in relazione ai meccanismi di difesa, oppure all’interno della sua ecologia alimentare, sono in stretto legame con tutte quelle strutture anatomo-fisiologiche che ne rappresentano il bagaglio dei suoi sensi, la cui complessità cresce parallelamente con la complessità dei ventagli di risposte e strutture comportamentali che lo caratterizzano.
Pseudocreobotra wahlbergii
1 – Strategie riproduttive, meccanismi sensoriali e comportamento
A livello riproduttivo, è ben noto che la carta vincente per la conquista da parte dei rettili della terraferma, per mezzo della quale si è avuta l’esplosione evolutiva, da cui si sono eviscerate le classi degli Uccelli ( Aves ) e Mammiferi ( Mammalia ), è stata la nascita dell’uovo Cleidoico ( uovo rigido ) in cui la presenza di un guscio a base di sali di carbonato e calcio, formanti una struttura porosa, che garantisce gli scambi gassosi, di O2 in entrata e di CO2 in uscita, permette lo sviluppo dell’embrione in un ambiente ricco di acqua per la presenza di liquido e sacco amniotico, ma nello stesso tempo protetto da attacchi esterni di natura chimica, fisica e biologica, definendo una modalità riproduttiva detta, Ovipara.
Nello stesso tempo, nei mammiferi appartenenti all’infraclasse degli Eutheria ( placentati, tra cui l’ essere umano ), che costituisce insieme ai Metatheria, le due infraclassi in cui è suddivisa la classe dei mammiferi ( Mammalia ), si sono sviluppate, delle strutture, costituenti una o più camere, l’/gli utero/i, all’ interno del/i quale/i, si sviluppa/no ( riproduzione endogea ) l’/gli embrione/i.
Il ruolo del guscio poroso per gli scambi gassosi ( a cui si aggiunge la nutrizione, con una riduzione nelle dimensioni e nel ruolo del sacco del tuorlo o vitellino ), viene vicariato da una membrana, la placenta, che è in parte di origine embrionale, in parte materna in alcune specie ( ad esempio essere umano la placenta Decidua di origine materna ), in altre solo di origine materna, tale modalità riproduttiva è definita Vivipara.
Una terza modalità riproduttiva chiude la triade delle combinazioni riproduttive dei vertebrati, presente spesso nei rettili, come nei pesci; la si osserva nell’Anaconda gigante ( Eunectes murinus ) o in alcune specie di squali, come lo squalo capopiatto ( Hexanchus griseus ) detta riproduzione Ovovivipara.
Gli embrioni sono racchiusi in uova, mantenendosi all’ interno o della tuba ovarica, più generalmente nel/ negli utero/i, nutrendosi grazie alle riserve del sacco del tuorlo e, una volta schiuse le uova, mantenendosi all’interno dell’utero, per completare lo sviluppo, la respirazione è garantita per mezzo di una Onfaloplacenta specializzata a struttura digitiforme, la quale fornisce anche il nutrimento al feto, dopo la schiusa interna delle uova; nascerà una prole alla stregua di quella che viene partorita nei vivipari.
Generalmente i pesci ( soprattutto ossei, appartenenti all’infraclasse dei Telostea ) sono caratterizzati da una riproduzione esogena, per mezzo di deposizione di uova in numeri enormi, per aumentare la chance riproduttive ( nella femmina di merluzzo vengono liberate 11 milioni di uova per deposizione ), fecondate esternamente dagli spermi rilasciati dal maschio e, lo sviluppo, definito indiretto, avviene mediante larve ( embrioni ).
Nel caso dei marsupiali ( canguri: es. Macropus giganteus, opossum: es. Didelphis virginiana, wallaby: es. Macropus agilis etc. ).
Il concepimento avviene sempre per anfigonia ( fusione di gamete maschile: spermatozoo, con gamete femminile: ovocellula ) lo sviluppo dell’ embrione sarà interno fino allo stadio fetale, per proseguire all’ esterno in una camera incubatrice, il marsupio della madre.
Nei prototeri ( Prototheria ), una sottoclasse dei mammiferi, la più antica filogeneticamente, i cui rappresentanti vivi sono afferenti all’ ordine dei Monothrema, ad esempio l’echidna ( Tachyglossus aculeatus di Shaw, 1792 ) o l’ornitorinco ( Ornythorhyncus anatinus ) endemici dell’Australia, lo sviluppo sarà in parte simile a quello che avviene nei rettili, poiché dopo la fecondazione della ovocellula, ad opera dello spermio, si forma un uovo, simile a quello di una rettile, con guscio morbido, sferico e bianco, a segmentazione incompleta ( meroblastico ), contrapposto a quello degli mammiferi euteri ove si ha una segmentazione completa ( uovo oloblastico ), posto in una tasca incubatrice della madre, all’ interno della quale si schiude e, l’embrione, che ha compiuto fino a questo punto, solo parte del suo sviluppo, lo completerà all’ interno del marsupio, in prossimità della sua unità lattea, la mammella.
Tale parziale somiglianza con la classe dei rettili e per l’aspetto riproduttivo in un mammifero, durante il XIX secolo, quando furono rinvenuti i primi esemplari di echidna, in Australia, aveva fatto ritornare nei biologi zoologi, per qualche periodo, il dubbio, se effettivamente l’essere umano non avesse, una qualche forma, almeno parziale, di discendenza rettiliana diretta, il così detto Homo reptilis, come veniva chiamato nel XVIII secolo.
Per la verità, seppur non si tratta di una discendenza diretta, tracce di una qualche forma di derivazione dai rettili, indirette, sia per la classe dei mammiferi, come per quella degli uccelli, sono effettivamente presenti.
Il Paleoencefalo, rappresentato dal sistema Limbico ( ben sviluppato nel cervello della razza umana ), deputato al controllo delle emozioni, pulsioni e istinto ne una traccia.
Un altro carattere di derivazione rettiliana è la presenza di un arco aortico sinistro nella maggior parte dei mammiferi, tra cui l’essere umano, mentre negli uccelli è destro e nei rettili lo si ritrova sia a destra che a sinistra, quindi sia mammiferi che uccelli derivano effettivamente dai rettili, con percorsi diversi.
A tutte queste modalità riproduttive, vanno associate poi modalità come la Partenogenesi ( riproduzione verginale, per attivazione dell’ ovocita senza la presenza dello spermio ), poliembrionia ( ad esempio presente negli Armadilli: Dasypus novemcinctus, armadillo dalle nove fasce, endemico del Sud America ) dove da un unico uovo fecondato dallo spermio si producono quattro e non meno, embrioni gemelli monovulari ( cloni ), oppure la ginogenesi ( attivazione e sviluppo di un embrione da un ovocita, ad opera dello spermio, senza che avvenga però cariogamia o singamia: cioè fusione del nucleo paterno dello spermatozoo, con il nucleo materno dell’ ovocita ).
Tutti questi processi, associano comunque, modalità comportamentali di adattamento etofisiologico, in relazione a stimoli sensoriali specifici e, allo sviluppo adeguato di specifiche strutture anatomiche.
2 – Strategie di difesa “Mimetismi: Batesiano e Mulleriano” Aposematismo
In relazione alla difesa, come accennato nel titolo, gli animali che non sono in grado di fuggire o di difendersi da un predatore, hanno acquisito evolutivamente, una serie speciale e variabile di comportamenti, che li fa distinguere, da quelli che sono invece in grado di difendersi bene.
Nel caso di un elefante africano ( Loxodonta africana ) specie che può raggiungere i 5 metri di altezza al garrese, per circa 6 – 7 t di peso con zanne di difesa, che possono raggiungere anche i 3 m di lunghezza, ovviamente non sussistono problemi per la difesa.
Un tipico schema comportamentale che attiva un maschio di questa specie, di difesa, soprattutto un capo branco, anche se in questo genere di animali, anche le femmine possono esserne alla guida, in presenza di un potenziale predatore per i cuccioli come un leone ( Panthera leo ) oppure, in presenza di un animale che ha invaso il loro territorio, creando disturbo alla loro sorgente d’ acqua come il rinoceronte bianco ( Ceratotherium simum ) o, infine un predatore che può mettere in serio pericolo la vita anche di un adulto maschio, sessualmente maturo, sano all’ apice della sua salute fisica, cioè l’Homo sapiens sapiens, è rappresentato da un finto attacco, nel quale carica l’ avversario, aprendo nel contempo le enormi orecchie, per sembrare più grande e minaccioso ( se mai ce ne fosse bisogno ), esponendo, alzandole, le zanne di difesa, spostando la proboscide di lato.
Se dopo questa simulazione, il predatore, non fugge, subentra la carica vera e propria, con tutta la sua potenza, e tutte le conseguenze che ne conseguono.
Nel caso invece di animali, non in grado di sapersi difendere, oppure di non essere così attrezzati fisicamente, per fuggire a un predatore, l’ insieme dei comportamenti, e sensi, è sfociato in un caratteristico sistema di difesa passiva, la mimetizzazione.
Il mimetismo, si esplica nelle più disparate maniere e forme ( non è tipico solo del Regno animale, anche nel Regno vegetale, si hanno fenomeni di mimesi ).
Alcuni crostacei e pesci, acquisiscono una colorazione trasparente che si confonde con l’ acqua dell’ ambiente in cui vivono, altri, acquisiscono la colorazione dello sfondo ambientale, associando immobilità in presenza del predatore.
Nei mammiferi, alcune specie di opossum, quando minacciate, fingono di essere morte.
Normalmente, un animale è tradito dalla sua ombra, nell’ ambiente in cui si muove, rivelando ai predatori la sua presenza.
A tale scopo, molti pesci marini, ma anche molti mammiferi terrestri, presentano una cute o manto ove la parte superiore e inferiore si fondono cromaticamente in modo graduale, così da renderli uniformi e non rivelarne la presenza.
Anche alcuni predatori, usano combinazioni cromatiche del manto, per confondersi con l’ ambiente e sfruttarne il vantaggio per cacciare la preda, un tipico e perfetto esempio e la tigre ( Panthera tigris ) dove la sua striatura nera, su uno sfondo giallo-rossiccio del manto, ne determina la mimetizzazione nelle foreste pluviali, il suo biotopo naturale, durante i suoi agguati.
O lo stesso leone ( Panthera leo ) in cui il manto di colore nocciola, beige, si confonde perfettamente, con il terreno e la vegetazione, alta anche 3 – 4 m, tipica della Savana.
Un altro tipo di mimetizzazione, è l’imitazione di oggetti inanimati, come alghe, spine, o sterco animale.
Una specie di cavalluccio marino ( Phyllopteryx eques ), è coperto di prominenze simili a lembi di alghe; molti insetti o ragni, hanno l’ aspetto di escrementi di uccelli.
Per un predatore, tali mimetismi rappresentano qualche cosa verso il quale non hanno interesse, ingannandolo.
Questi meccanismi di simulare un ramoscello, un’ alga, degli escrementi, foglie, petali o cortecce di albero, rappresentano l’efficacia della selezione naturale, poiché chi è in grado di attuarli, sopravvive, chi non lo è muore.
Un esempio molto originale, è offerto dall’ emittero verde e rosa ( Hancenia glauca ), che si fissa sugli steli delle piante: gli individui verdi si pongono in alto, quelli rosa alla base dello stelo, il tutto somiglierà a un infiorescenza, confondendo i predatori.
La ninfa della mantide africana ( Pseudocrebotra wahlbergii ), assume in attesa di una preda, la morfologia dei fiori della pianta su cui vive.
Altre specie animali usano armi chimiche.
Ad esempio alcune formiche, si difendono con veri e propri arsenali chimici: quelle della sottofamiglia dei Dolichoderinae spruzzano un liquido, che seccandosi, diviene resinoso e paralizza i nemici.
I formicini emettono acido formico; tra i serpenti, alcune specie africane di cobra, arrivano a sputare veleno fino a 2,40 m di distanza.
Quindi ancora una volta, la lotta tra predatori e prede, si gioca su metodi sempre più sofisticati, a cui si associano anche metodi comportamentali specifici e sensoriali.
In diversi casi ( questo vale anche per il regno vegetale, vedi piante che producono frutti a bacca ), le colorazioni vistose, sono un mezzo di protezione altrettanto efficace del mimetismo.
Molti animali, dotati di ghiandole e aculei velenosi, o repellenti, sono vistosamente colorati.
I predatori potenziali, imparano presto a riconoscerli ed a evitarli, associando tali colori vistosi o disegni dalla particolare foggia a situazioni spiacevoli, che si verificano nei loro organismi una volta mangiati.
La farfalla monarca ( Danaus plexippus ), prende il sapore acre delle Euforbiacee, genere di piante, di cui si nutre, associando i suoi colori brillanti a tali sapori sgradevoli, che la caratterizzano e, risultando così immune dall’ attacco di molti potenziali predatori, uccelli, chirotteri.
Le moffete ( es.: Mustelia putorius, la comune moffetta o puzzola europea ), come vari serpenti velenosi, sono portatori di colori brillanti e facilmente riconoscibili dai potenziali predatori.
Tale meccanismo in cui i colori brillanti in una potenziale preda, sono un codice di pericolo per i potenziali predatori ( questo vale anche per le piante ), che di conseguenza la evitano, viene definito in Biologia “Aposematismo“ e questi caratteri formanti codici biologici, caratteri aposematici.
L’uso dei caratteri aposematici, viene utilizzato anche da alcune specie animali, come secondo fronte o linea di difesa.
Alcune sfingidi ( Sphinx geminatus ) hanno le ali anteriori, poco appariscenti, che nascondono quelle vivamente colorate o come in questa specie con dei disegni a foggia di occhio, che aprono improvvisamente, quando un predatore ( uccello ) le individua, perché non ingannato dal mimetismo e, si avvicina pericolosamente; l’apertura improvvisa di tali ali, spaventa letteralmente l’uccello, probabilmente perché simula il volto di un animale sconosciuto, facendolo fuggire.
Molti animali non protetti da secrezioni velenose o repellenti ( perché non dotate di ghiandole apposite ), possono, imitando le colorazioni aposematiche o premonitrici di pericolo, di quelli che le posseggono, sfuggire ai predatori.
Questo tipo di mimetismo, viene chiamato dai biologi Mimetismo Batesiano dal nome del biologo naturalista Henry Bates che per primo osservò tale fenomeno, nel 1861.
Numerose farfalle africane del genere Papilio, imitano specie disgustose, repellenti.
Anche il dittero Eristalis tenax e il lepidottero Humaris diffinis, che sono privi di pungiglioni, sfuggono agli uccelli attuando un mimetismo batesiano, assumendo la morfologia e i colori di api e calabroni velenosi.
Il numero di imitatori in natura, di specie pericolose e repellenti, risulta comunque inferiore, ovviamente alla specie naturale, poiché se fosse equivalente, si avrebbe che i predatori ucciderebbero con la stessa frequenza gli imitatori e i modelli che imitano: quindi il mimetismo batesiano, perderebbe la sua efficienza ed efficacia.
Un secondo tipo di mimetismo che fu individuato dal biologo zoologo tedesco Fritz Muller nel 1878, chiamato per questo motivo Mimetismo Mulleriano, è caratterizzato dal fatto che specie velenose non affini, tendono ad assomigliarsi, pur non avendo attinenza e vicinanza zoologica.
Questo è molto frequente tra gli imenotteri: api, calabroni, vespe.
L’assunzione di un tipo di comportamento improvviso, può essere infine, un buon metodo per disorientare un predatore.
Alcuni uccelli, fingono in presenza di un predatore che si sta avvicinando pericolosamente al loro nido, per esempio un serpente, di essere feriti, camminando lentamente, con la coda bassa, strusciante per terra.
Questo stimola l’ attenzione del predatore verso loro, poiché rappresentano una facile preda ferita da agguantare, nel momento in cui il predatore perde la strada per il nido, man mano che si avvicina, avremo che l’uccello simulatore, scappa, volando via rapidamente e il predatore rimane a bocca asciutta.
Alcuni generi di lepidotteri, adottano l’emissione di sequenze di ultrasuoni, per mezzo delle quali avvertono le diverse specie di chirotteri ( pipistrelli ), del sapore disgustoso e nauseabondo che le caratterizza.
3 – Difesa mediante comunità
Alcune specie di uccelli, possono ( indifese perché piccole, come i fringuelli ) associandosi, con specie pericolose, sopravvivere alla predazione, costruendo i nidi, vicino i favi di vespe o api nocive, oppure come per alcune specie di mammiferi, che si associano in comunità, con animali che sanno difendersi.
Un caso è quello dell’Alcelaphus buselaphus ( una specie di antilope africana ) che spesso vive in comunità, soprattutto vicino i corsi d’ acqua dove si abbevera, con elefanti, bufali cafri ( Syncerus caffer ), rinoceronti ( Ceratotherium simum, Diceros bicornis ), giraffe ( Giraffa camelopardalis ) sfruttando la capacità che questi erbivori hanno, di sapersi difendere, anche nei confronti di leoni o iene e altri predatori, o anche sfruttando il disorientamento che un branco così numeroso genera fuggendo, in un predatore, quando ne viene percepita la presenza.
Tutti questi metodi così particolari, che caratterizzano specie animali diverse a vari livelli della scala Zoologica, dagli invertebrati alle varie classi di vertebrati: mammiferi, pesci, uccelli, rettili, ancora una volta si basano sull’ indissolubile binomio, sensi e comportamento, che si relaziona all’ ecosistema nel quale la specie animale vive.
Elefante africano Loxodonta africana
Giuliano Russini è laureato in Scienze Biologiche all’Università “La Sapienza” di Roma, con specializzazione maggiore in Zoologia, Zoobiologia, Ecopatologia della Fauna e specializzazione minore in Botanica. Ha conseguito Master di perfezionamento in vari Paesi europei e attualmente lavoro presso il Giardino Zoologico di Hendaye, in Francia.
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