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di Marco Piasentin

Lo Spitz Giapponese, denominato “Nihon Supittsu” nel suo paese di origine, “Japanese Spitz” nei paesi anglosassoni e “Lou-Lou Japonais” o “Spitz Japonais” in Francia, è incluso nell’elenco delle razze canine ufficialmente riconosciute dalla Fédération Cynologique Internationale (F.C.I.) ed è collocato, secondo quanto specifica il suo Standard Ufficiale F.C.I. N. 262 (1987), nel Gruppo 5 (Cani Spitz e di Tipo Primitivo), Sezione V (Spitz Asiatici e Razze Affini).
La razza è stata inoltre riconosciuta oltre trent’anni fa dal British Kennel Club (delibera del 5 luglio 1977) e in tempi più recenti negli U.S.A. dall’American Rare Breed Association (A.R.B.A.), dallo United Kennel Club (U.K.C.) e dal Continental Kennel Club (C.K.C.). Sono infine in corso le pratiche per il riconoscimento anche da parte dell’altra importante associazione cinofila statunitense, l’American Kennel Club (A.K.C.).
In Giappone la razza è riconosciuta e tutelata, oltre che dal Japan Kennel Club (J.K.C.), affiliato alla F.C.I., anche dall’indipendente  Kennel Club of Japan (K.C.J.) e soprattutto dalle associazioni private degli allevatori della razza  Nippon Spitz Association (N.S.A.) e Nippon Spitz Club (N.S.C.), quest’ultima fondata di recente da un gruppo di giudici ed allevatori staccatosi dalla N.S.A.. Pur intrattenendo regolari rapporti con il J.K.C., N.S.A. e N.S.C. seguono standard propri e organizzano mostre esclusive per i propri soci.

Spitz Giapponese
Il campione Italiano, Monegasco, Internazionale TAKE – MARU OF YOKOHAMA TAKADA,
primo spitz giapponese importato in Italia (dal Giappone,1985)
    (foto Lucia Piasentin)

Le origini dello Spitz Giapponese non ricalcano il solito cliché storico del cane autoctono allevato da secoli in una certa area geografica e infine elevato al rango di razza nazionale, espressione delle antiche tradizioni del paese di origine. No, questo non è stato il caso dello Spitz Giapponese, razza creata in tempi recenti (prima metà del ‘900) a partire da cani di tipo spitz importati da altri paesi.
La storia di questo cane costituisce piuttosto uno dei tanti esempi offerti dal Paese del Sol Levante di risultato vincente ottenuto acquisendo spregiudicatamente un determinato prodotto proveniente dall’Occidente e ricavandone, con accurate rielaborazioni e migliorie, una versione “improved” di qualità superiore rispetto a quella di partenza.
I Giapponesi sono per tradizione legati ai cani di tipo spitz (le loro razze autoctone sono tutte spitz) e hanno inoltre un particolare “feeling” per i cani di colore bianco. Non a caso, infatti, una delle loro favole per bambini più popolare e famosa (“Nonno Fior di Ciliegio”) ha per protagonista un cane dal mantello candido di nome “Shiro”, il quale si rivela essere una creatura magica in grado di compiere vari prodigi in aiuto di una anziana coppia di contadini dall’animo buono e generoso che lo aveva raccolto da cucciolo ed allevato con grande amore.
E’ comprensibile quindi che i primi cani spitz a pelo lungo e bianco che arrivarono in Giappone in forma sporadica ed occasionale dopo il primo decennio del ‘900 suscitassero grande interesse fra la gente di questo paese e in qualcuno in particolare anche il desiderio di cimentarsi con il loro allevamento. Si trattava comunque solo di rari esemplari importati. In Giappone a quei tempi esistevano praticamente solo le razze autoctone, peraltro non ancora ben definite e differenziate, e l’importazione dall’estero di cani, come quella di tanti altri beni e merci, era formalmente proibita per via della politica di orgoglioso isolazionismo commerciale attuata dalle autorità di governo. Fino a dopo la seconda guerra mondiale, dunque, importare un cane in Giappone comportava difficoltà quasi insormontabili ed era esclusivo appannaggio di  persone di un certo rango, quali importanti funzionari, diplomatici, ufficiali superiori delle Forze Armate, ecc., che soli potevano in parte aggirare, in virtù della loro autorità, le rigide norme proibizionistiche imposte ai normali cittadini.
A causa delle terribili distruzioni della seconda guerra mondiale i documenti riguardanti le attività cinofile e di allevamento canino in Giappone prima del 1945 sono andate in gran parte perdute. Solo le testimonianze dirette di pochi sopravvissuti hanno reso possibile ricostruire almeno a grandi linee la singolare storia dello Spitz Giapponese.
Come detto, le prime notizie di cani spitz di colore bianco presenti stabilmente in Giappone risalgono agli anni dopo il 1910, un’epoca che, secondo la cronologia giapponese, si definisce “Periodo Taisho” (1912 – 1926). Nel 1916 era stato importato il primo esemplare di Samoiedo che aveva suscitato grande entusiasmo nel grosso pubblico tanto che finirono con l’essere chiamati popolarmente “Samo” tutti gli spitz bianchi di qualsiasi origine. Fra il 1915 ed il 1920 arrivarono in Giappone a più riprese anche esemplari di spitz tedesco bianco di varie taglie. Questi cani, allora noti come “Pomerania”, furono importati per lo più da esponenti di famiglie altolocate recatisi nel Continente Europeo (soprattutto in Germania) per motivi di lavoro o di studio. Si ha notizia di alcuni spitz bianchi, presumibili discendenti di questi “Pomerania”, esibiti in mostre canine svoltesi a Ueno Park, Tokyo nel 1919 e 1921.
Il decennio successivo (1920 – 1930) vide l’arrivo di altri spitz bianchi, questa volta soprattutto dal Nordamerica. Nel 1923 un disastroso terremoto aveva portato gravi distruzioni a Tokyo ed erano stati organizzati soccorsi internazionali. Una delle navi mandate per recare viveri, generi di conforto e medicinali alla popolazione colpita dal disastro proveniva dal Canada e sbarcò, fra le altre cose, anche un esemplare di spitz bianco. Un appassionato cinofilo giapponese, colpito dalla bellezza del cane, riuscì ad acquisirlo e, successivamente, si procurò altri soggetti della stessa provenienza impiantando un piccolo allevamento. Secondo un cinologo di nome Jiro Ito, collaboratore negli anni ’50 della rivista giapponese “Aiken-no-Tomo” (L’amico del Cinofilo), questi cani erano ben noti intorno alla metà degli anni ’20 nell’area di Tokyo. Sempre dalla stessa fonte si ha anche notizia che uno degli esemplari di questo nucleo di spitz, un maschio di proprietà di un certo Terumasa (o Masateru) Tokita,  era alto al garrese 40,2 cm e pesava 11,25  Kg. La provenienza nordamericana e le dimensioni riferite per il suddetto cane sono sicuro indizio che il gruppo fosse formato da esemplari “standard”, più o meno puri, di “American Eskimo”.
Era questa una razza creata negli U.S.A. fra la fine del XIX secolo e la prima decade del ‘900 a partire da spitz tedeschi bianchi di grande mole portati in America da emigranti europei (soprattutto tedeschi) e forse anche con l’apporto di altri cani nordici. Dopo una prima registrazione presso lo United Kennel Club nel 1913, la razza era stata definitivamente riconosciuta intorno al 1923 col nome ufficiale di “American Eskimo”. Da notare, come curiosità, che questa denominazione non ha niente a che vedere con il vero “Eskimo Dog”, il cane utilizzato dagli Eschimesi del grande Nord. Fu coniata solo allo scopo di evitare la parola tedesca “spitz” (“American Spitz” sarebbe stata infatti la dicitura tecnicamente e storicamente più corretta !) considerata “non gradita” per designare una razza canina americana. Ciò a causa del forte sentimento anti – tedesco assai diffuso in quegli anni negli U.S.A. per le vicende della prima guerra mondiale. L’American Eskimo (razza tuttora diffusa in America ma non ancora riconosciuta dalla F.C.I.) è attualmente allevato in tre diverse taglie (Standard, Miniature e Toy), ma ai tempi di cui si parla esisteva solo la varietà “standard”, la quale ha una altezza al garrese di 15” – 19” (ca. 38 – 48 cm) per i maschi e di 14” – 18” (ca. 36 – 46 cm) per le femmine. Il colore del mantello di questo spitz è quasi sempre bianco (preferibile), ma lo standard ammette anche i colori panna e biscotto.
Altri American Eskimo approdarono in Giappone fino al 1930. Si hanno infatti citazioni di varie importazioni dal Nordamerica e anche di un arrivo dall’Australia.
In particolare, nel 1929-30 un appassionato cinofilo di nome Miyamoto, che era vissuto per molti anni in Canada ed ivi aveva conosciuto ed allevato gli American Eskimo, ritornò in Giappone portando con sé alcuni dei suoi cani. Qui egli incominciò ad incrociare gli American Eskimo con spitz tedeschi bianchi di origine europea e con altri spitz di provenienza russa che nel frattempo giungevano dalla Manciuria.        
I Giapponesi, a quel tempo in fase di espansione politico-militare sul continente asiatico e spesso in guerra con Russia e Cina, avevano infatti assunto nel 1931 il controllo completo di quel territorio, operazione che sarebbe poi culminata con la creazione dello stato vassallo del Manciukuò nel 1932-33. Numerosi militari e tecnici giapponesi si erano allora stabiliti in questa regione confinante con l’impero russo. In particolare la città mancese di Harbin, un importante centro industriale, costituiva per la sua posizione strategica il punto di incontro ideale per contatti e scambi commerciali fra giapponesi e russi.
Fra le varie “curiosità” che i russi facevano affluire ad Harbin vi erano anche degli spitz bianchi di taglia medio – piccola che essi chiamavano con il solito nome generico russo “laika” ma erano del tutto diversi dalle varietà di cani tipiche dell’Estremo Oriente continentale. La presenza di questi particolari cani ai confini orientali dell’impero russo in quegli anni non è mai stata spiegata chiaramente, ma si pensa che fosse in relazione con il forte flusso di profughi in arrivo dalla Russia Europea che cercavano di sfuggire alle conseguenze della Rivoluzione di Ottobre del 1917. Era infatti consuetudine assai diffusa presso le classi agiate della Russia zarista tenere in casa esemplari di “laika” bianchi, autoctoni delle regioni russo – siberiane secondo alcuni, discendenti da spitz tedeschi secondo altri. Quando per effetto della rivoluzione bolscevica furono espropriate dei loro beni, molte famiglie appartenenti a tali classi preferirono lasciare il paese d’origine portando con sé i loro cani. Una parte emigrò nell’Europa occidentale, altre si rifugiarono in regioni situate oltre il confine russo in Estremo Oriente, quali appunto la Manciuria, con l’intento di raggiungere da lì, come meta finale, il Continente Americano.
Non si sa se i laika bianchi trovati dai Giapponesi in Manciuria fossero solo i cani degli emigranti russi oppure anche altri cani di origine siberiana (varietà di samoiedi di piccola taglia o cani dei Nenets) o, magari, incroci delle predette varietà. In ogni caso erano descritti come spitz di taglia ridotta, di aspetto più raffinato e con mantello più ricco e candido rispetto ai già noti American Eskimo. Per tali ragioni erano molto ammirati e ricercati. Alcuni funzionari civili giapponesi che si occupavano di selezionare e curare i cani utilizzati dalle unità cinofile dell’esercito imperiale furono attratti dall’aspetto e dalla qualità di questi spitz russi e, protetti dal loro status di associati all’esercito, aggirando i soliti divieti riuscirono in varie riprese a trasferirne in Giappone diversi esemplari, soprattutto cuccioli.
La città di Harbin era collegata negli anni ‘30, attraverso la cosiddetta Ferrovia Cinese Orientale, a ovest con la città russa di Cita (a est del lago Baikal, sulla Transiberiana) e ad est con il porto russo di Vladivostok sul Mar del Giappone. Era quindi un punto di arrivo importante per tutto ciò che proveniva dalla Russia. Un secondo tronco ferroviario, interno alla Manciuria, denominato Ferrovia Mancese Meridionale, collegava inoltre Harbin al porto di Dairen (oggi Lü Ta) sul Mar Giallo. La rotta tipica dei trasporti fra Manciuria e Giappone comprendeva il percorso per ferrovia da Harbin a Dairen e da lì la navigazione attraverso il Mar Giallo e lo Stretto di Tsushima fino a entrare nel Mare Interno dell’Arcipelago Giapponese all’altezza della città di Shimonoseki (di fronte al porto coreano di Pusan). Navigando all’interno si giungeva fino a Kobe e Osaka, da lì si proseguiva all’esterno lungo le coste orientali sul Pacifico raggiungendo Nagoya, poi Hamamatsu e, infine, Yokohama – Tokyo.
E proprio queste rotte seguirono anche i cuccioli di spitz raccolti in Manciuria. Le fonti giapponesi citano infatti proprio le città mancesi di Harbin e Dairen quali località di partenza e quelle giapponesi di Kobe, Nagoya, Hamamatsu e Tokyo quali destinazioni finali. In particolare, l’area intorno a Nagoya e Hamamatsu (Prefetture di Aichi e Shizuoka) divenne il più importante centro di allevamento degli spitz bianchi da cui sarebbe poi derivato lo Spitz Giapponese. Le fonti forniscono dettagli di uno dei siti di allevamento. Si trattava di una grande villa di campagna edificata su una penisola in riva al Lago di Hamana, in località Kanzanji, vicino alla città di Hamamatsu.
Esperti allevatori, utilizzando al meglio il materiale pazientemente raccolto negli anni, effettuarono fra il 1930 ed il 1940 incroci e selezioni mirate a creare una nuova razza di spitz bianco a pelo lungo di qualità superiore rispetto a quelle fino ad allora note. Il numero di esemplari prodotti cresceva ed il lavoro di selezione si era quasi concluso quando tutto precipitò nel tragico baratro della Seconda Guerra Mondiale.
Nel periodo bellico, dopo un apparente successo iniziale delle armate giapponesi, i sacrifici imposti per continuare un’impari lotta divennero ben presto intollerabili e la situazione si fece drammatica. La guerra divorava inesorabilmente tutte le risorse umane, industriali ed alimentari del paese e la gente era costretta a subire privazioni estreme. In questo contesto non poteva esserci più posto per gli animali d’affezione. Ad evitare ogni minimo spreco di sostanze alimentari fu proibito severamente dalle autorità di tenere in casa cani o altri animali domestici. Solo pochi coraggiosi osarono disubbidire a tali disposizioni estreme e con grave rischio custodirono gelosamente i loro cani in luoghi nascosti di campagna riuscendo a sfuggire ai severissimi controlli.
A causa di tutte queste difficoltà alla fine della guerra ben pochi dei preziosi spitz così faticosamente raccolti e selezionati sopravvivevano; la nuova razza stava rischiando l’estinzione prima ancora di poter essere ufficialmente riconosciuta !
A questo punto si verificò una sorta di piccolo, inatteso miracolo che capovolse la situazione.
Dalla popolazione giunse spontanea un’improvvisa e massiccia richiesta di cani da guardia di taglia ridotta. Ciò era in relazione allo stato di disordine e di insicurezza creatosi in Giappone nell’immediato dopoguerra. La situazione dell’ordine pubblico era assai precaria e le autorità stentavano a riprenderne il controllo. In particolare i furti nelle case erano diventati una vera piaga sociale. La gente, per difendersi da questo fenomeno, si risolse allora di dotarsi di efficienti cani da guardia che segnalassero prontamente l’intrusione di estranei in casa. La maggior parte delle abitazioni giapponesi era però di piccole dimensioni e non in grado di accogliere animali di grossa taglia. Occorreva quindi un cane di ridotte dimensioni, frugale, capace di adattarsi anche in spazi ristretti, affettuoso e fedele nei confronti dei padroni ma, allo stesso tempo, vigile, energico, coraggioso e pronto a segnalare ogni presenza di persone sospette abbaiando con toni squillanti . Un economico e poco ingombrante sistema di allarme vivente, insomma. E quale altro cane avrebbe potuto meglio soddisfare questi requisiti se non il vivacissimo e intrepido spitz bianco selezionato e noto ormai da oltre vent’anni e, oltretutto, dotato di qualità estetiche così appaganti ?
Si scatenò un vero e proprio “boom” dello spitz bianco. La domanda era così alta che gli allevatori non riuscivano in alcun modo a soddisfare le richieste. Ciò incoraggiò fortemente la ricerca e la valorizzazione dei pochi spitz selezionati rimasti, ma questi non bastarono più da soli ad assicurare un tale allevamento di massa e si cominciò a ricorrere disinvoltamente a incroci con tutte le varietà di cani spitz di colore bianco che si riuscivano a trovare. Vennero così usati Spitz Tedeschi Bianchi, American Eskimo, Samoiedi e persino un non meglio identificato “cane giapponese bianco”. Il pericolo era questa volta uno stravolgimento delle caratteristiche della razza. 
Fortunatamente ci fu una pronta reazione da parte degli appassionati cinofili e si posero tempestivamente in atto le necessarie contromisure. Nel 1948 con la fondazione di un’associazione denominata “All Japan Guard Dog Society” (che avrebbe poi cambiato la sua denominazione in “Japan Kennel Club” nel 1952) si iniziò la registrazione ufficiale dei cani di razza nei libri genealogici. Lo spitz giapponese N. 1 nel libro delle origini del futuro J.K.C., registrato dal suo proprietario Tamotsu Sakamoto nel 1948, è un maschio di nome “Hakuryu” (Drago Bianco) nato il 6 agosto del 1947 da padre di nome Koma e madre di nome Shinju. Nel 1949 furono registrati ufficialmente 419 cani di cui la metà era costituita da Spitz Giapponesi.
Nel contempo gli specialisti ponevano le basi del moderno allevamento della razza fissando anche la corretta nomenclatura. Ai veri spitz bianchi di dimensioni medio-piccole (fino ad allora confusamente indicati come “Samo” e “Pomerania”) venne attribuita la giusta denominazione di “spitz” (“supittsu”, secondo la trasposizione in giapponese) tenendo conto delle indicazioni della moderna cinologia. Ciò servì anche a chiarire definitivamente la distinzione fra gli spitz bianchi che si allevavano in Giappone e il Samoiedo (cane diverso e nettamente più grande nonostante abbia un aspetto generale abbastanza simile) e a ribadire la sostanziale non parentela di questi con esso, a parte rari e marginali meticciamenti.
In questo contesto la razza giapponese di spitz bianco prese il nome ufficiale di “Spitz Giapponese” (“Nihon Supittsu” in giapponese).
 Si identificò poi un certo numero (ca. una decina) di linee di sangue  considerate le più valide per assicurare la genuinità dello Spitz Giapponese e si stabilirono i criteri per l’ulteriore affinamento della razza. Fu stilato un primo standard nel 1948 cui seguì il riconoscimento ufficiale nel 1953. Nel 1959, a seguito del grande successo che lo Spitz Giapponese aveva riportato, veniva fondata la Nippon Spitz Association (N.S.A.), associazione indipendente degli allevatori di questo cane.
Per dare un’idea di quale successo avesse raggiunto lo Spitz Giapponese nel suo paese di origine nella metà degli anni ’50 (per la cronologia giapponese, metà del “Periodo Showa”, durato dal 1926 al 1989) basta citare il dato sulle registrazioni J.K.C. del 1955. In quell’anno vennero iscritti in totale nei libri genealogici 10.512 cuccioli delle varie razze e di questi ben 4.373 erano Spitz Giapponesi ! E gli esperti stimano che ci fossero in circolazione almeno altrettanti esemplari di spitz non registrati ufficialmente.
Ma era destino che la razza dovesse subire ancora una volta un’improvvisa battuta d’arresto. Dopo che nel 1958 si era raggiunta la punta massima di 4.912 nuove iscrizioni, il decennio successivo vide invece una caduta rovinosa quanto inattesa dei numeri. Le iscrizioni ai libri delle origini si ridussero rapidamente : 2.214 nel 1962, 1.134 nel 1966, 746 nel 1968 ! Questo trend negativo non si arrestò neppure negli anni successivi; nel 1976 si toccò il minimo storico di sole 356 nuove iscrizioni. Cos’era dunque successo ?
Due furono sostanzialmente le cause del declino dello Spitz Giapponese nel suo paese di origine.
Anzitutto, man mano che veniva ristabilito l’ordine pubblico, venne meno l’esigenza di tenere in casa cani da guardia. Addirittura, nella nuova realtà urbana della ricostruzione post bellica caratterizzata da grossi agglomerati di unità abitative una a ridosso dell’altra come in giganteschi alveari, quei bianchi spitz che abbaiavano ad ogni più piccolo rumore o movimento finirono con l’essere visti da molti proprietari non solo come guardiani ormai inutili, ma anche come disturbatori della quiete e fonte di beghe con il numeroso e incombente vicinato. Così solo pochi veri cinofili continuarono a tenere in famiglia uno Spitz Giapponese.
L’altra causa, non meno importante e decisiva, fu l’apertura delle frontiere all’importazione delle razze canine occidentali. L’improvvisa disponibilità di tante nuove “esotiche” varietà di cani, molto spesso lanciate dalla moda o da massicce campagne pubblicitarie, esercitò sulla popolazione giapponese un’attrazione irresistibile portando ad un massiccio abbandono delle razze locali ed alla corsa a procurarsi quei nuovi cani divenuti simboli e messaggeri dei nuovi modelli di vita dettati dall’Occidente.
Anche questa volta, però, le qualità dello Spitz Giapponese permisero alla razza di sopravvivere. Se da un lato era caduto l’interesse di molti giapponesi per questo cane, dall’altro c’era il fatto positivo che nel paese restavano comunque ancora molti suoi tenaci e fedeli estimatori.
La Nippon Spitz Association non si diede per vinta e continuò il lavoro di allevamento e selezione della razza operando sia sulle caratteristiche fisiche che sul temperamento di questo cane. Sotto quest’ultimo aspetto, ottenne con successo di addolcirne il carattere e il forte istinto per la guardia esaltandone nel contempo le naturali doti di grande affettuosità verso il padrone e la famiglia e  trasformandolo sempre di più in un ottimo cane da compagnia.
Gli sforzi furono premiati da una ripresa delle iscrizioni nei libri genealogici (765 nel 1980, 940 nel 1985, 785 nel 1990, 1.803 nel 1994). Questo lodevole impegno della N.S.A. servì fortunatamente a controbilanciare il molto minor entusiasmo profuso dal J.K.C. nel sostenere la razza. Forse perché non derivato da cani autoctoni del Giappone come, ad esempio, l’Akita – Inu, lo Spitz Giapponese non sembra essere particolarmente amato dal J.K.C., che a volte è parso persino sorpreso ed imbarazzato di fronte al crescente successo che questo cane sta incontrando nel mondo.
L’altro importante fattore di rilancio dello Spitz Giapponese fu il suo ingresso sulla scena internazionale. Proprio nel momento in cui in Giappone la razza appariva in forte declino, essa cominciò invece ad attirare l’attenzione dei cinofili europei. Infatti, dopo che nel 1967 era stato importato un esemplare femmina in Norvegia (episodio rimasto senza seguito), nel 1973 alcuni allevatori svedesi fecero arrivare dal Giappone alcuni cuccioli e diedero inizio all’allevamento della razza in Europa. L’iniziativa ebbe successo e nuovi allevatori sorsero subito anche in Norvegia, Finlandia e Danimarca.
Nel 1976 fu la volta dell’Inghilterra ad accogliere i suoi primi spitz giapponesi, importati dalla Svezia. Per tutti gli anni ’70 l’allevamento continuò a svilupparsi sia in Scandinavia che in Inghilterra e vennero anche effettuate ulteriori importazioni dal Giappone.
Nel 1985 iniziò una nuova serie di arrivi dal Paese del Sol Levante diretti in Italia, dove nel 1989 si ebbe la nascita della prima cucciolata. La razza si diffondeva nel frattempo anche in Austria, Germania e Australia.
Oggi lo Spitz Giapponese è presente ed allevato in tutto il mondo, anche se la sua diffusione non rappresenta un fenomeno di massa.
Il Giappone rimane il paese con la più alta produzione di cuccioli (sono segnalate 1.000 – 1.500 nuove iscrizioni all’anno che collocano la razza intorno al trentesimo posto in ordine di importanza), ma solo una piccola parte di questa beneficia del controllo di qualità esercitato dalle organizzazioni specializzate degli allevatori e fornisce esemplari davvero pregevoli e tipici.
In Europa la razza è molto ben allevata in Finlandia (ca. 160 nuove iscrizioni), Svezia (ca. 150), Norvegia (ca. 150) e Inghilterra (ca. 100). In questi paesi esistono clubs esclusivi ben organizzati e assai attivi che svolgono un ottimo lavoro di coordinamento e di selezione.
Lo Spitz Giapponese è presente da molti anni anche in Danimarca, Italia, Austria, Benelux, Germania, Irlanda, Russia, Francia, Slovenia e di recente è stato introdotto in Spagna e Slovacchia.
L’Italia, con due allevatori riconosciuti F.C.I., ha prodotto, partendo da esemplari importati direttamente dal Giappone, cuccioli in numero limitato ma di ottima qualità. La maggioranza di questi è stata esportata all’estero.
Infine l’Australia (circa 220 nuove iscrizioni) è ormai diventata il secondo paese allevatore dopo il Giappone. La qualità della produzione in Australia è molto buona, frutto del sapiente uso di ottimi esemplari importati negli anni da Inghilterra, Svezia, Norvegia, Finlandia e Italia.
Recentemente lo Spitz Giapponese si è diffuso anche negli Stati Uniti, dove prima esistevano solo rari esemplari soprattutto nelle Isole Hawaii. E’già sorto un club U.S.A. della razza che è riuscito ad ottenere il riconoscimento della stessa da parte dei vari kennel club americani.
L’anno 2008 ha visto il degno coronamento del lavoro di tanti allevatori ed appassionati di Spitz Giapponese nel mondo. In occasione della Esposizione Canina Mondiale F.C.I. di Stoccolma, nell’arco di cinque giorni ben quattro sono state le manifestazioni a carattere internazionale dedicate alla razza con la partecipazione record di circa 130 esemplari.

Spitz Giapponese
KOTOHIME OF SHONAN SUMIRESOW, giovane femmina di spitz
    giapponese importata in Italia dal Giappone nel 2004
    (foto Marisa Bottardi)

Lo Spitz Giapponese è un tipico cane spitz a pelo lungo di taglia media.
L’altezza al garrese è di norma 35 – 36  cm nei maschi, 32 – 33  cm nelle femmine. Il rapporto fra lunghezza del corpo, misurata dalla punta del petto (punta del manubrio dello sterno) alla tuberosità ischiatica, e altezza al garrese è, in media, pari a 11 : 10. Nei maschi la struttura tende ad essere più compatta e a risultare pressoché contenuta nel quadrato. Il rapporto ottimale  peso (Kg)/altezza (cm)  è pari a 0,23 – 0,25 per i maschi e di poco superiore a 0,20 per le femmine.
Il corpo è forte e muscoloso con tronco compatto, ossatura di media pesantezza e arti robusti ma slanciati. Il piede, sia anteriore che posteriore, presenta dita ben raccolte e appare quindi alquanto piccolo e rotondeggiante (“piede di gatto”). La testa è piuttosto grande, il muso è allungato e a forma di cuneo, il tartufo è piuttosto piccolo e rotondo. La fronte è arrotondata ma poco prominente, lo stop è ben definito ma non accentuato. Le orecchie, di dimensioni medio – piccole, sono diritte, attaccate alte, di forma triangolare e rivolte in avanti. Il cranio è di media pesantezza, non troppo arrotondato superiormente e notevolmente slargato posteriormente. Gli occhi sono di media grandezza e molto espressivi, di forma ovale, ben contenuti nelle orbite, inseriti leggermente obliqui. L’iride è di colore scuro. Le mascelle sono forti ma non massicce e le labbra ben serrate, la chiusura è a forbice. La dentatura è forte e regolare. Il collo è di moderata lunghezza, muscoloso, portato eretto e lievemente arcuato. Il dorso è diritto fino alla groppa, corto e lievemente inclinato verso il posteriore. La coda è di media lunghezza, ricoperta di pelo lungo e folto. E’ inserita alta, portata ricurva e ricadente fino ad appoggiarsi con la punta sopra il dorso restando centrata sull’asse dello stesso.
Lo Spitz Giapponese è ricoperto di una ricca pelliccia di colore esclusivamente bianco puro, di solito più cospicua nei soggetti maschi.
Il manto è costituito da abbondante pelo lungo, diritto e non cadente, sostenuto da morbidissimo e folto sottopelo più corto. Il pelo lungo copre la maggior parte del corpo ed è particolarmente abbondante su petto, tronco, collo (dove forma una vera e propria criniera), cosce e coda. Gli arti anteriori mostrano una consistente frangia di pelo sulla faccia posteriore. Sono invece ricoperti di pelo corto e liscio la parte anteriore della calotta cranica, la faccia, il muso, gli orecchi, i garretti, la faccia anteriore degli arti ed i piedi. La coda forma un maestoso e ricco fiocco.
Nonostante l’abbondanza e ricchezza del manto, la figura dello Spitz Giapponese non appare mai come un ammasso indistinto di pelo, ma si identifica in una caratteristica silhouette in cui si apprezzano come parti distinte, peraltro combinate armoniosamente, la testa in posizione elevata, il collo con abbondante criniera e ricco pettorale, il tronco corto e compatto, il ricco fiocco della coda, le cosce rivestite di cospicui “calzoni” e la parte inferiore degli arti ricoperta di pelo corto e liscio.
In contrapposizione al candore del mantello, il tartufo, la punta del muso, le labbra, gli orli palpebrali e i cuscinetti plantari delle zampe sono fortemente pigmentati di nero.
L’andatura al trotto è agile, elastica ed elegante. Il cane è però anche in grado di sviluppare un galoppo sorprendentemente veloce e sciolto, nonché di effettuare salti di notevole elevazione e cambi improvvisi di direzione e di assetto. In virtù di queste buone capacità motorie lo Spitz Giapponese eccelle nelle prove di agility.

La razza costituisce il raffinato prodotto finale di un lungo e meticoloso lavoro di ottimizzazione che ha riguardato in particolare:
TAGLIA
La taglia prevista è unica (non esistono versioni toy o maggiorate di Spitz Giapponese) ed è stata perseguita e fissata adottando il miglior compromesso possibile fra l’esigenza di ottenere un cane da guardia poco ingombrante e la ferma volontà di non far comparire quei caratteri negativi (testa globosa, occhi sporgenti, muso breve e debole, dentatura incompleta, stop accentuato, predisposizione a patologie quali la lussazione congenita della rotula, ecc.), tipici delle miniaturizzazioni forzate su razze nate in partenza di dimensioni normali. Per lo Spitz Giapponese la riduzione della taglia a partire dal grande spitz si è fermata sui valori dello spitz medio e fortunatamente sono stati bloccati tutti i tentativi (e le tentazioni !!) di fare di questo cane una leziosa razza toy da dare in pasto al grande pubblico. Ciò ha consentito di conservare il tipo  ottimale ereditato dai progenitori di maggiori dimensioni pur ottenendo una ragionevole riduzione della taglia.
COLORE
L’unico colore ammesso è il bianco puro. Non ci sono compromessi verso il color panna o biscotto come in altri cani spitz bianchi (es. il Samoiedo, l’American Eskimo, ecc.). Attenzione, però, che bianco non vuol dire albino ! Ad evitare anche il minimo equivoco su questo punto, per il pur candidissimo Spitz Giapponese sono rigorosamente prescritti il colore scuro dell’iride e la pigmentazione nera per le parti nude (tartufo, punta del muso, labbra, orli palpebrali, cuscinetti plantari delle zampe), caratteristiche che sarebbe impossibile riscontrare in un cane davvero albino.
QUALITA’ DEL PELO
Il candido manto dello Spitz Giapponese ha qualità straordinarie. Il pelo di copertura esterna è lungo e a tessitura vitrea, il sottopelo è più corto, morbidissimo e caldo; entrambi sono impermeabili ed estremamente resistenti allo sporcamento da parte di fango, liquidi organici e ogni altro materiale semisolido a base acquosa. Solo le vernici ed i coloranti sintetici a base oleosa riescono a imbrattarlo indelebilmente, cosa che però può succedere solo come raro incidente occasionale. Capita sempre che ogni nuovo potenziale padrone di Spitz Giapponese al primo incontro con l’immacolato animale da un lato rimanga ammirato per le sue qualità estetiche, ma dall’altro esprima subito una preoccupazione del resto ben giustificata. Come si fa a mantenere questo cane sempre così bianco ? Chissà quanti bagni e quante costose toelettature sono necessari ! Fortunatamente non occorre niente di tutto questo. Anzi, i bagni devono essere il meno possibile, orientativamente non più di due o tre all’anno come normale routine e ripetuti solo in occasione di eventuali esibizioni sul ring per le quali sono richieste condizioni del mantello assolutamente impeccabili. Anche la toelettatura per le mostre, dopo il bagno, si limita a sapienti colpi di spazzola senza nessuna operazione di stripping o clipping del pelo. Alcuni espositori, al più, rifilano leggermente il pelo sui piedi e sulla parte inferiore del retro dei garretti per mettere meglio in risalto il tipico “piede di gatto” della razza. Il pelo di questo cane non ingiallisce, non assorbe lo sporco e non emana odore sgradevole; alcuni allevatori lo hanno definito “Teflon” ! Anche per il più lurido ed infangato Spitz Giapponese basta disporre di un locale sufficientemente asciutto e caldo dove farlo soggiornare finché tutta l’acqua sia evaporata naturalmente e dopo un’ora o due, meglio se si potrà aiutare con alcune buone passate di spazzola, si assisterà al miracolo di un manto tornato perfettamente candido dopo aver lasciato staccare tutta la parte solida secca dello sporco senza che ne rimanga traccia. Il segreto di tutto questo sembra essere una secrezione oleosa quasi impercettibile che rende il pelo idrorepellente e quindi ne evita l’impregnamento da parte delle sostanze inquinanti. Pochissimi bagni, dunque, come si è detto, per non far perdere al pelo le sue straordinarie caratteristiche naturali e invece frequenti spazzolature, soprattutto nei periodi di muta. Lo Spitz Giapponese di norma cambia il morbido sottopelo almeno una volta all’anno al termine della stagione fredda e talvolta effettua anche mute secondarie legate a variazioni di clima o di stato ormonale (es. femmine in calore o in allattamento). In questa circostanza lascia cadere sul terreno per 15 – 30 giorni consistenti ciuffi di candido e finissimo pelo così soffice e caldo che alcuni allevatori dei paesi nordici hanno pensato di raccoglierlo e filarlo per farne sciarpe e berretti risultati poi di straordinaria qualità. Il pelo di copertura esterna più lungo si rinnova invece lentamente ed in continuo nell’arco di molti mesi. Il sottopelo ricresce completamente nella stagione autunnale ed il mantello raggiunge il massimo della consistenza nei mesi invernali e ad inizio primavera.
CARATTERE
Vivere insieme a questo cane è per un cinofilo un’esperienza straordinaria. Lo Spitz Giapponese è un meraviglioso cane da compagnia che tuttora conserva anche spiccate doti di cane da guardia avvisatore. Molto vivace, affettuosissimo con le persone che conosce, è diffidente al primo approccio con gli estranei ma assolutamente non mordace. Nell’espletare le mansioni di guardiano, se non fatto socializzare adeguatamente da piccolo con le persone e gli altri cani, può farsi trascinare da zelo ed entusiasmo eccessivi risultando esuberante e chiassoso oltre la media. E’ un cane molto intelligente, una vera “testa pensante” che non subisce passivamente gli ordini, ma ragiona col suo cervello e sa interpretare con raziocinio gli insegnamenti dell’addestramento. Ha una visione dei rapporti con l’uomo tutta particolare. Lui non si sente un essere inferiore, ma un vero componente “alla pari”della famiglia, desideroso di vivere in letizia con chi lo cura e lo accudisce ; “they want to be people” (“vogliono essere persone umane”) dicono di questi cani gli allevatori anglosassoni. Lo Spitz Giapponese non sarà quindi mai uno schiavo sottomesso che obbedisce perché timoroso di punizioni, ma un vero e proprio amico del cuore del suo amatissimo “padrone”. Questi rappresenta il suo riferimento per ogni evento o attività, è insomma il faro della sua vita. Ogni gioco o esercizio o prova di obbedienza che gli si proporrà sarà recepita non come una costrizione ma come un mezzo per rinsaldare il sacro patto di amicizia con l’uomo. Lo Spitz Giapponese sarà sempre entusiasta di eseguire gli esercizi che il “padrone” si è divertito ad insegnargli e che lui ….si è divertito ad imparare per compiacere il “padrone” ! Ed è chiaro che questo cane vorrà sempre essere dove si trova il padrone, partecipare attivamente a tutto ciò che avviene in famiglia e assumersi il ruolo di custode della casa e dei suoi abitanti. Puntualmente, ogni candido cucciolo di spitz che entrerà nella sua nuova casa mostrerà subito di avere già perfettamente impressi nel suo DNA questi principi e si farà amare perdutamente per questo. Quello che colpirà di più sarà constatare non solo con quanta determinazione il candido spitz, prima da cucciolo e poi da cane adulto, si dedichi ad adempiere a questa sua “missione atavica”, ma anche quali incredibili espressioni di amore e dedizione sia capace di offrire nell’arco della sua esistenza a fianco degli umani.
Una esistenza peraltro non breve ! Lo Spitz Giapponese è un cane forte, resistente alle malattie e molto longevo che vive in media 14-15 anni, ma può raggiungere e superare anche i 17 anni. Bisogna essere preparati anche a questo !

Cuccioli di Spitz Giapponese
Cuccioli di spitz giapponese di ca. 2 mesi di età, nati in Italia (2006)
Allevamento Almarven’s (foto Marisa Bottardi)

Marco Piasentin, laureato in Ingegneria Chimica, ha lavorato per circa trent’anni come tecnico e manager nell’industria. La sua passione segreta sono sempre stati il mondo degli animali e la natura in genere. www.almarvens.org

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