Microrganismi probiotici
I microrganismi probiotici e le sostanze prebiotiche
di Marco Martini
Bifidobacterium longum – Lactobacillus rhamnosus
Lactobacillus acidophilus – Lactobacilos casei
In ambito alimentare si sta assistendo ad un crescente interesse per quelli che vengono definiti come “alimenti funzionali”. Molto spesso si tratta di latti fermentati (yogurt che possono presentare diversa consistenza) addizionati di microrganismi probiotici cioè utili a promuovere la salute umana. Il termine “probiotico” è di origine greca e letteralmente significa “per la vita”, recentemente però è stato ridefinito come “complesso di microrganismi che quando assunti in quantità adeguata apportano effetti benefici per la salute”. Il principale problema di questi microrganismi si riconduce però nel riuscire a far arrivare una quantità sufficiente di microrganismi vivi oltre la barriera acida dello stomaco, riuscendo a farli aderire all’epitelio intestinale in modo che possano svolgere la loro azione benefica. E’ molto importante quindi anche il numero di batteri vivi che giungono nell’intestino: l’alimento funzionale quindi dovrà essere progettato in modo che una porzione (o dose) contenga una quantità sufficiente di batteri. Sarà poi necessario che il consumatore ingerisca questo tipo di alimenti per un periodo di tempo sufficientemente lungo in modo da poterne apprezzare i benefici; l’ingestione di una singola porzione non porterà a risultati immediati. I criteri per definire un organismo probiotico sono otto e sono stati stabiliti dalla FAO e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità:
1) Essere di origine umana
2) Essere non patogeno
3) Resistere alla degradazione da parte dei succhi gastrici e della bile
4) Aderire all’epitelio intestinale
5) Essere in grado di colonizzare il tratto gastrointestinale
6) Produrre sostanze antimicrobiche
7) Modulare la risposta immune
8) Influenzare l’attività metabolica
I microrganismi più comunemente usati come “probiotici” sono rappresentati dai lattobacilli acido-produttori e dai bifidobatteri, queste due specie infatti risultano essere dominanti a livello della microflora intestinale in condizioni fisiologiche. L’utilità di questi batteri è riferibile proprio alla loro azione acidificante: i bifidobatteri in particolare riescono a produrre vitamine del gruppo B, enzimi digestivi come caseinofosfati, lisozima ed anche acidi forti come prodotti finali del loro metabolismo (acido acetico e acido lattico), con un conseguente abbassamento del pH che si traduce in un effetto antibatterico nei confronti di specie non dominanti e potenzialmente patogene. I lattobacilli invece riescono a produrre perossido di idrogeno diminuendo sia il pH intestinale che le concentrazioni di ossigeno producendo anche le batteriocine, composti in grado di inibire la crescita di batteri patogeni e batteri anaerobi. I probiotici possono essere utilizzati per le loro proprietà nel trattamento di alcune patologie gastrointestinali:
- Diarrea associata agli antibiotici: Lactobacillus acidophilus associato a Lactobacillus bulgaricus, Lactobacillus rhamnosus GG, Enterococcus faecium SF68, Bifidobacterium longum, Saccharomyces boulardii;
- Gastroenterite acuta: Lactobacillus rhamnosus GC, Lactobacillus reuteri, Lactobacillus casei (ceppo Shirota), Enterococcus faecium SF68, Saccharomyces boulardii;
- Diarrea del viaggiatore: Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus acidophilus associato a Lactobacillus bulgaricus, Lactobacillus fermentum (ceppo KLD), Lactobacillus rhamnosus GG, Saccharomyces boulardii.
L’efficacia dei microrganismi probiotici nei confronti dei patogeni è messa in relazione col loro meccanismo d’azione a livello intestinale. Ad oggi sono stati scoperti almeno 4 meccanismi ma dati gli intensi studi in questa direzione la lista è destinata ad aumentare. I meccanismi individuati sono:
• Inibizione della crescita di batteri intestinali patogeni: riduzione del pH endoluminale; secrezione di proteine battericide; stimolazione alla produzione di sostanze ad azione difensiva da parte delle cellule epiteliali; ostacolo alla colonizzazione a causa della occupazione di nicchie ecologiche necessarie ai patogeni.
• Interferenza con l’adesione epiteliale o con l’invasione da parte di patogeni: blocco del legame epiteliale; produzione di muco per modificare il biofilm; inibizione dell’invasione epiteliale.
• Potenziamento della funzione della barriera epiteliale e mucosa: produzione di acidi grassi a catena corta tra cui il butirrato; stimolazione della produzione di muco; potenziamento dell’integrità funzionale di barriera.
• Alterazione della risposta immune: stimolazione dell’ espressione e della secrezione di citochine; stimolazione della produzione di IgA secretorie; diminuzione del TNF (fattore di necrosi tumorale) e del IFN γ.
Alla luce di quanto detto si osserva che per quanto riguarda l’efficacia terapeutica, i probiotici hanno principalmente due azioni: effetti sulla salute (ad esempio sull’attività immunologica) ed effetti su specifiche condizioni patologiche (come le diarree).
Si può quindi facilmente pensare che nei prossimi anni le tipologie di alimenti funzionali offerte ai clienti saranno molteplici non limitandosi solo ai derivati del latte, magari interessando anche il settore delle conserve sottolio o in salamoia. Con l’aiuto dell’ingegneria genetica inoltre sarà possibile ottenere batteri con azione sempre più mirata e potenziata, che potranno soddisfare pienamente le attese del cliente.
Parallelamente agli studi e all’interesse rivolto verso i microrganismi probiotici, l’attenzione dei ricercatori si è focalizzata anche verso alcune “sostanze prebiotiche” che si possono ritrovare negli alimenti o che possono essere aggiunte agli alimenti. Prebiotico e probiotico quindi sono due termini dal significato ben diverso e non devono essere confusi l’uno con l’altro. Il termine “prebiotico” fu coniato per la prima nel 1995 da Gibson e Roberfroid che li definirono come “sostanze non digeribili che stimolando la crescita e/o l’attività di uno o più batteri nel colon esercitano effetti benefici per la salute”. Queste sostanze sono in realtà carboidrati non digeribili che hanno però la capacità di promuovere la crescita di bifidobatteri e lattobacilli (microrganismi probiotici, utili alla salute umana) e la produzione di acidi grassi a catena corta a livello del colon. Attualmente vengono riconosciuti come prebiotici l’inulina, i galatto-oligosaccaridi ed il lattulosio. I prebiotici quindi possono essere considerati come l’alimento dei microrganismi probiotici ma non solo. Gli effetti attribuiti ai prebiotici infatti sono molteplici: sulla microflora intestinale; sul metabolismo lipidico e minerale; infine viene attribuito loro un ruolo nella prevenzione delle neoplasie, in particolare del colon. Le sostanze prebiotiche, per essere definite tali, devono possedere le seguenti caratteristiche:
• Non deve essere idrolizzato o assorbito nella parte alta dell’intestino
• Rappresentare un substrato selettivo nel colon per uno o più batteri commensali potenzialmente benefici
• Alterare il microambiente del colon nel senso più favorevole per la salute
• Indurre effetti sistemici o locali vantaggiosi per l’ospite
BIBLIOGRAFIA
– “Il Libro Bianco sul latte e i prodotti lattiero caseari” pagg 411-422
Marco Martini, laureato in Scienze e Tecnologie Alimentari presso la Facoltà di Agraria di Firenze, è laureando al corso di laurea magistrale in Gestione della qualità dei prodotti alimentari.
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