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di Ettore Del Lupo
Vigneto in Abruzzo
La particolare e vivace conformazione geografica del nostro Paese, i forti e diversi nuclei culturali delle varie regioni ed una tradizione vitivinicola che trova radici nei secoli prima di Cristo, aprono un interessantissimo ed affascinante scenario sulla viticoltura Italiana.
Ogni regione è rappresentata da vitigni che hanno saputo esplicare l’arte, la passione e l’amore rivolta a loro dai viticultori, dando vini profondamente diversi tra loro, ma non per questo diversamente apprezzati dal mercato nazionale e mondiale.
Dopo anni di predominio sul mercato vinicolo mondiale, spalleggiata solo dalla Francia, la viticoltura italiana sta trovando ostici concorrenti in viticolture emergenti (Sud Africa, Argentina,Cile, California) dove, grazie al ridotto costo della manodopera o al ricorso alla meccanizzazione integrale dei vigneti, si riescono ad ottenere vini di qualità a prezzi contenuti.
Anche nel nostro paese, quindi, la scelta del sistema di allevamento e della densità di impianto diventa di prioritaria importanza: nella moderna viticoltura occorre conciliare l’esigenza di migliorare la qualità del prodotto con quella di ridurre i costi di produzione.
Da sottolineare il fatto che i paesi emergenti sono favoriti dalla mancanza di vincoli produttivi e quindi dalla possibilità di elevare le produzioni per ettaro rispetto a quelle dell’Italia o di altri paesi dell’Unione Europea.
In questa ottica anche l’Abruzzo, come tutte le regioni ha avviato progetti di ricerca mirati ad individuare nuove vie da perseguire per assicurare competitività al comparto viti-vinicolo, focalizzando l’attenzione sulla riduzione dei costi di gestione del vigneto ed il miglioramento qualitativo del prodotto.
In questa direzione L’ARSSA ha avviato nel 1995 un programma sperimentale sulle forme di allevamento integralmente meccanizzabili con la collaborazione scientifica del Dipartimento di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali della Facoltà di Agraria di Ancona.
L’impatto che ha avuto questo genere di ricerca sulla viticoltura abruzzese è davvero servita a qualcosa? I risultati delle prove condotte stanno intaccando le rigide posizioni culturali e tradizionali contro le quali vengono inevitabilmente a contrastare?
Spesso mi faccio queste domande, essendo stato in prima persona coinvolto nella ricerca e conoscendo la tradizione viticola della mia regione.
Rispetto alle altre regioni italiane l’Abruzzo presenta una minore variabilità per quanto concerne le forme di allevamento della vite.
Il sistema più diffuso è il tendone (o pergola abruzzese)che, pur presentando indiscutibili aspetti positivi sotto il profilo quali- quantitativo in ambienti come quello abruzzese, presenta marcati limiti per la forte richiesta di manodopera e la grande difficoltà di meccanizzare le operazioni colturali.
Qualche anno fa la proposta di lasciare il “buon vecchio” tendone, favorendo l’introduzione di sistemi già collaudati in altri ambienti (Cordone speronato, GDC, Cordone libero, Guyot), era stata accolta con molta diffidenza: questo voleva dire abbandonare la tradizione, cambiare modo di fare viticoltura, intraprendere una strada che a molti viticoltori, ormai anziani, non interessava.
Negli ultimi periodi, tuttavia, si avvertono segnali di tendenza.
Con un mercato sempre più esigente in termini di qualità, molte aziende vitivinicole, specialmente quelle più recenti, stanno abbandonando progressivamente il tendone ed adottando forme di allevamento a “filari”(prevalentemente Cordone speronato e Guyot).
L’implementazione qualitativa è tangibile!
Le esperienze lavorative degli ultimi anni mi hanno visto come responsabile per la qualità visiva delle uve in alcune realtà vitivinicole abruzzesi e le uve raccolte da forme di allevamento a filari risultano essere molto più sane e resistenti a condizioni avverse (nebbie ed eccessiva umidità nel periodo di vendemmia) e presentano un più alto grado zuccherino a maturità avvenuta (per la minor produzione per ceppo, caratteristica dell’allevamento a filare rispetto al tendone) ed una omogeneità nella maturazione marcatamente più alta.
Anche parlando con i viticoltori interessati ho avuto la netta sensazione che ci sia la volontà di proseguire per questa nuova strada. Le difficoltà però non sono poche: la gestione dei filari, oltre che a richiedere una nuova strumentazione (ulteriori investimenti), pretende una manodopera specializzata. I filari richiedono interventi di potatura e di gestione della chioma fondamentalmente diversi dal tendone e non sempre si riesce a trovare personale qualificato. Inoltre, a volte, la conformazione del territorio abruzzese pone davanti all’impossibilità di installare effettivamente nuovi vigneti a filari, fortemente condizionati da vincoli orografici che, se presenti, compromettono significativamente le qualità dell’uva.
Nonostante questo è, ormai, sempre più frequente, girando per i paesaggi agricoli dell’Abruzzo, imbattersi in nuovi impianti a filari, segno tangibile che qualcosa si muove.
Questo non deve essere per la regione adriatica un traguardo raggiunto, bensì un trampolino di lancio verso la rivalutazione e la considerazione che il vino abruzzese, primo tra tutti il Montepulciano d’Abruzzo, merita nel palcoscenico nazionale ed internazionale.
Ettore Del Lupo, laureato in Scienze e tecnologie agrarie presso l’Università politecnica delle Marche, ha conseguito il diploma di Master in Gestione del Sistema Viticolo presso la Facoltà di Agraria di Milano. Curriculum vitae >>>
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