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di Beatrice Lepri
Rapporto Predatore – Preda
Ogni specie animale acquisisce, per mezzo della selezione naturale, caratteristiche fisiche e comportamentali, geneticamente fissate, che lo aiutano ad assicurarsi la sopravvivenza nel suo ambiente naturale.
Gli animali, in genere, possono essere divisi in due principali categorie: predatori e prede, per cui, mentre i primi devono essere adeguati fisicamente dal punto di vista del comportamento a catturare le prede, quest’ultime avranno caratteristiche fisiche e comportamentali adatte a sfuggire ai loro cacciatori (Miller, 1991).
Il cavallo è una preda e le sua principale caratteristiche che lo hanno aiutato a sopravvivere durante la sua evoluzione sono la velocità e l’eccitabilità. La fuga è infatti un elemento fondamentale per la sopravvivenza del cavallo selvaggio.
Il cavallo è una specie il cui habitat naturale era la prateria ed i suoi principali predatori erano i grossi carnivori, per questo la sua unica possibilità di sopravvivenza era la fuga rapida ed improvvisa. Pertanto, ogni qual volta il cavallo avverte una sensazione di pericolo, ricorre, ancora oggi, all’espediente della fuga.
Questa eccitabilità è la ragione per cui spesso può danneggiare se stesso o la persona che lo conduce, se preso dal panico ed è sempre per questa sua caratteristica, che il cavallo viene descritto, in maniera superficiale, come un specie poco intelligente (Miller, 1991).
Ma l’intelligenza, intesa come la capacità di servirsi di vecchie esperienze per risolvere nuovi problemi, è propria di ogni specie, e ciascuna specie ha un suo modo per esprimerla: questo è molto importante e deve essere tenuto presente quando si approntano degli esperimenti per poterla valutare e per non incorrere nell’errore di misurarla secondo i nostri parametri che non possono essere adeguati a tutte le specie animali. E’ perciò molto importante fare attenzione a quale specie siamo davanti, se predatore o preda, qual è il suo habitat e così via, per poter capire il perché abbia un determinato comportamento invece che un altro.
Se un predatore sbaglia un attacco e la sua preda fugge, non è accaduto niente di irreparabile: rischia solo di “saltare il pranzo”, ed in ogni caso può utilizzare l’errore commesso per non ripeterlo.
Una preda, al contrario, non ha praticamente possibilità d’errore, il suo margine di rischio è elevato, se sbaglia l’errore può costargli la vita, ed è per questo che il cavallo è molto sensibile alle esperienze che causano dolore e paura poiché più sono intense queste sensazioni e più a lungo negli anni gli rimarrà il ricordo, dando origine a comportamenti “apparentemente” inspiegabili per l’uomo (Morris, 1988).
Il cavallo per sua indole, è timido, e questa sua caratteristica, insieme all’eccitabilità, è fissata geneticamente. Anche il lento processo di “addomesticamento”, operato dall’uomo, ha modificato solo in parte la sua indole, senza però eliminarla del tutto.
La fuga, come ho detto, è l’unica possibilità di difesa per il cavallo, ma ci sono altri fattori che concorrono alla difesa dai predatori, primo fra tutti l’istinto gregario, che è molto forte in questa specie ed ha la funzione di protezione, poiché durante la fuga del branco, al centro del gruppo si troveranno le cavalle con i loro puledri ed intorno gli altri componenti del “branco”, in ordine decrescente di rango; l’altra funzione della fuga di gruppo è quella di mettere in difficoltà il predatore che di solito attacca cercando di separare un elemento dal resto del branco, frapponendosi fra lui e gli altri soggetti; se questo gli riesce, la sorte del cavallo è quasi sicuramente segnata; ma quando un branco che fugge compatto ha maggiore possibilità di salvare tutti i suoi componenti, dal momento che il predatore può avere notevoli difficoltà nello scegliere e separare la preda giusta (Miller, 1991).
La differenza tra predatori e prede si possono individuare già alla nascita: infatti i predatori, come ad esempio i carnivori e gli uccelli rapaci, nascono ancora non completamente sviluppati, sia fisicamente che neurologicamente, sono spesso ciechi, sordi ed inermi: le prede, invece, devono essere in grado di poter riconoscere e sfuggire il pericolo molto precocemente e per questo nascono già completamente sviluppati e vengono detti specie precoci. Per questo il cavallo, e i grossi erbivori in genere, è in grado di stare in piedi, muoversi coordinamente e trottare già poche ore dopo la nascita (Miller, 1991).
Nei secoli, il rapporto uomo-cavallo, e soprattutto i metodi tramiti i quali l’uomo si è avvicinato a questo animale per poterlo “domare” e “usare”, sia per lavoro che per lo sport, hanno subito notevoli miglioramenti: fino al secolo scorso, l’uomo sottometteva il cavallo con metodi quasi esclusivamente coercitivi, come ad esempio, l’uso di una barra di ferro dotata di uncini aguzzi da conficcare nei quarti posteriori di un cavallo recalcitrante, oppure l’uso di imboccature decisamente severe e crudeli
Naturalmente, non tutti erano concordi nell’usare queste tecniche: se andiamo molto indietro nel tempo, troviamo degli scritti di Senofonte, il famoso filosofo greco vissuto nel 430 a.C., che espongono idee molto moderne sul carattere del cavallo. Senofonte, scrive infatti, “mai trattare il cavallo con rabbia, ecco il grande precetto e la grande abitudine, essenziale nei suoi riguardi. E quando un cavallo per timore di un qualche oggetto rifiuta di avvicinarsi, occorre mostrargli che non vi è nulla di spaventoso…bisogna fare avanzare il cavallo senza violenza. Ma quelli che lo forzano con le percosse non fanno che accrescerne il timore, infatti i cavalli che subiscono in un caso del genere maltrattamenti, immaginano che ne sia causa l’oggetto della loro diffidenza”.
Cavalla con puledrino (foto Cataldo Semirara)
Beatrice Lepri, laureata in Scienze delle Produzioni Animali all’Universita’ di Pisa, vanta quasi due lustri di esperienze maturate presso l’Associazione Italiana Quarter Horse. E’ anche allevatrice di cavalli. Curriculum vitae >>>
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