di Mario Giannone
L’ALLEVAMENTO DEL SUINO IN ITALIA
Suinetti di razza Cinta Senese (foto Francesco Sodi)
Le regioni più importanti per l’allevamento suino, in Italia, sin dal secolo scorso, sono: la Lombardia, L’Emilia Romagna, il Piemonte, il Veneto, nel settentrione, dove è concentrato l’allevamento intensivo; la Campania, il Lazio, la Toscana nel centro-sud, dove coesistono varie forme di allevamento. In Emilia Romagna, Lombardia, Veneto e Piemonte l’abbattimento dei maiali avviene e avveniva e ad un p.v. che va dai 125 ai 155 Kg, in ordine alle caratteristiche dell’industrializzazione prevalente delle carni. In queste aree nacquero le prime grandi industrie di trasformazione del suino e contemporaneamente i grandi caseifici, creando così una filiera produttiva abbastanza funzionale, mentre il reperimento dei soggetti da ingrassare avveniva nel centro Italia e in Romagna dove allora l’allevamento suino era fortemente radicato, sia su tutta la dorsale appenninica con medi allevamenti, che nelle aree collinari e di pianura presso le aziende mezzadrili. Il consumo delle carni suine “fresche” fu per lungo tempo largamente propagandato, per supplire le deficienze interne delle carni bovine, con risultati non proprio esaltanti; in Italia, ancora oggi, si mantiene, come si è già detto, relativamente basso, con dei rialzi stagionali, mentre in alcune regioni come la Sicilia in certi mesi il consumo si azzera. La grande massa delle carni prodotte nel nostro Paese è trasformata in salsicce, salumi, prosciutti, ecc.
Nel 1873, per iniziativa del Deposito di miglioramento genetico di Reggio Emilia, collocato presso l’Istituto Agrario della stessa città, vennero importati i primi suini inglesi di Large White, questa data segna un cambiamento sostanziale nella suinicoltura Italiane e da li la condanna a morte delle razze autoctone da sempre allevate. Le nostre popolazioni, non sottoposte a selezione ma abbandonate a se stesse perdono di importanza e al loro posto si inserisce questo bellissimo suino a cui è legata la storia di tutta la trasformazione italiana. L’importazione della Large White fu poi continuata e sempre intensificata, tanto da divenire così la più importante, sia per l’allevamento in purezza, sia come razza largamente impiegata per incrocio industriale (Large White x Cinta, Large White x Romagnola, ecc.) e per incrocio di sostituzione, com’è avvenuto per la razza suina Reggiana, per altre dell’Italia settentrionale dove la popolazione suina indigena è gradatamente scomparsa (razze di Cavour, di Garlasco, Bergamasca, Lodigiana, Friulana, ecc.).
Dopo la Prima Guerra Mondiale, vennero importate numerose altre razze suine straniere, usate spesse volte inconsideratamente per incrocio e per la sostituzione delle razze suine indigene, con scarsa valutazione dei pregi reali di queste ultime, spesso non disprezzabili.
L’intensificazione del consumo di carni suine fresche, avvenuto negli ultimi decenni ha comportato, per altro, anche l’adozione di criteri di allevamento, che sono sostanzialmente diversi da quelli tradizionali. Gli animali devono essere sacrificati intorno ai 100 Kg di p.v., tra l’altro per diminuire la grassosità e mantenere vantaggiosi gli indici di conversione. Per contro l’industria di trasformazione chiede a ragione carni più mature, mentre gli allevamenti intensivi trovano più vantaggioso vendere a pesi più bassi, animali più giovani; un contrasto difficile da risolvere se si punta ad un prodotto di qualità, mentre la cosa risulta meno complessa, se il prodotto è destinato ad un mercato meno esigente. In altre parole gli allevamenti propongono animali con p.v. di 120/140 Kg e di età inferiore agli otto mesi, mentre è il suino di 150/160 kg e di almeno 10/12 mesi vita quello che richiede l’industria.
L’allevamento dei suini in Italia si attua industrialmente, prevalentemente in connessione, come si è detto, con l’industria lattiero-casearia.
Sino alla seconda metà del secolo 19°, le razze suino allevate in Italia erano quasi soltanto quelle nostrane, più o meno primitive, di color nero, con o senza la fascia bianca al treno anteriore e macchie bianche alle estremità. Davano prosciutti magri molto apprezzati e carni idonee per insaccati.
Tra le razze importate, talune si affermano, in determinate condizioni di ambiente e di produzione, non meno vantaggiosamente della Large White. Così le razze nere Berkshire, Large Black e Poland Chine per la loro resistenza al pascolo, in località solatie, e poi la Chester White, la Hampshire e la Landrace.
Scrofa di razza Large Black (foto Alessio Zanon)
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Le principali fonti di consultazione sono state:
– “Etnologia Zootecnica” UTET, di Telesforo Bonadonna,
– “L’allevamento biologico del suino” Edagricole, di Mario Giannone
– Razze autoctone alla riscossa di M. Giannone, Rivista di suinicoltura n.4 2002
– Dossier: Le regole d’oro per produrre il suino bio, Rivista di suinicoltura n.11, 2000 – M. Giannone
– La filiera del biologico è una realtà, Rivista di Suinicoltura n.12, 2000 M. Giannone
Mario Giannone è laureato in Scienze Agrarie all’Università di Firenze. Insegnante di zootecnia all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, presta la sua opera di assistenza tecnica specialistica presso Enti regionali, Parchi e Associazioni. E’ autore del libro “L’allevamento biologico del suino” edito da Edagricole-Sole 24 ore. Curriculum vitae >>>