1

L’Aloe (1^ Parte)

di Laura Isolani e Claudio Aroldi

Progetto di sviluppo agricolo “EDITH”:
“Coltivazione e somministrazione di Aloe Vera presso il dipartimento di pediatria del centro ospedaliero di Kimbondo Mont’ngafula nella Repubblica Democratica del Congo”
(Cooperazione decentrata)

Il ruolo dell’Aloe dall’antichità al Medioevo

…”Mi domandate qual’è il segreto delle forze che mi sostenevano durante i miei lunghi digiuni; ebbene è stata la mia fede inebriante in Dio, la mia vita semplice e frugale e l’aloe, di cui scoprii i benefici appena arrivai in Africa del Sud, negli ultimi anni del secolo…” Mahatma Gandhi

Per molte civiltà la pianta dell’aloe ha rappresentato una vera e propria divinità sia per la sua bellezza sia per le sue proprietà terapeutiche. La prima testimonianza dell’utilizzo della piante risale a una tavoletta di argilla (2.200 a.C.) ritrovata a Nippur, a sud di Baghdad. In ogni caso l’utilizzo farmacologico dell’aloe doveva essere ben conosciuto e diffuso in tutto il vicino Oriente antico.
Già nella cultura Assiro-Babilonese il succo di Sibaru o Siburu (Aloe) veniva utilizzato per far fronte a fastidiosi sintomi dovuti all’ingestione di cibi avariati; nell’antico Egitto poi l’aloe, oltre che per le sue funzioni terapeutiche, era tenuta in gran conto per la cosmesi femminile.La citazione della pianta, infatti compare nel papiro di Ebers (cosiddetto dal nome dell’egittologo che lo acquistò e lo decifrò) databile agli anni tra il 1550-49 e il 1547-46 a.C., questo papiro rappresenta una testimonianza diretta del notevole livello di conoscenze mediche raggiunto dagli Egizi. Per gli antichi greci l’aloe era associata a bellezza, pazienza e fortuna, tanto che anche Ippocrate vi fa riferimento nei suoi scritti: la riteneva infatti capace di arrestare la caduta dei capelli e di dare sollievo per la dissenteria e il mal di stomaco.
L’etimologia della parola aloe deriva dal greco àls-alòs, sale, a causa del sapore amaro di questa pianta che ricorda l’acqua del mare. Una leggenda popolare ricorda che Alessandro Magno, su consiglio di Aristotele, dopo il grande sforzo per ingrandire il suo regno in Persia, si volse alla conquista dell’isola di Socotra, nell’intento di venire in possesso delle ingenti quantità di piante d’Aloe succotrina in essa presenti. Questa piccola isola situata al largo della costa orientale della Somalia e a sud della penisola Arabica, era infatti, una zona fertile per la crescita della preziosa pianta, usata come balsamo lenitivo e cicatrizzante nelle gravi ed estese ferite subite dai soldati nelle lunghe e logoranti spedizioni militari alessandrine.
Anche nella cultura orientale questa pianta ha rivestito e riveste  tuttora un ruolo importante. La medicina tibetana fa uso della pianta per realizzare rimedi terapeutici ed incensi per meditazione, tutt’ora impiegati soprattutto per ottenere un effetto calmante, armonizzante e soporifero.
Non da meno, anche la medicina Ayurvedica si serve ancor oggi della corteccia dell’aloe aquilaria agallocha per la formulazione di importanti rimedi. Questa formulazione si impiega maggiormente per curare infezioni alle orecchie, occhi e ferite aperte. Nella cultura maya l’aloe era considerata un meraviglioso rimedio per il mal di testa, il succo si preparava in infusione ed era poi consumato con acqua. Notevoli erano le proprietà terapeutiche dell’aloe, anche secondo gli indiani di America che trovavano nel centro delle foglie di Aloe Barbadensis Miller, l’ampolla di lunga vita.
Tra il 1700 e il 1800, molti estimatori nel Vecchio continente europeo, compresero l’importanza di questa pianta anche in seguito alle importazioni che resero l’aloe una delle piante maggiormente quotate nelle collezioni botaniche.
Nell’era contemporanea l’aloe ha riacquistato la fama di cui ha sempre goduto. Il primo studio scientifico dedicato alla scoperta dei principi attivi responsabili degli straordinari effetti dell’aloe venne redatto dai ricercatori inglesi Smith e Stenhouse nel 1851. I due luminari identificarono e titolarono la prima componente conosciuta, l’aloina. Solo dopo il 1930, l’aloe divenne oggetto di approfonditi studi, svolti soprattutto negli Stati Uniti d’America ed in Russia. Nel 1935 due medici del Maryland uscirono con la pubblicazione di alcuni loro studi sull’uso dell’Aloe vera, nel trattamento di radiodermatiti. Le prime vere analisi, orientate alla conoscenza del contenuto fitochimico dell’Aloe, furono condotte nel 1940, dal professore Tom Rowe dell’Università della Virginia. Nel 1959 fu la volta del Ministero della Sanità Americano che documentò ed attestò definitivamente l’evidente capacità rigenerativa dei tessuti cutanei offerta dai preparati a base di aloe. Molti altri furono gli studi compiuti dalla comunità medico-scientifica internazionale e a tutt’oggi è molta la strada da percorrere a livello di ricerca per individuare a pieno le effettive e strepitose capacità di questa pianta.
Gli obiettivi principali di questo progetto di sviluppo, di cui sotto è riportata una piccola introduzione, mirano sia ad uno sviluppo agricolo rurale locale sia ad una ricerca che mira ad individuare le reali potenzialità del fitocomplesso della specie locale (Aloe congolensis) fino ad oggi poco studiato.

Vallata di Minkote - Repubblica Democratica del Congo
La vallata di Minkote, situata in località Kimbondo Mont’ngafula (Repubblica Democratica del Congo), dove avrà luogo l’intervento agricolo
(Foto Isolani, Aroldi)

I piccoli ospiti della pediatria
Coltivando il terreno si cercherà di migliorare l’alimentazione dei piccoli ospiti della pediatria, spesso poco varia e di scarsa qualità
(Foto Isolani, Aroldi)

Inquadramento botanico
Il genere Aloe è stato collocato dal botanico Reynolds (1982) nella Famiglia delle Aloaceae a seguito di valutazioni di carattere morfofisiologico che le ben oltre 350 specie appartenenti al genere dimostravano di avere. La specie è originaria dell’Africa ed è stata diffusa nelle americhe a seguito delle spedizioni di Cristoforo Colombo. Ha trovato la sua miglior collocazione nel mar dei Caraibi da cui la definizione di aloe delle Barbados.
L’aloe vera è una pianta succulente perenne che il cui habitus è caratterizzato dalla presenza di una rosetta di foglie lunghe e affusolate. A seconda della varietà il tronco può essere assente o ridotto, come accade ad esempio nell’aloe barbadensis Miller, ma può anche essere ben visibile e ramificato, come nell’aloe arborescens. Le foglie sono carnose e protette da spine e le infiorescenze pendule. Questa pianta essendo autosterile,  si riproduce mediante impollinazione incrociata, inoltre è dotata di un altro metodo di riproduzione, mediante stoloni o germogli che nascono alla base della pianta madre e dai quali si sviluppano altre piantine. L’aloe cresce spontaneamente in luoghi caldi, poco piovosi e sempre su pendii ben drenati, mai a fondo valle né in luoghi in cui l’acqua potrebbe ristagnare. Predilige precipitazioni abbondanti e poco frequenti. E’ importante non irrigare la pianta negli otto giorni precedenti alla raccolta affinché i principi attivi presenti nel gel fogliare siano più concentrati. Questa pianta difficilmente resiste a temperature inferiori agli 0°C. Soffre già sotto 7-5°C; le temperature ideali per la sua crescita sono fra 20° e 24°C. Il terreno deve essere di matrice sabbiosa e con un pH leggermente acido.

Pianta di Aloe Congolensis
Pianta di Aloe congolensis reperita in loco dagli agricoltori (Foto Isolani, Aroldi)

Laura Isolani è laureata in  Scienze Agrarie Tropicali e Subtropicali presso l’Università di Firenze; Master in agricoltura ecologica biologica e biodinamica. Attualmente dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Agronomiche e Gestione del Territorio. Curriculum vitae >>>
Claudio Aroldi è Agronomo, laureato presso l’Università di Firenze. Attualmente insegna a Rignano sull’Arno (FI) e segue inoltre un progetto di coltivazione di Aloe Vera con il metodo biodinamico nella Repubblica Democratica del Congo. Curriculum vitae >>>