La Maremmana e la sua carne (2^ Parte)
di Mario Giannone
La produzione della carne
Trattandosi di bovini che vivono tutto l’anno all’aperto e che per loro natura riescono a valorizzare molte essenze foraggiere gran parte delle quali di basso valore nutritivo, allevare con il sistema biologico, anche il più severo, si dimostra perfettamente applicabile e certamente da considerare sia sul piano tecnico che commerciale. Animali che crescono con moderazione possono ricevere una dieta meno spinta, meno cara e senza ricorso ad integrazioni anche di tipo vitaminico-minerale. I costi alimentari vengono a ridursi, l’allevatore di maremmane può ricorrere prevalentemente a materie prime di produzione aziendale o provenienti dal comprensorio, legando così il prodotto al territorio, creando una filiera corta, ben identificabile legata alla Maremma che gode di una certa immagine e apprezzamento. Si evita in questo modo di affrontare spese nell’acquisto di mangimi e integratori, ormai sempre più cari, il prezzo accresciuto, in verità piuttosto modesto, per la vendita degli animali conferiti sul mercato biologico farà il resto, assicurando un reddito altrimenti difficilmente raggiungibile. Purtroppo molti allevatori attualmente adottano il sistema di vendere i vitelli allo svezzamento, perché alcune zone sono povere d’acqua; esiste l’impossibilità di produrre adeguate quantità di concentrati; talvolta le strutture per l’ingrasso convenzionalmente ritenute ideali sono carenti; c’è poca ricezione del vitellone maremmano sul mercato convenzionale e non ultima una certa consuetudine.
Tori di razza Maremmana nel Parco dell’Uccellina (foto Leonardo Lanini)
Per chi decide di ingrassare, vediamo quale sono i criteri generali e gli obbiettivi per la produzione di carne di qualità attraverso l’allevamento di vitelli di razza maremmana, possibilmente con metodo biologico. Il tutto si può riassumere in alcuni principi basilari, in parte generali ma anche specifici:
- Bilanciare la razione facendo ricorso, quanto più possibile, a materie prime di produzione aziendale rinunciando per quanto possibile agli acquisti e alla quota non biologica consentita nel disciplinare. La cosa risulta possibile perché i vitelli maremmani rispondono in modo soddisfacente a diete equilibrate e non toppo spinte, meglio di altre razze da carne specializzate che richiedono costose integrazioni per esprimere al meglio il loro potenziale genetico.
- Sapore, colore e marezzatura sono altri obbiettivi da prefissarsi e vediamo come si raggiungono.
Tori di razza Maremmana nel Parco dell’Uccellina (foto Leonardo Lanini)
Il nostro mercato è particolarmente sensibile al colore della carne, carni scure vengono viste con sospetto perché ritenute dure o provenienti da animali adulti e quindi tigliose. La carne si può presentare scura quando l’animale sottoposto all’ingrasso, ha ricevuto una alimentazione prevalentemente costituita da insilati, in questo caso il colore cambia poco dopo la macellazione e si presenta senza riflessi, smorto, opaco. Queste carni poi, non sono amate dai macellai tradizionali e dalla grande gastronomia perché hanno la caratteristica di “non reggere il coltello”, è un modo di dire per indicare carni flaccide che presentano il difetto di una certa inconsistenza da non confondere con la tenerezza. Un altro caso di carni scure si riscontra quando gli animali hanno fatto il finissaggio sul pascolo costretti a lunghe distanze nella ricerca del foraggio. La situazione è decisamente aggravata se i pascoli sono declivi, non è il nostro caso. In questa situazione il colore è diverso, più brillante del precedente, di un bel rosso carico, normalmente questa carne è magra ma piuttosto dura anche dopo accurata cottura, si presta più a stufati, spezzatini, stracotti e un po’ tutti i bolliti. Allungando i tempi di frollatura si può migliorare in parte il prodotto finale. Nel secondo caso, per evitare questo inconveniente, è opportuno confinare gli animali, almeno negli ultimi mesi, (potrebbero bastare tre mesi) in feedlot multipli con platea in terra battuta pianeggiante. Non è assolutamente necessario ricreare i sistemi severi di confinamento che distinguono i nostri allevamenti intensivi, tra l’altro vietati dal regolamento comunitario sulle produzioni biologiche e poco in sintonia con quello che si aspetta il consumatore da un allevamento di simile tipologia. Le misure indicate dalla normativa Reg: 1804/99 sono appena rispondenti a questi bisogni, per ogni capo vanno destinati almeno 9 mq di cui 5 possono essere coperti, niente impedisce che siano più grandi, in questo modo vengono rispettati il benessere dell’animale da un lato e le richieste del mercato dall’altro. Rimanendo al pascolo, un altro aspetto da non sottovalutare riguarda il sapore del prodotto finito. Per il nostro mercato è preferibile che gli animali, negli ultimi mesi di ingrasso, non assumano erba la quale conferisce un sapore avvertibile che non viene gradito dalla maggioranza dei consumatori. Quindi gli animali possono pascolare per tutta la loro vita, ricevere razioni a base di insilati e fieno-silo, con l’esclusione degli ultimi tre mesi durante i quali, oltre ad essere confinati in ampi recinti, passano ad una dieta completamente secca evitando qualunque foraggio erbaceo non affienato e naturalmente evitando anche gli insilati classici quali il silo-mais, per le ragioni già dette. Un altro aspetto importante è la presenza di grasso di marezzatura o intramuscolare, tra l’altro rientra tra i criteri di valutazione delle carcasse, di quel grasso cioè che si trova sotto forma di sottile venature inserito all’interno del muscolo. E’ dovuto a questo grasso se la carne è sapida, tenera e idonea ad un consumatore esigente. Per avere carni così ci vogliono razze specializzate, diete mirate e tempi giusti. Studi condotti dal Prof A. Giorgetti dell’Università di Firenze, con alimentazione convenzionale, dimostrano che anche il vitellone maremmano se “giustamente” allevato produce carni oltre che sapide particolarmente tenere, benché in tali sperimentazioni le percentuali dei concentrati adottati superano ampiamente quelli consentiti dal regolamento sulle produzioni biologiche e si allontanano dalle indicazioni date in questo articolo, sul piano pratico chi può spingere ed allevare in questo modo, finisce che utilizza razze specializzate a più alte rese al macello, allo spolpo… . Per le femmine il discorso cambia perché diete con meno concentrati, come è ben noto, assicurano risultati eccellenti. Dal punto di vista nutrizionale non bisogna dimenticare che la carne della Maremmana è di alto valore nutritivo, con un giusto contenuto totale in lipidi e un giusto equilibrio tra acidi grassi saturi e polinsaturi. Pertanto in questa nuova realtà operativa e di mercato ci sono buone speranze che venga rivalutata la carne di questo animale che se potrà deludere il macellatore per le rese ottenute, di contro potrà soddisfare anche il più raffinato dei buongustai.
Giovani Maremmane nel Parco dell’Uccellina (foto Leonardo Lanini)
Mario Giannone è laureato in Scienze Agrarie all’Università di Firenze. Insegnante di zootecnia all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, presta la sua opera di assistenza tecnica specialistica presso Enti regionali, Parchi e Associazioni. E’ autore del libro “L’allevamento biologico del suino” edito da Edagricole-Sole 24 ore. Curriculum vitae >>>