di Mario Giannone
Giovani Maremmane nel Parco dell’Uccellina (foto Leonardo Lanini)
La Maremmana è una razza bovina di grande interesse per molteplici ragioni. E’ il bovino che ricorda da vicino l’Uro degli antichi latini. Migrata dalla Podolia, attuale area geografica posta tra Ungheria e paesi confinanti, al nostre Paese a seguito delle orde barbariche dopo la caduta dell’impero romano. Ha trovato ospitalità in diverse regioni d’Italia. Della Maremma è diventata un simbolo. La Maremmana dalle lunghe corna è riuscita, con non poche difficoltà, a sopravvivere ed arrivare fino ai nostri giorni ma perdendo gradatamente nel tempo d’importanza economica e consistenza numerica. Le bonifiche, la comparsa di razze sempre più specializzate per la produzione di carne e la meccanizzazione sono certamente tra le cause maggiori della sua decadenza; l’incuria umana, le vicende postbelliche, i cambiamenti dei costumi, anche gastronomici, hanno fatto il resto e così solo qualche anno fa la razza ha rischiato di scomparire dallo scenario zootecnico nel quale aveva regnato sovrana per secoli. Oggi alcune cose sono cambiate, il primo aspetto è proprio culturale. Aver compreso che non è una buona cosa la scomparsa di razze che hanno caratterizzato la vita di interi comprensori o come in questo caso di più regioni veramente un grosso passo avanti. La conservazione delle bio-diversità è stata capita e accettata anche in sede politica e operativa, così alcune razze ormai sull’orlo dell’estinzione, autentici e irriproducibili gioielli genetici quale è sicuramente la Maremmana, sono state recuperate e sono in corso una serie di interventi anche con aiuti finanziari affinché si scongiuri questa eventualità. Così la Maremmana ormai ridotta numericamente sia come numero di capi e sia come numero di allevamenti in selezione, ricomincia a sperare. Insieme a questa nuova “cultura” nasce anche quel movimento semplicemente indicato con la dizione di “biologico”, si sviluppa il concetto di prodotto locale e di filiera corta. Questi fenomeni segnano la riscoperta di vecchi sapori. Si delinea un nuovo consumatore attento e disposto a pagare di più un prodotto sano, tipico e ben definito, riconoscibile per origine e metodo di produzione. Si formano così nuovi mercati di nicchia. Una grande opportunità da non perdere e che potrebbe rivalutare nel tempo questo bovino e la sua carne. La zootecnia biologica è al momento regolata da una legge comunitaria il Reg. 1804/99 seguita da alcuni decreti applicativi, che prevedono tra le modalità di allevamento il ricorso al pascolo e a tutto una serie di norme nelle quali il modo consueto di allevare le Maremmane si rispecchia in gran parte. Il contesto in cui vive e le caratteristiche che la distinguono le permettono di essere allevata nel sistema più naturale possibile e soddisfare sul piano della salubrità il consumatore più esigente.
Toro di razza Maremmana (foto Leonardo Lanini)
CARATTERISTICHE DELLA RAZZA E TECNICHE DI ALLEVAMENTO
Si tratta di un animale rustico, frugale, capace di vivere, nutrirsi e produrre dove altre razze avrebbero seri problemi a sopravvivere. Poco propenso ad ammalarsi è inoltre longevo e caratterizzato da eccellente attitudine materna. La sua stalla è il bosco. Il vento, il freddo, il fango sono elementi a lui congeniali e il suo alimento proviene in gran parte da pascoli naturali dove oltre ad usare essenze erbacee valorizza produzioni spontanee sia arbustive che arboree; infatti è una delle poche razze che può, in situazioni difficili, praticare il pascolo aereo benché si tratti di un classico pascolatore come tutti i bovini. Non è raro trovare fattrici oltre il loro ventesimo anno di età e che nella loro carriera hanno già prodotto almeno 15, 16 vitelli. Notevole l’attitudine materna intesa sotto tutti gli aspetti. Madre attenta e con elevata capacità di allattamento. Nell’aspetto si presenta come un bovino di buone dimensioni di colore grigio, più scuro nei tori adulti. Fromentino da vitello, caratteristica comune a tutte le razze “bianche” Italiane, grigio da adulto ma con pelle e aperture ardesia. I tori sono più scuri. Le corna sono un elemento distintivo e possono arrivare oltre il metro nelle femmine anziane e nei buoi, sempre di colore avorio a punta nera. I maschi interi hanno le corna a forma di mezza luna, le vacche e i buoi a forma di lira con le punte divergenti all’esterno. Il telaio è solido e pesante, uno scheletro ideale per un animale che per secoli ha dovuto lavorare e tirare l’aratro nei campi, ma oggi poco rispondente al mercato della carne dove questa razza si affaccia sempre con maggiore insistenza e con non poche difficoltà. Anche la pelle risulta spessa e pesante. Le rese al macello di conseguenza sono basse e così anche quelle allo spolpo, che risultano decisamente inferiori rispetto ad un bovino da carne delle nuove generazioni. Tardivo nello sviluppo e con una conformazione che, come detto precedentemente, ricorda l’antico e scomparso Uro col quale condivideva anche l’imponente sviluppo del treno anteriore, mentre quello posteriore risulta proporzionalmente meno sviluppato e con masse muscolari meno evidenziati. Questo quadro sintetico, dimostra quanto lontano sia la possibilità per questa razza di competere con altre più specializzate e spiega nello stesso tempo le ragioni che portano un gran numero di allevatori a ricorrere all’incrocio di prima e/o seconda generazione con razze specializzate per la produzione della carne; operazione corretta se la pratica si ferma al primo incrocio, deleteria se si spinge oltre contribuendo in tal modo alla ulteriore riduzione dei capi in purezza e ad un loro inquinamento genetico. Tutte queste considerazioni valgono se si attua un confronto solo sul piano quantitativo e in un contesto di allevamenti intensivi. Ma se il confronto viene spostato su altri campi non è così scontato che questo bovino non abbia i numeri per competere, ma addirittura può gareggiare alla pari in produttività con altre razze specializzate le quali, per le attenzioni che richiedono e per le maggiori esigenze di allevamento, non rispondono ad un sistema di allevamento semibrado e biologico come invece risulta congeniale e proponibile per la Maremmana. Dal 1996 anche la razza Maremmana dispone di un centro per il Performance test, come già esiste per le altre razze da carne. Un passo importante per la crescita di questa razza. Le prove sono attuate presso l’azienda agricola di Alberese situata all’interno del Parco dell’Uccellina nella provincia di Grosseto. Da qui escono ogni anno un certo numero di torelli approvati per la monta naturale e per la fecondazione strumentale. Presso il centro i giovani soggetti sono sottoposti a controlli tramite misurazioni e pesate periodiche per poter stabilire il loro valore genetico e di conseguenza la loro destinazione. I migliori lavoreranno in F.A. e quindi saranno impiegati nell’inseminazione strumentale ad ampio raggio, la seconda scelta opererà in fecondazione naturale e il resto sarà scartato dal processo selettivo. Accrescimenti e indici di conversione rimangono criteri di valutazione prioritari così la muscolosità, la conformazione e la precocità somatica. Gli accrescimenti giornalieri dei soggetti in prova risultano oscillanti tra 1,3 e 1,4 kg, con punte di 1,7 kg. I torelli durante le prove vivono all’aperto e quindi in un ambiente simile a quello dove vivranno e saranno allevati i loro figli. Nasce spontanea una riflessione che nel mondo del biologico è sempre presente tanto da rappresentare uno dei cardini principali, mentre può sfuggire in altri settori dell’allevamento. La considerazione è relativa alla consanguineità e alla variabilità genetica. La razza Maremmana oggi grosso modo conta, secondo alcune fonti sufficientemente attendibili, meno di 5000 capi adulti in purezza, compresi quelli fuori selezione, distribuiti in meno di cento allevamenti tra grandi e piccoli. Un numero veramente ristretto. Nonostante ciò il livello di consanguineità non è altissimo come in altre situazioni simili, proprio perché la razza non ha goduto di sistemi selettivi che la zootecnia ufficiale ritiene “evoluti”. La presenza di tori aziendali allevati in gran numero e rinnovati con relativa frequenza, scelti spesso con criteri personali, o di zona, hanno permesso di mantenere “viva” la razza che così non è precipitata, con tutte le conseguenze negative, nel vortice della consanguineità stretta, anzi pur mantenendo i propri caratteri si sono evidenziate alcune piccole differenze da non perdere. Per esempio le Maremmane allevate nel Viterbese sono diverse per dimensioni da quelle allevate nel Parco dell’Uccellina, queste ultime risultano più piccole e se vogliamo più frugali. Pertanto ben venga il miglioramento genetico attraverso percorsi sicuramente validi quali le stazioni genetiche, e la diffusione della F.A., ma con l’attenzione di proteggere la variabilità genetica del gruppo rimasto. Fondamentale è quindi evitare di accrescere i livelli di consanguineità attraverso impropri programmi selettivi ideali ed ideati altrove per popolazioni ad alto numero, ma non certo per razze in via di estinzione e per di più destinate a vivere all’aperto in contesti difficili dove dovrebbe essere l’ambiente ad effettuare la selezione più incisiva. Lo sponsorizzare di pochi tori ritenuti “miglioratori“ potrebbe portare gli allevatori a impiegarli tramite fecondazione artificiale su un elevato numero di fattrici, in questo caso peggiorando la situazione piuttosto che contribuire ad una crescita e recupero della razza.
Vacca di razza Maremmana (foto Leonardo Lanini)
Mario Giannone è laureato in Scienze Agrarie all’Università di Firenze. Insegnante di zootecnia all’Istituto Tecnico Agrario di Firenze, presta la sua opera di assistenza tecnica specialistica presso Enti regionali, Parchi e Associazioni. E’ autore del libro “L’allevamento biologico del suino” edito da Edagricole-Sole 24 ore. Curriculum vitae >>>