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di Chia­ra Se­re­na Sof­fian­ti­ni

Mo­men­to cri­ti­co per i cuc­cio­li di ca­prio­lo

Femmina di capriolo con cuccioli
Ca­prio­lo fem­mi­na con cuc­cio­li (foto Chia­ra Se­re­na Sof­fian­ti­ni)

Fra mag­gio e giu­gno la fem­mi­na di ca­prio­lo e’ im­pe­gna­ta nella de­li­ca­ta fase dei parti e delle suc­ces­si­ve cure pa­ren­ta­li. La sua at­ti­vi­tà prin­ci­pa­le, se non unica, è quel­la di al­lat­ta­re e pren­der­si cura dei pic­co­li ap­pe­na nati, che sono ti­pi­ca­men­te due. Essa ha quat­tro mam­mel­le che ven­go­no tutte uti­liz­za­te dalla prole. Entro 60 mi­nu­ti dalla na­sci­ta i due cuc­cio­li sono in grado di reg­ger­si più o meno sta­bil­men­te sulle zampe e di muo­ver­si con una di­scre­ta di­sin­vol­tu­ra. No­no­stan­te ciò la stra­te­gia che la na­tu­ra ha scel­to per pre­ser­va­re i pic­co­li du­ran­te il primo mese di vita pre­ve­de che essi ven­ga­no na­sco­sti dalla madre fra l’er­ba, le fo­glie ed i ce­spu­gli, l’uno poco lon­ta­no dal­l’al­tro. In que­sto sono aiu­ta­ti in primo luogo dalla loro im­mo­bi­li­tà: il ri­fles­so alla fuga com­pa­ri­rà solo dopo il primo mese di vita. In se­con­do luogo la pres­so­ché man­can­za di odore li di­fen­de dai ne­mi­ci. In­fi­ne, l’ar­ma vin­cen­te che essi hanno a di­spo­si­zio­ne è la po­mel­la­tu­ra del man­tel­lo (mac­chie bian­che su fondo mar­ro­ne). Essa in­fat­ti offre un ot­ti­mo mi­me­ti­smo fra la ve­ge­ta­zio­ne poi­ché fa sì che le linee ed i con­tor­ni ri­sul­ti­no con­fu­si ed in­de­fi­ni­ti, tanto che un os­ser­va­to­re poco at­ten­to non è in grado di ri­co­no­scer­ne la sa­go­ma. Essi ri­man­go­no così ac­co­vac­cia­ti in­tan­to che la madre si al­lon­ta­na per ali­men­tar­si.

Cucciolo di capriolo
Cuc­cio­lo di ca­prio­lo (foto Chia­ra Se­re­na Sof­fian­ti­ni)

Non di rado in­fat­ti è pos­si­bi­le in­con­tra­re un ca­prio­let­to, pas­seg­gian­do in prati e bo­schi poco prima del­l’e­sta­te. Il pe­ri­co­lo mag­gio­re per que­sti ani­ma­li, oltre a quel­lo dei pre­da­to­ri na­tu­ra­li, è co­sti­tui­to dal­l’uo­mo, per due ra­gio­ni molto di­ver­se.
La prima è rap­pre­sen­ta­ta dalla con­co­mi­tan­za delle na­sci­te con lo sfal­cio del mag­gen­go dei prati. Que­sti ani­ma­li, in­fat­ti, ven­go­no uc­ci­si dalla fal­cia­tri­ce o schiac­cia­ti dal trat­to­re. Per li­mi­ta­re l’in­ci­den­za di que­sto fat­to­re sulla so­prav­vi­ven­za dei cuc­cio­li e’ utile sfal­cia­re i prati “a stri­sce” o par­ten­do dal cen­tro, in modo che gli ani­ma­li ab­bia­no co­mun­que la pos­si­bi­li­tà di met­ter­si len­ta­men­te in salvo. Op­pu­re si può “se­tac­cia­re” la col­tu­ra prima dei la­vo­ri, cam­mi­nan­do a due a due, pa­ral­le­la­men­te, ten­den­do una corda al­l’al­tez­za del pol­pac­cio. Nel Cen­tro Eu­ro­pa, que­sto pro­ble­ma viene at­te­nua­to con l’u­ti­liz­zo di cani da ferma che sco­va­no i ca­prio­let­ti senza però ag­gre­dir­li; gli ani­ma­li ven­go­no poi ve­lo­ce­men­te spo­sta­ti in un posto più si­cu­ro. An­co­ra, il po­me­rig­gio prima dello sfal­cio, e’ utile met­te­re ai quat­tro an­go­li del ter­re­no in­te­res­sa­to delle stri­sce co­lo­ra­te che si muo­vo­no fa­cil­men­te al vento: le fem­mi­ne sce­glie­ran­no meno vo­len­tie­ri quel pa­sco­lo per na­scon­de­re i pro­pri pic­co­li.

Cucciolo di capriolo morto
Ca­prio­let­to uc­ci­so da una fal­cia­tri­ce (foto Chia­ra Se­re­na Sof­fian­ti­ni)

La se­con­da ra­gio­ne per la quale l’uo­mo rap­pre­sen­ta un pe­ri­co­lo per i neo­na­ti, è che spes­so, chi ne in­con­tra uno, pensa che sia stato ab­ban­do­na­to dalla madre e per que­sto se ne fa ca­ri­co, por­tan­do­lo, nel mi­glio­re dei casi, pres­so i cen­tri di re­cu­pe­ro, ma più spes­so, a casa pro­pria. Qui i ten­ta­ti­vi di al­lat­ta­re ar­ti­fi­cial­men­te il pic­co­lo, sono quasi sem­pre fal­li­men­ta­ri e ter­mi­na­no con la morte del ca­prio­lo. Altre volte, in­ve­ce, se l’a­ni­ma­let­to tro­va­to ha già qual­che gior­no ed ha avuto la pos­si­bi­li­tà di as­su­me­re il co­lo­stro dalla madre, ca­pi­ta che so­prav­vi­va­no. Ma da que­sto mo­men­to in poi ini­zia ine­vi­ta­bil­men­te un pro­ces­so che forza e mo­di­fi­ca la sel­va­ti­ci­tà del­l’a­ni­ma­le. Nei primi mesi di vita av­vie­ne in­fat­ti quel­lo che gli eto­lo­gi chia­ma­no “im­prin­ting”, che è il pro­ces­so gra­zie al quale i pic­co­li se­guo­no i ge­ni­to­ri e si ri­co­no­sco­no come ap­par­te­nen­ti alla loro spe­cie. Que­sti ca­prio­let­ti “sal­va­ti” ri­co­no­sce­ran­no l’uo­mo come un si­mi­le. A parte l’a­spet­to dram­ma­ti­co della per­di­ta della na­tu­ra­li­tà di un istin­to, il tutto sem­bra non molto grave. Que­sto può anche es­se­re vero per le fem­mi­ne di ca­prio­lo, che di­ven­ta­no ine­vi­ta­bil­men­te un mem­bro della fa­mi­glia. L’a­spet­to più stra­zian­te si ha con i ma­schi. Essi, in­fat­ti, su­pe­ra­to l’an­no di età, su­bi­sco­no quel­le mo­di­fi­ca­zio­ni com­por­ta­men­ta­li det­ta­te dagli or­mo­ni ses­sua­li. Ve­dre­mo in­fat­ti come da mag­gio a metà lu­glio essi di­ven­ga­no ter­ri­to­ria­li e cioè di­fen­do­no at­ti­va­men­te un loro ter­ri­to­rio dalle in­va­sio­ni di altri con­spe­ci­fi­ci. Un ani­ma­le “im­prin­ta­to”, però, di­fen­de­rà il suo ter­ri­to­rio dal­l’at­tac­co da parte del­l’uo­mo! Ini­zie­rà ine­vi­ta­bil­men­te a ca­ri­ca­re e a col­pi­re col suo palco i com­po­nen­ti della fa­mi­glia nel mo­men­to in cui hanno at­teg­gia­men­ti che se­con­do lui sono di sfida e di ir­ru­zio­ne. L’e­pi­lo­go è il fe­ri­men­to di qual­che per­so­na, tal­vol­ta anche grave e l’ab­bat­ti­men­to del­l’a­ni­ma­le che non può es­se­re né rein­tro­dot­to nel suo am­bien­te na­tu­ra­le e ne può con­ti­nua­re a stare in fa­mi­glia. I più for­tu­na­ti hanno la pos­si­bi­li­tà di es­se­re tra­sfe­ri­ti pres­so cen­tri di re­cu­pe­ro ma vi­vran­no in cat­ti­vi­tà ed in iso­la­men­to il resto della loro vita.
Alla luce di cio’, e’ fon­da­men­ta­le ri­cor­da­re che i neo­na­ti che si in­con­tra­no nel prati du­ran­te scam­pa­gna­te non sono ab­ban­do­na­ti! Sono ani­ma­li per­fet­ta­men­te as­si­sti­ti. Inol­tre, toc­ca­re, pren­de­re in brac­cio, coc­co­la­re que­sti ir­re­si­sti­bi­li cuc­cio­li si­gni­fi­ca rom­pe­re per sem­pre lo stret­to le­ga­me fatto so­prat­tut­to di se­gna­li ol­fat­ti­vi che li lega alle loro madri con­dan­nan­do­li dav­ve­ro al­l’ab­ban­do­no. Lo sfor­zo che dob­bia­mo fare e’ quel­lo quin­di di ri­spet­ta­re i ca­prio­lo in que­sta de­li­ca­ta fase bio­lo­g­i­ca evi­tan­do di in­tro­met­ter­ci.

Chia­ra Se­re­na Sof­fian­ti­ni, con­su­len­te per la fauna sel­va­ti­ca, è lau­rea­ta in Me­di­ci­na Ve­te­ri­na­ria pres­so l’U­ni­ver­si­tà di Parma dove la­vo­ra con il ruolo di Dot­to­ran­da di ri­cer­ca pres­so il Di­par­ti­men­to di Pro­du­zio­ni Ani­ma­li nel­l’am­bi­to del mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co. Cur­ri­cu­lum vitae >>>

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