di Francesca Beretti
Venerdì 11 novembre 2005 presso l’Aula Magna della Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna si è tenuta una giornata di studio dal titolo “Applicazioni della genetica molecolare alla tracciabilità e all’autenticazione delle produzioni animali e vegetali”, che ha visto la partecipazione di circa duecento persone fra docenti, ricercatori e addetti ai lavori. L’evento è stato organizzato dal DIPROVAL (Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare) e dal DCA (Dipartimento di Colture Arboree) dell’Università degli Studi di Bologna, in collaborazione con Biolab S.p.A. e con il patrocinio di Regione Emilia Romagna, Facoltà di Agraria dell’Università di Bologna e ASPA (Associazione Scientifica di Produzione Animale).
Sono state presentate quattro relazioni riguardanti l’applicazione di alcune strategie innovative per la tracciabilità e l’autenticazione dei prodotti agroalimentari attraverso l’impiego della genetica molecolare come strumento di analisi e controllo per il monitoraggio delle filiere produttive.
Il primo fra gli interventi proposti, dal titolo “Le analisi molecolari nel settore delle piante da frutto per l’identificazione dei genotipi e il riconoscimento varietale: settori applicativi e avanzamenti delle ricerche”, è stato condotto dal prof. Sansavini e dalla dott.ssa Venturi (DCA – Dipartimento di Colture Arboree dell’Università di Bologna) ed ha illustrato come la biologia molecolare sia entrata di prepotenza fra le metodologie per la caratterizzazione, l’identificazione e il riconoscimento del patrimonio genetico vegetale, partendo dalla necessità di conservare le specie e le varietà che caratterizzano il territorio e il suo ecosistema, fino all’ottenimento di nuovi genotipi e varietà policlonali, protette poi da brevetti e diritti di propagazione. Infatti, chiunque oggi svolga questo tipo di attività non si affida più unicamente alle informazioni fornite dalle classiche schede pomologiche (riportanti la descrizione dei caratteri qualitativi e quantitativi e dei vari organi dell’albero), ma si deve avvalere del supporto di analisi del DNA, attraverso una serie di marcatori polimorfici ad alta riproducibilità, per rivelare differenze che il genotipo non manifesta sufficientemente attraverso la via somatica-morfologica. La relazione è continuata focalizzando l’attenzione sulle recenti tecniche molecolari utilizzate per la caratterizzazione del materiale genetico o per l’applicazione della selezione precoce assistita (MAS). Strumento essenziale sono i marcatori molecolari, come i microsatelliti (SSR) e gli AFLP, che permettono di studiare la variabilità allelica nella segregazione dei caratteri e di mappare i geni a cui sono legati. Molto interessanti sono gli studi di genomica funzionale, che, attraverso le analisi di espressione, consentono di individuare i geni espressi nelle fasi fenologiche di maggiore interesse (ad es. la maturazione del frutto) e sono pertanto utili per definire il valore di una varietà e accertarne il genotipo per l’utilizzo nella selezione e nella scelta delle linee parentali. Rilevanti progressi sono stati compiuti negli ultimi anni nel riconoscimento varietale attraverso le metodologie di “fingferprinting”, tanto che ne è stato ufficializzato l’uso nelle certificazione delle piante propagate e nel contenzioso legale.
I più recenti sviluppi della ricerca hanno portato verso un’altra categoria di marcatori altamente specifici: si tratta di sostituzioni di singole basi nelle sequenze (SNP) o di elementi mobili del DNA (transposoni). Gli autori hanno illustrato, a tal proposito, le tecniche altamente innovative applicate con successo dal DCA di Bologna per distinguere le mutazioni “puntiformi” di melo. Queste ultime tecnologie rappresentano importanti strumenti per garantire la rispondenza varietale per accessioni commercialmente gestite in esclusiva da singoli gruppi vivaistici.
Il secondo intervento della giornata, dal titolo “Tracciabilita’ individuale negli animali di interesse zootecnico”, è stato presentato dal Dott. Blasi, Direttore del Laboratorio di Genetica e Servizi di Cremona (LGS), laboratorio che è nato in seno all’Associazione Italiana Allevatori per rispondere alle esigenze della selezione zootecnica in Italia.
Le prime battute di questa seconda relazione hanno posto l’accento su come industrializzazione e globalizzazione dei mercati abbiano complicato il rapporto tra agricoltore e consumatore: chi acquista, infatti, diventa sempre più esigente e vuole verificare qualità e sicurezza dei cibi soprattutto alla luce delle ultime emergenze zootecniche riguardanti, ad esempio, BSE (Bovine Spongiform Encephalophaty), OGM (Organismi Geneticamente Modificati), diossina nei mangimi zootecnici in Belgio, ecc. Oggi, attraverso la tracciabilità, ovvero l’identificazione documentata dei flussi materiali e di tutte le operazioni che concorrono alla formazione del prodotto finito, è possibile dare nuovamente completa visibilità alle filiere produttive. Inoltre, quando la storia di un particolare prodotto richiama valori legati al territorio d’origine, la tracciabilità diventa un ulteriore fattore di promozione ed offre al consumatore non solo sicurezza, ma anche soddisfazione di attese culturali proprie di quel territorio. I sistemi di tracciabilità possono diventare quindi, un mezzo efficace per sviluppare nuove relazioni tra mondo della produzione e mondo del consumo.
La relazione è proseguita ricordando il progetto di costruzione della mappa genomica del bovino a cui partecipano numerosi laboratori che svolgono ricerche in campo zootecnico. La costruzione di tale mappa ha come obiettivo quello di disporre di un numero elevato di marcatori genetici altamente polimorfi e ben distribuiti sui cromosomi, al fine di identificare in famiglie informative i geni che influenzano i caratteri di interesse zootecnico. La disponibilità di un numero così elevato di marcatori (attualmente più di tremila) fornisce uno strumento estremamente potente per l’identificazione individuale, per la corretta attribuzione della paternità o maternità di un individuo, per gli studi sulle distanze genetiche tra le razze e per riconoscere l’identità tra due o più campioni biologici. Finora l’utilizzo in campo zootecnico dei test di identità è stata del tutto occasionale e relegata a qualche sporadico caso di frode o di danni a cose o persone. L’impiego di apparecchiature sempre più sofisticate e in grado di analizzare contemporaneamente un numero elevato di campioni, ha abbassato notevolmente i costi della singola analisi e consente, pertanto, di utilizzare questo tipo di test per altre applicazioni che in campo zootecnico possono rivestire una certa importanza. A tal proposito è stato riportato l’esempio della carne bovina per la quale, dopo i gravi episodi legati alla BSE, molti studi sono stati rivolti ad ottenere una completa tracciabilità del prodotto carne lungo tutta la filiera di produzione e commercializzazione. Utilizzando lo stesso approccio dei reparti scientifici di polizia, i laboratori di biologia molecolare zootecnica hanno messo a punto i metodi per verificare a quale particolare animale appartiene la singola fettina di carne venduta sul banco di macelleria. Il protocollo si basa sulla possibilità di confrontare il DNA estratto dalla fettina con quello estratto da un ciuffetto di peli, prelevati all’animale durante la fase di allevamento: i due DNA devono necessariamente essere identici, in quanto il patrimonio genetico di un individuo è lo stesso in tutte le sue cellule. I protocolli utilizzati si basano, quasi esclusivamente, sull’analisi di una classe particolare di marcatori del DNA altamente polimorfi: i microsatelliti. Questi possono essere utilizzati per l’identificazione degli animali (ogni individuo sarà caratterizzato da un genotipo ben definito per ogni singolo microsatellite analizzato) e per diagnosi di paternità e/o maternità (il genotipo dei singoli individui è costituito da due alleli, uno di origine paterna e uno di origine materna: il confronto dei genotipi del padre, della madre e del presunto figlio permetterà di attribuire o meno la paternità e/o la maternità). In futuro si potrà pensare di utilizzare per questi scopi altri marcatori del DNA, gli SNP, in quanto le tecnologie di analisi di queste mutazioni si stanno rilevando particolarmente interessanti.
Prelievo del tracciante biologico miscelato con inchiostro
alimentare applicato ad un prosciutto per l’analisi del DNA
Francesca Beretti è laureata in Scienze e Tecnologie Alimentari all’Università di Parma. Attualmente collabora con il Dipartimento di Protezione e Valorizzazione Agroalimentare – DIPROVAL – sezione di Allevamenti Zootecnici dell’Università di Bologna, all’interno di un progetto sulla tracciabilità di prodotti di origine animale. Continua >>>