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Analisi dello spin-off nel settore delle biotecnologie

di Cristina Farci

Analisi dello “spin-off” come iniziativa imprenditoriale nel settore delle biotecnologie

Introduzione
L’industria biotech rappresenta un settore estremamente dinamico che negli ultimi anni ha visto la nascita in Italia di nuovi centri specializzati proprio in questo campo. Infatti, a partire dal 1980 le università italiane hanno promosso la nascita di spin-off , la cui costituzione è favorita da varie forme di intervento pubblico grazie alla legge 297/99. In Italia circa l’8% è rappresentato da spin-off accademici, il 16% da spin-off industriali e il 67% da start-up companies (fonte: Blossom associati, www.investinitaly.com).

Analisi dello spin-off nel settore delle biotecnologie 

Con il termine spin-off si indica una iniziativa imprenditoriale che nasce per gemmazione da una struttura più grande e consolidata, per cui gode di una serie di condizioni favorevoli e di forme di sostegno alle quali si appoggia fino al raggiungimento dell’effettiva autonomia “start-up” (www.miur.it).
In Toscana il numero di imprese spin-off (44 al 2005) risulta essere fra i più alti in Italia insieme a Piemonte, Lombardia e Emilia Romagna.
Lo scopo di questo paper è quello di descrivere, prima in generale e poi per uno spin-off in particolare, la situazione attuale, le potenzialità, i limiti, le opportunità e le minacce di questo tipo di attività.

Descrizione dei principali vantaggi e limiti degli spin-off
La creazione di spin-off accademici consente alle Università e agli enti di ricerca italiani di valorizzare i risultati della ricerca scientifica attraverso il trasferimento tecnologico. In questo senso per spin-off accademico si intende una società finalizzata all’utilizzazione industriale dei risultati della ricerca universitaria; infatti uno spin-off nasce con lo scopo di supportare una idea innovativa nata all’interno dell’Università e di arrivare a commercializzarla. Ciò fa sì che queste piccole imprese siano molto produttive per quanto riguarda la ricerca scientifica e di conseguenza consente lo sviluppo di nuovi prodotti o processi produttivi.
Gli spin-off accademici costituiscono quindi lo sviluppo di un progetto nato all’Università, creando una nuova impresa collegata all’ente di origine. Fra i vantaggi di queste nuove imprese si può evidenziare che molto spesso gli spin-off godono della notorietà degli enti o delle Università da cui si originano e perciò questo favorisce da una parte la visibilità e il posizionamento sul mercato delle nuove imprese e dall’altra assicura i contatti con altre compagnie o con gli investitori.
Un altro punto a favore è che di solito esiste un team di fondatori e un gruppo di ricerca che già conoscono il progetto da sviluppare e il tipo di organizzazione necessario; in più possono utilizzare la loro esperienza e la loro competenza nello sviluppare i nuovi processi o prodotti all’interno dello spin-off (Persidis, 2000).
Per questo gli spin-off e in generale il settore biotech, possono essere collocati all’interno del cosiddetto mercato della conoscenza (Arora, 2002), dato che l’oggetto di scambio è la conoscenza; infatti le nuove piccole imprese sembrano basare la loro esistenza non tanto su un prodotto specifico quanto su processi produttivi ovvero su nuovi modi di produrre un certo prodotto. Possono essere inquadrate allora come appartenenti al mercato della tecnologia più che al mercato dei prodotti; questo anche perchè talvolta è difficile per queste nuove imprese inserirsi in un mercato di prodotti preesistente del quale fanno parte già altre aziende molto più grandi e consolidate. Perciò è necessario che i loro punti di forza siano la ricerca e lo sviluppo di processi innovativi che permettano di inserirsi nel mercato e di competere con le aziende già presenti (Hicks, 2005).
Le imprese spin-off sfruttano quindi l’opportunità di offrire un portafoglio di discovery ampio con lo scopo di diminuire al minimo i rischi di insuccesso.
Inoltre la possibilità di depositare un brevetto consente di tutelare le scoperte tecnologiche, è un mezzo per contrastare la concorrenza ed è anche un modo per conferire all’inventore il diritto di sfruttamento. In questo senso gli spin-off possono sfruttare la loro proprietà intellettuale attraverso la vendita del brevetto o la cessione dei diritti di utilizzo tramite licenza (Baglieri, 2005).
Nel primo caso vengono venduti brevetti che non sono ritenuti di fondamentale importanza per l’impresa stessa oppure anche a causa della carenza di risorse di tipo finanziario, ottenendo quindi un guadagno immediato; nel secondo caso viene concesso in licenza a terzi l’uso dell’oggetto tutelato attraverso un contratto che stabilisce delle royalties, ovvero il pagamento di un compenso al titolare del brevetto o della proprietà intellettuale con lo scopo di sfruttare economicamente quella innovazione. In questo modo la durata del brevetto può essere anche molto elevata e dare quindi un profitto notevole.
Per quanto riguarda gli spin-off, il brevetto può essere esclusivamente di proprietà dello spin-off stesso, nel caso in cui sia stato prodotto solo tramite ricerca al suo interno; può essere prodotto dallo spin-off ma attraverso inventori accademici; infine può essere ceduto allo spin-off dall’università. In merito a quest’ultimo punto, è importante sottolineare che l’Università è obbligata a stabilire un regolamento che disciplini tutte le questioni relative ai diritti delle proprietà intellettuali (D. Lgs 297/99).
Spesso inoltre gli spin-off mettono a disposizione un portafoglio di servizi, tramite il quale vengono offerte le proprie competenze ai clienti, sfruttandole quindi da un punto di vista commerciale.

Modalità di costituzione di uno spin-off: il problema dei finanziamenti
Per la costituzione di uno spin-off accademico il soggetto richiedente, ovvero un docente o ricercatore deve richiedere una autorizzazione specificando alcuni punti fondamentali: fra questi la sede dello spin-off, la forma giuridica, la carica che ricoprirà all’interno di esso, la partecipazione al capitale sociale da parte del richiedente e la partecipazione dell’Ateneo allo spin-off. Infine è indispensabile presentare il business plan relativo ai primi tre anni di vita, nel quale si devono indicare le modalità di organizzazione dell’attività imprenditoriale e quindi la strategia, le potenzialità e le prospettive di crescita (www.unifi.it). L’Università perciò oltre a fornire possibilità di lavoro ai suoi dipendenti (es. ricercatori e docenti) assume il ruolo di incubatore, non solo garantendo l’accesso ai laboratori e alle varie strumentazioni, ma anche fornendo servizi di assistenza nel campo delle strategie di commercializzazione, analisi di mercato, licenze di brevetto.
Il punto di partenza per la costituzione di una impresa spin-off è la ricerca di investitori che siano disposti a finanziarne la nascita e lo sviluppo; i finanziamenti possono provenire da altre aziende ma più spesso da fondi pubblici (ad es. l’università stessa) o da enti come le banche. In questo caso si deve convincere gli investitori che il progetto o il prodotto che si vuole sviluppare ha alte potenzialità e non è una seconda scelta (Persidis, 2000). Da questo ne consegue che lo spin-off deve cercare di dar vita a innovazioni che gli permettano di entrare nel mercato e di poter sopravvivere nel tempo alla concorrenza delle grandi imprese. E’ facile intuire che uno dei maggiori punti di debolezza è proprio la quantità di finanziamenti disponibili; infatti la carenza di finanziamenti è la principale barriera allo sviluppo di queste imprese che talvolta sopravvivono ma rimangono relativamente piccole, altre volte sono destinate a fallire velocemente.
Un altro problema rilevante è che spesso esiste una certa genericità sulla strategia produttiva o sugli obiettivi da perseguire, a causa di una inadeguata progettazione del piano imprenditoriale prima della fase di avvio della nuova attività e di una scarsa dotazione iniziale di risorse manageriali; perciò spesso le imprese spin-off non riescono a seguire una linea commerciale precisa e ciò rende estremamente difficile l’organizzazione (Arrighetti, 1998). Per superare tutte queste difficoltà potrebbe essere utile rafforzare i rapporti con l’origine e quindi mantenere attive collaborazioni sfruttando le complementarietà fra partner.

Analisi di uno spin-off
Analizzando la situazione di uno spin-off dell’Università degli studi di Firenze, ProtEra srl, è possibile approfondire le tematiche fin qui evidenziate.
Questa piccola azienda è stata fondata nel Febbraio 2003 per iniziativa di vari enti ed è una società di capitali, ovvero una s.r.l. (società a responsabilità limitata), la forma più piccola di società di capitali, in cui i soci non sono chiamati in prima persona a rispondere dei debiti dell’impresa se non nei limiti del patrimonio inizialmente conferito. Nelle srl i soci devono impegnarsi a conferire almeno 10.000 euro di capitale sottoforma di denaro, beni, crediti, costituendo così il capitale sociale (Giunta F., 1996). Il capitale sociale di ProtEra, che ammonta a 120.000 euro, è detenuto per il 44,59% dalla Camera di Commercio di Firenze, per il 12,31% dall’Università degli Studi di Firenze, per l’ 11,16% dalla Cassa di Risparmio di Firenze, per il 19,63% da Sviluppo Imprese Centro Italia (SICI) e per il 12,31% da un gruppo di Professori dell’Università di Firenze (www.ateneoricerca.unifi.it).
Questa società dispone di finanziamenti interni, provenienti dagli stessi soci, e di finanziamenti esterni provenienti da terzi che comprendono quelli del MIUR oltre a  Fondi Europei.
Questo spin-off si colloca nel settore delle biotecnologie, nel campo medico-farmaceutico in quanto sfruttando tecniche di biologia molecolare e di bioinformatica rientra nel filone del drug-discovery.
Uno dei principali enti che partecipa allo sviluppo di questo spin-off è il CERM (Centro di Risonanze Magnetiche) il quale concede l’utilizzo di strumentazioni all’avanguardia, in particolare l’accesso a spettrometri NMR che consentono delle analisi molecolari estremamente sensibili e selettive; è importante sottolineare che uno di questi spettrometri di ultima generazione presente al CERM è uno dei sei sistemi presenti in tutta Europa e l’unico in Italia. Il CERM può essere considerato quindi “l’incubatore” di ProtEra grazie al quale può farsi conoscere, data la fama di questo centro nel campo delle scienze molecolari.
Questa piccola società ha l’opportunità di usufruire non solo delle strumentazioni del CERM grazie a specifici accordi, ma anche dei locali e degli strumenti dell’Università; da questo punto di vista recentemente ci sono stati sviluppi importanti poiché è stato allestito un nuovo laboratorio con attrezzatura acquistata dalla società stessa; ciò indica un piccolo passo verso il distacco dall’università e la volontà di indipendenza che si rispecchia anche nel proposito futuro di costruire un edificio a sé stante.
All’interno del filone del drug-discovery, la strategia di ProtEra è quella di arrivare a sviluppare nuovi metodi bioinformatici e sperimentali per quanto riguarda lo screening di farmaci e di ottimizzare la progettazione di molecole da cui partire per costruire un potenziale farmaco attraverso l’analisi del genoma. Lo scopo finale quindi è quello di arrivare a brevettare una o più molecole che possano costituire il punto di partenza da cui sviluppare un farmaco (anche da parte di altre aziende).
ProtEra comprende vari dipartimenti che consentono di attuare la strategia seguita che si articola in varie fasi:
1) L’individuazione del target molecolare, di solito rappresentato da proteine coinvolte in varie patologie e la produzione di queste attraverso tecniche di biologia molecolare (Dipartimento di Biotecnologie)
2) La caratterizzazione strutturale del target  tramite esperimenti NMR (Dipartimento NMR)
3) Il drug design, ovvero la progettazione razionale del farmaco attraverso strumenti bioinformatici (Dipartimento di Bioinformatica)
4) Screening della interazione fra proteine e composti progettati
5) Ulteriori caratterizzazioni NMR e studi di vario tipo per aumentare la specificità e la selettività del candidato farmaco e sintesi organica della molecola (Dipartimento di Sintesi Organica).

Schema della strategia seguita da ProtEra
 Schema della strategia seguita da ProtEra (fonte: ProtEra srl)

Questo tipo di attività, all’interno di ProtEra, si incentra sullo studio di una famiglia di proteine, le MMP, coinvolte in varie patologie come il cancro, l’Alzheimer, l’enfisema. Sotto questo aspetto la ricerca svolta ha consentito lo sviluppo di inibitori e ha permesso di depositare alcuni brevetti, raggiungendo importanti traguardi: il primo brevetto per inibitori selettivi della MMP12 coinvolta nell’enfisema polmonare è stato depositato nel Luglio del 2004; il secondo, per pro-farmaci anticancro, nell’agosto 2004; uno standard per diagnosi è stato brevettato nel Novembre 2004; infine nell’ Agosto 2005 è stato depositato un brevetto su una proteina stabilizzata. Nel corso dell’ultimo anno sono state avviate nuove ricerche con lo scopo di arrivare a depositare altri brevetti.
Accanto alla ricerca interna questo spin-off offre ai clienti un ampio portafoglio di servizi, correlati sempre alle scienze molecolari, all’uso di avanzate tecnologie NMR e alla sintesi organica di molecole.
Un ultimo aspetto importante di questa società è che mantiene rapporti di collaborazione con alcuni importanti partner sempre in merito a progetti specifici di drug-discovery; oltre alle collaborazioni già menzionate con il CERM e l’Università degli Studi di Firenze, ProtEra collabora con l’Università di Francoforte, ma anche con la Abiogen S.p.A. e con la Boehringer Ingelheim, due note industrie farmaceutiche.
Da una parte quindi questo spin-off nasce su idee estremamente innovative e può contare su una strategia di sviluppo che ha molti punti di forza; dall’altra però presenta anche delle difficoltà.
Innanzitutto è una società piccola che consta solo di diciotto dipendenti, anche perchè le risorse ancora limitate non consentono una espansione immediata; a questo proposito comunque si può dire che dalla nascita ad oggi il numero dei lavoratori nei vari dipartimenti è aumentato gradualmente e quindi questo può essere considerato un segnale positivo di crescita. Inoltre, avvalendosi di numerosi tirocinanti provenienti dall’Università di Firenze, viene innescato un processo di Turn-over sul posto di lavoro che può creare instabilità e nel lungo periodo può risultare dannoso per l’azienda stessa dato che la ricerca richiede tempi lunghi, costanza e soprattutto continuità.

Conclusioni
In questo paper ho voluto analizzare come nasce e si sviluppa uno spin-off in generale, andando poi a sottolineare le potenzialità e i limiti di questa forma imprenditoriale.
Come si è potuto vedere ci sono molte difficoltà, soprattutto nella fase iniziale che richiede sicuramente idee innovative e attraenti sia per poter trovare gli investimenti necessari sia per poter avere dei punti di forza che consentano l’inserimento nel mercato.
Nel caso degli spin-off la strategia è quella di puntare a depositare brevetti per poter darli in licenza a terzi, di offrire un portafoglio di servizi ampi e di sviluppare processi di produzione innovativi che portino alla vendita di prodotti di qualità a costi contenuti.
E’ evidente che queste piccole società sono molto fragili perchè si trovano di fronte una concorrenza molto forte e perciò talvolta non riescono a decollare e finiscono per rimanere piccole o fallire.
Vorrei però sottolineare che questo tipo di imprese possono essere soluzioni importanti poiché incentivano la diffusione del settore delle biotecnologie, stimolando l’interesse degli investitori privati e degli enti pubblici in questo campo che oggi sta assumendo sempre maggiore rilevanza. Proprio per questo è fondamentale favorirne lo sviluppo anche in Italia attraverso varie forme di impresa, per poter dare una spinta in questo settore che può essere altamente rischioso per gli investitori ma anche altamente redditizio.

Bibliografia
Arora, A. (2002), Refusal to license: a transaction based perspective.
Arrighetti, A. e Serravalli, G. (1998), Una politica industriale per le imprese spin-off, Impresa & Stato n° 43.
Baglieri, D. (2005), Strategie di commercializzazione di imprese biotech: teoria e casi italiani.
Giunta, F. (1996), Appunti di economia aziendale, Cedam-Padova
Hicks, D. e Hegde, D. (2205), Highly innovative small firms in the markets for technology, Research Policy 34: 703-716.
Poggiali, P. (2004), Il ruolo di un Fondo Chiuso “territoriale” nel finanziamento alle PMI innovative (convegno “Finanza per l’innovazione”).
Persidis, A. e De Rubertis, F. (2000), Spin-offs versus start-ups as business models in biotechnology, Nature Biotechnology 18: 570-571.
Steffensen, M., Rogers, E. M. e Speakman, K. (2000), Spin-offs from research centers at a research university, Journal of Business Venturing 15:93-111.
Varaldo, R. (2006), Ricerca e innovazione in Toscana: politiche per la crescita, Pisa-17 febbraio 2006.
Webber, P. M. (2003), Protecting your inventions: the patent system, Nature Reviews Drug Discovery 2: 823-830.
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L’Enciclopedia dell’economia, DeAgostini
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Sitografia (aggiornata al 18/09/06)
www.ateneoricerca.unifi.it
www.fi.camcom.it
www.investinitaly.com
www.italianbiotech.com
www.investintuscany.com
www.miur.it
www.proterasrl.com
www.unifi.it

Cristina Farci, laureata in Biotecnologie agrarie presso l’Università di Firenze, è iscritta al corso di laurea specialistica in Biotecnologie Ambientali e Industriali. Curriculum vitae >>>

Rubrica Biotech e dintorni – A cura di Alessio Cavicchi, Ricercatore di Economia Agraria presso l’Università degli Studi di Macerata. Docente a contratto di Economia Aziendale presso il Corso di Laurea Specialistica in Biotecnologie dell’Università degli Studi di Firenze. Curriculum vitae >>>

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