di Beatrice Lepri
Studi condotti da diversi paleontologi, ci portano stabilire che i primi esemplari di Equus caballu, apparvero nel continente americano circa un milione d’anni fa. Probabilmente, a causa di sconvolgimenti climatici, però, tutti gli equidi di queste terre si estinsero all’incirca ottomila anni fa.
Furono i conquistatori spagnoli, nel 1500, a riportare per primi i cavalli nel Nuovo Mondo: si trattava di cavalli da lavoro robusti, selezionati da cavalli Iberi, Berberi, Arabi e Pony della Spagna settentrionale. Molti cavalli dei colonizzatori andavano persi durante gli spostamenti: una volta rinselavatichiti si riproducevano con gran facilità, favoriti dall’abbondanza e dall’estensione dei pascoli e dall’assenza di predatori che ne potessero limitare il numero.
Si formarono così branchi numerosi, all’interno dei quali i cavalli si riproducevano secondo gerarchie e criteri del tutto naturali. La quantità e la varietà del materiale genetico venivano via via incrementate dai cavalli di razze selezionate arrivati al seguito dei colonizzatori europei di diverse nazionalità.
Da questa seria d’incroci indiscriminati, risultarono cavalli che, se da una parte avevano perso le caratteristiche esaltate dall’uomo nelle varie razze, dall’altra erano perfettamente adattati all’ambiente in cui si ritrovavano a vivere. Ancora oggi in molte zone dell’America esistono branchi di cavalli bradi chiamati Mustang, che possono essere considerati fra i progenitori di tutti i cavalli selezionati nel continente americano.
I primi “allevatori” degli antichi Mustang furono i popoli indiani, che superato l’iniziale e compressibile timore per un animale sconosciuto, passarono nel giro di pochi anni ad instaurare un rapporto di simbiosi con quello che chiamavano “il grande cane”. In breve diventarono, oltre che bravi cavalieri, ottimi conoscitori del cavallo, tanto da accorgersi che guidando l’accoppiamento avrebbero ottenuto soggetti migliori rispetto a quelli catturati. Iniziarono così ad allevare cavalli, cercando di selezionare i soggetti che ritenevano più belli e più adatti alle loro esigenze. Il popolo dei Chickasaw, utilizzando anche numerosi cavalli rubati agli Spagnoli, ottenne i risultati migliori e riuscì ad instaurare un buon commercio con i coloni che si stavano stabilendo, ormai, nelle praterie della Virginia e degli altri stati della costa occidentali. Questi cavalli, che cominciavano ad avere una certa omogeneità morfologica, vennero chiamati Chickasaw.
Lo stile di monta western, come del resto il Quarter horse, si è sviluppato in funzione del lavoro con le mandrie e, sebbene ricordi il modo di cavalcare degli indiani, furono gli Spagnoli a portare nel Nuovo Mondo le selle con le lunghe staffe ed i finimenti che permettevano la guida ad una mano, e furono sempre loro ad inventare la “sella americana” dotata di pomolo, più comoda, che permetteva al cavaliere di stare seduto per lunghe ore seguendo le mandrie negli spostamenti.
I coloni che acquistavano i cavalli di “razza Chickasaw, li adibivano al lavoro dei campi, al trasferimento e alla sorveglianza del bestiame. Le qualità richieste a questi cavalli erano essenzialmente la calma, la forza ed un veloce scatto sulle brevi distanze, indispensabile per il lavoro con le mandrie. La civiltà europea, quell’anglosassone in particolare, portò nel Nuovo Continente la tradizione delle corse: nei giorni di festa venivano spesso organizzate gare di velocità e, visto che i cavalli a disposizione erano utilizzati per il lavoro quotidiano, le corse furono organizzate in modo da sfruttarne la caratteristica migliore: la velocità sulle brevi distanze. I cavalli gareggiavano sulle strade principali dei villaggi, sulla lunghezza di un quarto di miglio (circa 400 metri). La popolarità di queste competizioni crebbe in breve tempo, tanto che intorno alla metà del 1700 i cavalli che vi partecipavano furono chiamati “Quarter Race”. E’ di questo periodo il primo tentativo, peraltro fallito, di iscrivere, i Quarter Race in un libro genealogico.
Al fine di migliorare quella che non era un razza “vera e propria con caratteristiche genetiche “fisse” e trasmissibili , furono importati dall’Europa prestigiosi soggetti di razza Purosangue Inglese; questi conferirono al Quarter una maggiore armoniosità di forme, e ne incrementarono la potenza e la velocità. I proprietari di ranch s’incaricarono, a questo punto, di allevare questi animali, che per le caratteristiche di forza, resistenza e potenza erano diventati indispensabili per il lavoro con i grossi bovini americani.
I criteri di selezione continuarono ad esseri rigidi e severi, anche se fino al 1940 gli allevatori non riuscirono ad associarsi e a registrare in un unico libro genealogico i loro prodotti. In quest’anno, a Forth Worth nel Texas, fu costituita l’American Quarter Horse Association (AQHA) con lo scopo di “raccogliere, registrare, e preservare i Quarter Horse”, di pubblicare un registro, e di promuovere tutto ciò che concerne la storia, l’allevamento, la pubblicità, la vendita e il controllo di questa razza.
Durante la discussione per la fondazione dell’Associazione, fu modificato il nome da Quarter Race in Quarter Horse. Furono iscritti allo Stud Book (libro genealogico) dell’AQHA solo 19 stalloni che, oltre a possedere tutte le caratteristiche della razza, potevano dimostrare di appartenere a pregevoli linee di sangue. Le migliori caratteristiche del Quarter Horse sono state fissate con questa notevole restrizione e lo hanno portato negli anni ad una vasta diffusione ed utilizzazione.
Stallone Quarter Horse
(foto Associazione Provinciale Allevatori Firenze)
Beatrice Lepri, laureata in Scienze delle Produzioni Animali all’Universita’ di Pisa, vanta quasi due lustri di esperienze maturate presso l’Associazione Italiana Quarter Horse. E’ anche allevatrice di cavalli. Curriculum vitae >>>