di Piero Cravedi
Il ricorso a mezzi biologici per limitare la densità d’insetti e acari dannosi ha subito nel tempo un’importante evoluzione sia per quanto riguarda le tecniche di lotta sia per i mezzi che si sono resi disponibili.
La lotta biologica classica, basata sull’antagonismo fra specie fitofaghe e loro predatori o parassitoidi ha consentito successi di rilievo, dalla metà dell’800 fino alla metà del 900, nei riguardi di specie accidentalmente introdotte da altri continenti.
Un primo caso di successo mondiale fu l’introduzione in California del coleottero Coccinellide Rodolia cardianlis predatore della cocciniglia australiana Icerya purchasi. Tra gli altri numerosi esempi si possono citare le introduzioni secondo i metodi propagativo e inoculativo dell’Aphelinus mali, parassitoide dell’afide Eriosoma lanigerum, l’Encarsia berlesei e l’Encarsia perniciosi parassitoidi rispettivamente delle cocciniglie Pseudaulacaspis pentagona e Quadraspidiotus peniciosus.
La disponibilità degli insetticidi della seconda generazione avvenuta nel secondo dopoguerra ha temporaneamente ridotto l’interesse per i mezzi biologici, nella difesa delle colture in pieno campo. Diversa è la situazione nelle serre dove la liberazione di antagonisti naturali secondo il metodo inondativo è sempre stato apprezzato.
Il fenomeno dell’introduzione accidentale di specie dannose, apparso nella sua drammatica gravità a partire dalla prima metà dell’800 non ha mai subito interruzioni e tuttora continua nonostante le norme di quarantena e i Decreti di lotta obbligatoria. Nei confronti di queste specie che nel nuovo areale si trovano, almeno nel periodo iniziale, senza antagonisti si potrebbe tentare di introdurre anche qualche specie che nel paese d’origine è in grado di svolgere un’efficace azione di limitazione.
Un esempio recente positivo è rappresentato dall’introduzione del Torymus sinensis parassitoide del Cinipide del Castagno Dryocosmus kuriphilus.
In molti altri casi però non è stato possibile applicare analoghe soluzioni. Così ad esempio Scaphoideus titanus su vite, Diabrotica virgifera su mais, Tuta absoluta su pomodoro e Rhynchophorus ferrugineus sulle palme hanno comportato sostanziali modifiche delle strategie di difesa delle rispettive colture senza la concreta possibilità di far ricorso alla lotta biologica.
Appare evidente che non tutti i fitofagi introdotti possono essere combattuti con i loro nemici naturali. Va inoltre segnalato che esistono preoccupazioni sui potenziali effetti negativi degli antagonisti introdotti sulla biodiversità autoctona.
L’aumentata sensibilità per l’ambiente e per la salute dei consumatori e degli operatori agricoli impone che i cambiamenti nelle strategie di difesa delle colture avvengano secondo criteri di sostenibilità.
Le mutate esigenze dell’agricoltura hanno comportato negli ultimi decenni un’apertura del concetto di lotta biologica a nuovi orizzonti. Oltre agli organismi viventi tra i mezzi biologici si comprendono anche i loro prodotti e varie sostanze naturali tanto da rendere concettualmente incerta la delimitazione dei mezzi biologici.
La semplice consultazione di un prontuario di agrofarmaci consente di costatare che nel nuovo capitolo dei mezzi biotecnologici sono compresi Batteri entomopatogeni, Funghi entomopatogeni, Nematodi entomoparassiti e molluschicidi, Insetti e Acari utili, modificatori del comportamento. Ben quattro ditte commercializzano insetti e acari utili, molto apprezzati su colture protette ma anche, in casi particolari, in pieno campo.
Grande sviluppo ha avuto la lotta microbiologica con la disponibilità di Bacillus thuringiensis, e di virus specifici per Cydia pomonella e per Adoxophyes orana.
Sostanziale apporto sia all’agricoltura integrata sia a quella biologica è derivato dall’uso di sostanze che agiscono regolando i rapporti fra individui della stessa specie mediante stimoli olfattivi. Si tratta dei feromoni il cui impiego per il monitoraggio è stato alla base dell’applicazione su larga scala della difesa integrata. Il loro impiego come mezzi di lotta secondo i metodi basati sull’inibizione degli accoppiamenti sta continuamente aumentando e viene apprezzato anche dall’agricoltura biologica. La ricerca in questo settore ha dunque assicurato un rilevante progresso nell’applicazione di metodi sostenibili.
Minori successi si sono avuti nella ricerca di piante resistenti agli attacchi di insetti dannosi. Recenti studi di base sui rapporti tra insetti e piante coinvolgendo oltre che i fitofagi anche i loro antagonisti in relazioni tritrofiche appaiono promettenti, ma ancora lontani da possibili applicazioni pratiche.
A livello mondiale una grande diffusione hanno piante la cui resistenza è stata indotta mediante manipolazione genetica.
La coltivazione di cotone esprimente il gene derivato da B. thuringiensis è iniziata nel 1996 conferendo resistenza agli attacchi di parte di larve di Lepidotteri.
Alcune colture transgeniche quali cotone, soia, mais e riso sono ampiamente praticate a livello mondiale con un rilevante incremento annuo delle superfici interessate.
Una delle piante di maggior interesse per l’Italia sarebbe certamente il mais che esprime un gene derivato dal B. thuringiensis che conferisce resistenza alla piralide. L’ampia letteratura disponibile ha affrontato lo studio degli effetti ambientali. Sulle specie non bersaglio è emerso un modesto effetto su larve di altri Lepidotteri e una diminuzione di antagonisti naturali della specie bersaglio a seguito della diminuzione di tale ospite. Non sono stati rilevati effetti sull’entomofauna del terreno da parte di essudati radicali.
Su Ostrinia nubilalis, specie bersaglio, è emerso il rischio d’insorgenza di resistenza. La causa è rappresentata dalla pressione di selezione operata dall’elevata quantità di tossina contenuta nei tessuti della pianta per l’intero periodo vegetativo. Sono state quindi predisposte strategie di prevenzione che consistono nella realizzazione di appezzamenti “rifugio” con piante non geneticamente modificate oppure nella semina di semi transgenici e normali. Il mais B.t. è caratterizzato da un maggiore sviluppo vegetativo per la mancanza degli attacchi larvali al fusto. L’assenza di larve sulla spiga ha poi un effetto positivo sulla prevenzione dello sviluppo di funghi e sulla produzione di micotossine. L’accettabilità delle piante transgeniche si basa però su complesse motivazioni di carattere politico, economico, culturale, sanitario e ambientale che rendono l’argomento oggetto di scontri accesi fra i favorevoli e chi invece è contrario al loro impiego. La situazione attuale in Italia è decisamente contraria non solo alla coltivazione, ma anche alla ricerca nel settore delle piante transgeniche.
I moderni concetti di lotta biologica stimolano invece studi sempre più avanzati in settori innovativi mentre l’auspicio di un nostalgico ritorno al passato appare inadeguato a rispondere alle crescenti richieste di alimenti derivanti dall’esplosione demografica mondiale.
Piero Cravedi è Professore ordinario di Entomologia agraria dal novembre 1997 presso la Facoltà di Agraria di Piacenza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dal novembre 1996 è direttore dell’Istituto di Entomologia e Patologia vegetale. Ha svolto ricerche nell’ambito dei seguenti temi: difesa integrata di alcune colture, protezione delle derrate dagli insetti infestanti e morfologia degli insetti. – Past President dell’Associazione Italiana per la Protezione delle Piante (A.I.P.P.), di cui è stato Presidente dal 2005 al 2010. – Dal 1994 al 2005 è stato Convenor del Working Group “Integrated Plant Protection in Stone fruit” dell’International Organization for Biological and Integrated Control of Noxious Animals and Plants, West Paleartic Regional Section (IOBC/wprs). Nel 1997 ha ricevuto il Sigillo d’oro della Camera di Commercio di Piacenza per l’attività svolta nel settore della difesa delle derrate. Il 5 maggio 1999 gli è stato conferito il “Premio al merito della tecnica Agricola” della Fiera Internazionale dell’Agricoltura di Foggia. Membro Ordinario dell’Accademia Nazionale Italiana di Entomologia. Accademico Ordinario dei Georgofili.
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