di Roberto Sorrentino
Nell’ambito dell’evento enologico “Sangiovese Purosangue”, organizzato a Siena dal 3 al 5 novembre 2018 dall’Associazione EnoClubSiena, il 3 novembre si è tenuta una conferenza tecnico-scientifica sul Sangiovese. Folta la presenza di produttori vitivinicoli, tecnici del settore e un nutrito gruppo di studenti dell’Istituto Tecnico Agrario Angelo Vegni di Cortona (AR). Il Dr. Roberto Bandinelli, Presidente di TOS.CO.VIT di San Piero a Grado (PI), ha relazionato su “Le prospettive della selezione clonale del Sangiovese”.
Grappolo di Sangiovese (fonte www.sienafree.it)
In Toscana la selezione clonale del Sangiovese è iniziata nel 1969 ed ha sempre avuto come obiettivi ottenere grappoli piccoli e spargoli, vigoria e produzione contenuta, maggiore qualità e resistenza alle malattie fungine. Sono 123 i cloni di Sangiovese omologati. Il Dr. Paolo Storchi del Centro di ricerca Viticoltura ed Enologia del CREA di Arezzo ha illustrato le applicazioni della viticoltura di precisione per produrre uve Sangiovese di qualità. Adottando la viticoltura di precisione è possibile tracciare tutte le operazioni colturali e gli interventi che si effettuano nel vigneto. Inoltre, con essa il numero dei trattamenti fitosanitari si riduce in proporzione da 10 a 5, quindi alla metà. L’Enol. Andrea Mazzoni e l’Ing. Tommaso Bucci hanno relazionato sulle nuove tecniche enologiche di produzione del vino Sangiovese. Attualmente la tecnica enologica è orientata verso l’utilizzo della catena del freddo, la cernita manuale sui grappoli e poi sugli acini dopo la diraspatura, il miglioramento dei vasi vinari e dei processi di fermentazione, migliori e più estesi controlli analitici e dei tini di fermentazione troncoconici ibridi rovere ed acciaio inox. Con l’utilizzo di questi ultimi, i risultati enologici ottenuti sono molto interessanti. C’è la possibilità di raffreddare il cappello evitando un ulteriore aumento della temperatura del mosto in fermentazione. Ne consegue una minore estrazione di composti astringenti, si ottengono vini più pronti e più maturi e si possono gestire in modo ottimale i problemi della fermentazione, si assiste ad una minore perdita di antociani per precipitazione insieme ai cristalli di bitartrato di potassio. Inoltre, c’è la possibilità di inviare il mosto sotto il cappello all’inizio della fermentazione, quando si voglia facilitare l’attività riproduttiva dei lieviti senza coinvolgere le bucce, evitando l’estrazione degli antociani. Il rimontaggio sotto il cappello con ossigenazione del mosto consente di mettere a disposizione l’ossigeno necessario all’attività dei lieviti, evitando il coinvolgimento degli antociani che restano nel cappello nelle reazioni di ossido-riduzione accoppiate, indotte dalle parti di uva attive all’inizio della fermentazione. I vantaggi di utilizzare contenitori in legno, consistono nella scarsa conducibilità termica del legno, che consente di mantenere la temperatura programmata per tempi più lunghi del contenitore in acciaio. Inoltre, la permanenza del vino in serbatoio in legno, durante l’affinamento, evita sbalzi termici pericolosi per la stabilità polifenolica e ossido riduttiva. Il legno ha una microporosità “calibrata”, che permette il passaggio nel vino di micro quantità di ossigeno con un’evoluzione ottimale degli antociani, del colore e del sapore del vino. Le sostanze cedute dal legno e le piccole quantità di ossigeno che passano nel vino, sono in grado di regolare in modo efficiente anche l’attività dei lieviti e la fermentazione. Sono state messe a confronto diverse tecniche di vinificazione, utilizzando i tini troncoconici di legno ed acciaio e quella che ha riscontrato maggior interesse è stata quella della macerazione a freddo; si sono ottenuti vini con una maggiore intensità colorante e con maggiori contenuti in antociani totali. In conclusione, con un vinificatore troncoconico ibridi legno ed acciaio si ottengono vini più colorati, con colore più stabile, più morbidi ed aromatici. Il Dr. Yuri Romboli del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali (GESAAF) dell’Università di Firenze ha illustrato il problema della quercetina nei vini Sangiovese, che si presenta con un deposito amorfo di colore bianco-giallo-verdastro, di consistenza gelatinosa, non pesante, sul fondo delle bottiglie e/o adeso al tappo. Ciò comporta problematiche di commercializzazione dei vini, mancata vendita, danni all’immagine aziendale e costi per il ritiro dei vini. La quercetina è un flavonolo aglicone. I flavonoli sono composti fenolici della famiglia dei flavonoidi responsabili della protezione dei tessuti vegetali dai raggi UV-B. Sono pigmenti gialli che si riscontrano in vari organi della vite, foglie, raspi e bucce. Nelle uve si trovano i flavonoli glucosidi, glucoronidi, galattosidi e non sono presenti i flavonoli agliconi. La quercetina presenta due picchi di sintesi distinti, tra la fioritura e l’allegagione e da poco dopo l’invaiatura e durante la maturazione. La sua biosintesi è favorita dall’interazione genotipo – ambiente. Il vitigno è la variabile che determina i contenuti e la composizione dei flavonoidi riscontrati nelle uve. L’esposizione delle uve alla radiazione solare è la variabile che maggiormente incide sulla biosintesi dei flavonoli. Altri fattori sono la temperatura, la disponibilità idrica e di azoto, la vigoria ed il clone/portainnesto. Anche la defogliazione in fioritura determina un maggiore contenuto in flavonoli. Si è registrata una diminuzione della concentrazione di quercetina durante la maturazione del vino in legno, ciò dipende dalla dimensione del contenitore dal diametro dei pori e dal numero di passaggi. Una minore concentrazione di quercetina è stata rilevata nei vini in barrique a 22°C rispetto che a 12°C. In fase di fermentazione alcolica/macerazione, le reazioni di idrolisi, soprattutto a carico della quercetina-3-glucoside, possono essere molto rapide ed efficaci, portando alla sua quasi totale scomparsa nei vini. Dopo la fase di fermentazione alcolica/macerazione le reazioni sembrano essere più lente ed anche altri precursori potrebbero contribuire all’incremento di quercetina nei vini, che presenta una forte capacità antiossidante. Quindi per annullare la biosintesi della quercetina bisognerà adottare pratiche di gestione della chioma che modificano il microclima della fascia produttiva. Inoltre, in enologia l’utilizzo dell’additivo PVPP rimuove la quercetina dal vino, ma il suo utilizzo non è consentito in enologia biologica. Oppure si può effettuare un taglio dei vini Sangiovese con vini di altre varietà per abbassare i livelli di rischio di precipitazione della quercetina. Il Dr. Giacomo Buscioni di FoodMicroTeam Srl, uno Spin-off Accademico dell’Università degli Studi di Firenze, ha relazionato sul tema della stabilità microbiologica dei vini e le peculiarità dei vini senza solfiti, sostenendo che fattori chimico-fisici come temperatura, pH ed etanolo influiscono notevolmente sulla stabilità microbiologica dei vini. Temperature inferiori a 12 – 14°C rallentano molto la crescita microbica, pH bassi 3 – 3,5 contribuiscono ad una maggiore stabilità microbiologica, mentre pH alti 3,7 – 4,0 favoriscono la instabilità del vino. Elevate concentrazioni di etanolo, maggiori di 15,5 gradi alcol e residui zuccherini elevati, maggiori di 100 g/l, possono rallentare la crescita microbica. Per produrre un vino senza solfiti è fondamentale avere la massima sanità delle uve. L’azione antimicrobica della SO2 può essere sostituita dal lisozima, dal chitosano da Aspergillus niger ed effettuando una filtrazione e/o chiarifica. Sono comunque pratiche enologiche che proteggono il vino temporaneamente, inoltre il lisozima e chitosano non sono consentiti per produrre vini biologici. Per quanto riguarda il lisozima, è stata notata una sua diversa efficacia sulla microflora lattica spontanea durante la vinificazione. Nel vino rosso l’effetto è parziale, ha ritardato la fermentazione malo lattica, mentre in quello bianco ha inibito completamente lo sviluppo dei batteri indigeni. Il chitosano nei vini riduce la popolazione di Brettanomyces. Alcuni preparati commerciali non puri vantano un’azione contro i batteri lattici. Con l’utilizzo del chitisano è possibile ridurre la concentrazione di metalli pesanti, prevenire la casse ferrica e rameica e ridurre l’ocratossina A. I suoi sedimenti vanno eliminati con procedure fisiche. In conclusione, secondo il Dr. Giacomo Buscioni, se in un vino sono presenti popolazioni di Brettanomyces si verifica un incremento di fenoli volati che può essere monitorato solo effettuando analisi microbiologiche e chimiche. Per diminuire la loro densità cellulare si può utilizzare la SO2, il chitosano e poi effettuare una filtrazione. Dopo la fermentazione malolattica in un vino potrebbero ancora essere presenti batteri lattici, che causano un incremento di acido acetico e ammine biogene. Per diminuire la loro densità cellulare è possibile intervenire con la SO2, il lisozima, il chitosano e poi effettuare una filtrazione. Per monitorare la stabilità chimico-microbiologica di un vino in base alla sua composizione, è bene effettuare un’analisi microbiologica.
Roberto Sorrentino, Enotecnico Agronomo, iscritto all’Ordine Professionale dei Dottori Agronomi e dei Dottori Forestali della Provincia di Siena. E-mail: sorrentino.roberto@virgilio.it