di Federico Vinattieri
“Auri Luna”, un tipico Saarloos bianco (foto di © Michelle Schnider)
Non sono mai stato portato per le letture romanzate, per i romanzi fantasy, che oggi vanno molto di moda o per i testi letterali che fungono da cronaca o da lezione psicologica applicata alla nostra vita; queste letture non fanno per me. Anche se non posso che ammirare coloro che si cimentano in queste scritture, io preferisco attenermi a quel che sono e alla sostanza della mia formazione e allo stesso tempo trattare nei miei scritti ciò che più amo e che più conosco, ossia la zootecnia; materia che racchiude svariati enigmi, infinite metodologie e innumerevolui eccezioni.
Nella maggioranza dei casi la teoria può divergere dalla pratica, e questo non deve scandalizzare nessuno, poiché talvolta la teoria non viene redatta da chi la zootecnia la “mastica” a tempo pieno, ed emergono inevitabilmente delle divergenze tra il dire e il fare. Quando io decido di scrivere un articolo è per condividere una mia personale opinione su di un preciso argomento, che può essere condiviso o criticato, ma non darò mai a nessuno il pretesto di poter dire che quanto ho scritto non corrisponda a realtà, poiché la ricerca è la “colonna vertebrale” di un articolo e quanto scritto può essere opinabile come ideologia, ma non è mai opinabile sui fatti, poiché ogni affermazione è accertabile con “pezze d’appoggio” alla portata di chiunque. Questo per me è il metodo giusto di scrivere un articolo tecnico e/o divulgativo: documentarsi a fondo sull’argomento, provare direttamente la materia trattata e poi lanciare un messaggio e regalare la propria esperienza, pubblicando ciò che hai potuto toccare con mano.
Ma perché questo preambolo? Perché purtroppo tante letture e tante decisioni sono il prodotto di poca ricerca, scarsissima documentazione e altrattando scadente esperienza diretta. Potrei citarvi svariati esempi che mi sono stati segnalati o nei quali mi sono imbattuto personalmente. Uno di questi casi è quello del famigerato “Cane Lupo di Saarloos BIANCO“, del quale in rete si sono scritte “peste e corna”, del quale ho avuto modo di leggere le più svariate critiche e scellerate idee sulla sua origine e derivazione genetica, favole e fantasia che nessuno, ahimè, si è preso l’onere di andare a VERIFICARE. Chiacchiere su chiacchiere sì, ma risalire alla fonte di una notizia è fatica e quindi va a finire che il tutto finisce lì, e l’enigma resta finalizzato a quelle poche, scarne, righe accennate su facebook, che si propagano con “copia-incolla”, e che poi tutti prendono per buone.
Saarloos a mantello bianco (foto di © Michelle Schnider)
Cerchiamo quindi di far chiarezza anche su questo argomento.
In passato ho trattato più volte, nei miei scritti, la genetica delle colorazioni delle varie razze, e se si va nello specifico, ho dedicato recentemente un articolo al “Cane Lupo di Saarloos Nero“.
Come per questa colorazione, per la quale ho spiegato per filo e per segno la derivazione, e ho specificato senza ombra di dubbio che non si tratta di un mistero, anche per il mantello “bianco” nel Saarloos vi è ovviamente una semplice spiegazione, che non ha niente a che fare con il meticciamento o con l’inserimento di soggetti “imperfetti”, come ho tragicamente letto in vari commenti.
Per avere ulteriore chiarezza su ciò che avevo capito in merito a questa colorazione, mi sono permesso di contattare il mio amico olandese Mr. Johan Berends, membro della “Algemene Vereniging voor Liefhebbers van Saarlooswolfhonden” (A.V.L.S.), l’unica vera “Associazione di tutela della razza”, il quale mi ha gentilmente inviato del materiale scritto e fotografico su questo argomento, che in conclusione ha confermato concetti di cui ero già a conoscenza, che qui di seguito cercherò di spiegarvi.
Dò per scontato che tutti sappiano i principi dell’ereditarietà dei colori; esistono, come sapete, tipologie di colori, le quali hanno un comportamento genetico completamente diverso tra di loro.
Possiamo dire che nel Saarloos esistono, a livello genetico, tre differenti tipologie di colorazione. Il mantello “sabbia scuro carbonato” (dicitura standard), meglio conosciuto come “grigio lupo”, è geneticamente nero; il mantello “sabbia ombreggiato marrone”, conosciuto come “marrone foresta” è geneticamente marrone; e il bianco? Il gene del colore bianco si trova sull’ “E-locus”, esattamente come il gene della “maschera”.
A differenza della maschera, che è un carattere dominante, il mantello bianco è invece RECESSIVO.
Ma il fatto che sia un carattere recessivo non spiega il perché questo mantello sia così raro. Qui entra in gioco il fattore selettivo, in quanto il bianco è stato volutamente escluso pian piano dalla selezione, e nessuno si è mai preso l’impegno concreto nel selezionare una linea che avesse, come connotato principale, il mantenimento della colorazione “crema bianco”, così menzionato da standard.
Il fatto che sia recessivo però, per fortuna, non ha permesso la sua totale esclusione e totale scomparsa, in quanto ciò che “si vede” è ben diverso da ciò che “non si vede”, mi riferisco ovviamente a fenotipo e genotipo. In effetti non esiste una completa mappatura con la quale possiamo identificare con facilità i soggetti portatori di questo carattere; ed ecco pertanto, che talvolta questo colore si manifesta, e ogni cento cucciolate in Europa, viene fuori uno o più soggetti crema-bianchi in qualche allevamento, in cui, sicuramente ad insaputa dell’allevatore, vi sono individui portatori di tale colorazione.
Il “bianco recessivo” in genetica è espresso con la seguente sigla: “e/e”. In realtà vi sono due diverse tonalità di bianco: il “crema-biancastro”, ed il vero “bianco”; anche sullo standard sono riportate entrambe.
Da cosa si distinguono queste due colorazioni? Il colore del manto è differente, poiché il crema, come dice il nome, tende al giallastro, invece il bianco è tale e uniforme. Come sapete alcune colorazioni sono inevitabilmente abbinate a altri aspetti, come ad esempio il pigmento delle mucose e della pelle. Infatti, altra distinzione tra queste due colorazioni, apparentemente similari ma molto diverse in realtà, è dovuta alla pigmentazione. Il colore del pigmento è dovuto al “B-locus”. La pigmentazione di naso, ciglia, labbra, unghie e cuscinetti plantari, nel “Saarloos crema” sono marroni, mentre nel “Saarloos bianco” sono neri.
Doveroso chiarimento: il tartufo nero legato al mantello bianco, andrà però a sbiadirsi pian piano, fino a divenire rosa chiaro, con l’avanzare dell’età.
Ora che abbiamo capito il comportamento genetico, dobbiamo comprendere da dove proviene questa particolare colorazione del mantello. Nessuno può dire con certezza l’origine del mantello bianco in quesa razza, ma vi sono alcune teorie, che personalmente ritengo attendibili.
Tenendo presente che anche il Lupo selvatico presenta la colorazione bianca, ed è quindi geneticamente fornito di tale carattere, con molta probabilità, uno dei cinque lupi che il Sig. Leendert Saarloos, creatore della razza, utilizzò durante l’iter di selezione, presentava proprio questa colorazione. Che sia quindi un carattere atavico che deriva direttamente dal lupo? E’ possibile, ma non abbiamo documentazione per provare tale affermazione.
Vi è un’altra teoria, a mio parere più probabile, ossia la genesi del bianco dal Cane da Pastore Tedesco. Di primo acchito sembra una teoria improbabile, ma in realtà, se si conosce a livello genetico il Pastore tedesco, si comprende subito che questa teoria non è del tutto da scartare. I cuccioli bianchi, o con macchie apigmentate, non sono affatto rari in quella razza. Non dimentichiamoci che il Pastore Svizzero Bianco è emerso proprio dal Pastore tedesco.
Se si va a indagare su esemplari di Cani da Pastore Tedesco a mantello “chiaro”, si può accedere a molta documentazione; ad esempio vi sono alcune fotografie di esemplari di P.T. bianchi risalenti ai primi anni del ‘Novecento. Lo stesso Max von Stephanitz, considerato il padre fondatore della razza, in un suo testo pubblica una foto del cane bianco del nord della Germania di nome “Berno von der Seewiese”. In un libro del 1947 di Milo G. Denlinger, compaiono altre foto di vari Pastori Tedeschi bianchi, ennesima testimonianza di questa varietà di colore. L. Saarloos evidentemente accoppiò due suoi cani lupo, che avevano entrambi ereditato dal P.T. il carattere del bianco recessivo, e fu così che vennero generati, per pura casualità, i primi Cani Lupi di Saarloos di colore bianco.
Primo piano della testa di un Saarloos bianco (foto di © Michelle Schnider)
E’ possibile ripristinare una linea di C.L. di Saarloos bianchi?
Dalle informazioni che sono riuscito a farmi recapitare, solo due Saarloos bianchi sono attualmente vivi e non sono mai stati utilizzati per l’allevamento. Se questi due soggetti si potessero mettere in riproduzione la risposta alla domanda sarebbe senza dubbio positiva, ma senza l’ausilio di questi soggetti omozigoti, la faccenda si complica parecchio.
Considerando il fatto che sia il grigio-lupo che il marrone-foresta, possono sopportare il gene del bianco recessivo, una procedura di ricostruzione può ancora avvenire, ma per far ciò dobbiamo arrivare a capire quali sono i soggetti portatori, e per capirlo, purtroppo, non vi è altra soluzione che aspettare l’arrivo di nuovi soggetti bianchi. Nuovi accoppiamenti e quindi nuove combinazioni genetiche vengono tentati ogni anno, e prima o poi sicuramente verrà trovata la giusta combinazione, che possa fornire i parametri per individuare e classificare come “portatori” determinati stalloni o fattrici. A quel punto tutto è fattibile.
Come per molte caratteristiche ereditarie, il codice genetico per il colore della mantello può essere trovato nel DNA, ma il problema è individuarlo. Sappiamo tutti che attendere e poi ricercare un nuovo approccio su basi così scarse è effettivamente poco pratico e poco fattibile.
Vi è però un progetto in corso portato avanti dalla A.V.L.S. con l’immissione nel Saarloos di un Pastore Svizzero Bianco. Questi inserimenti sono rischiosi se non si ha le capacità di contenere le tantissime distorsioni portate dall’importazione di geni di una differente razza, ma con le dovute precauzioni e con un grandissimo lavoro selettivo è possibile importare la sola colorazione del manto, senza andare a sconvolgere la morfologia di quella linea utilizzata per questo esperimento… d’altronde un esperto allevatore sà che una qualunque sporadica intromissione dovuta all’immissione di un soggetto di una razza diversa, dopo alcune generazioni si riesce ad eliminare gran parte dei connotati propri di quel soggetto “alieno” e si arriva quasi a tornare in totale purezza.
Sicuramente, se venissero ripristinate linee che presentano soventemente soggetti crema e soggetti bianchi, la razza Saarloos wolfdog sarebbe completa, proprio come redatto nel suo standard F.C.I..
Tipica colorazione del tartufo, che da nero diventa poi rosa chiaro (foto di © Michelle Schnider)
Mio giudizio personale
Sicuramente è intrigante la ricerca di un carattere (quasi) perduto e la sfida che ne consegue nel suo eventuale ripristino. E’ vero che la razza sarebbe più “completa” se il “White Saarloos” ritornasse in auge, ma per quanto riguarda la razza in generale non vedo alcun beneficio in una ipotetica futura ricomparsa. Essendo un carattere iper-recessivo, ossia il mantello più recessivo possibile per questa razza, non potrebbe sconvolgere lo status quo dei vari allevamenti, ma sicuramente potrebbe in qualche modo inquinare alcune linee, sempre più rare, che da sempre hanno seguito il ceppo originale, e che con l’introduzione anche di un solo esemplare bianco derivante magari da “crossing” esterni potrebbe destabilizare il lavoro selettivo svolto in tanti anni.
Ho avuto modo di vedere dal vivo un esemplare maschio di Saarloos bianco, a Leeuwarden in Olanda nel 2011. Personalmente non amo l’aspetto di questa colorazione, in quanto cancella completamente ogni caratteristica dell’espressione, occultandone i consueti tratti della maschera e qualunque altra sfumatura del mantello. A prima vista un Saarloos bianco non sembra un Saarloos. Quando hai di fronte un esemplare di quella colorazione ti trovi in difficoltà a comprenderne alcune qualità che solitamente sei abituato a valutare in soggetti grigi o fulvi. Vengono annullate tutte le zone d’elezione di colore e quindi tutti i punti di riferimento che la tua mente ha fissato nella valutazione della testa del Saarloos, e viene di conseguenza depennata la tua capacità di vagliare determinati pregi, anche se hai pur sempre sotto gli occhi tutti quelli che sono i parametri anatomici che sono sempre ben visibili, e nel bianco oserei dire più visibili che mai.
Con questo non dico assolutamente che il manto bianco annienta la tipicità, un bel Saarloos risulterebbe tale anche a mantello chiaro, ma per valutare soggetti di questa colorazione bisogna approcciarsi ad essi con occhio più attento, ben diverso rispetto alle più comuni tipologie di mantello.
Il Saarloos bianco è sicuramente una realtà che, come tutte le rarità, in tanti vorrebbero avere e se prima o poi verrà riconsiderato da qualche allevatore che possiede la testardaggine di rendere di nuovo “visibile” questa particolare caratteristica, ben venga. Lasciamo questi tentativi a chi si può permettere di impegnare le proprie risorse in questo progetto. Penso pertanto che noi affermati allevatori di questa razza, possiamo tranquillamente concentrare le nostre attenzioni sulle due colorazioni più comuni, invece di tentare il restauro di una reliquia.
Federico Vinattieri è un appassionato allevatore cinofilo, ornitofilo e avicoltore (titolare Allevamento di Fossombrone – www.difossombrone.it – http://lupi.difossombrone.it – http://ornitologia.difossombrone.it). Curriculum vitae >>>