di C.Maurizio Scotti
Soldi? Industria? Congiuntura? Romania…? Vattela a pesca se le cose strane arrivano anche a far parte del patrimonio agricolo di Lomellina, Pavese, Lodigiano e Milanese. In Piemonte sono corsi ai ripari, in Lombardia sembra che nessuno si sia accorto di quanto sta accadendo a 1900 agricoltori (1100 pavesi) che vivono di risicoltura. Da anni si dice che la concorrenza fa male, che occorre rientrare nel regime dei dazi e di altro ancora. Hai voglia di mettere sul piano il Carnaroli, l’Arborio o il Vialone Nano, ciò che conta oggi sono i tempi di cottura, la velocità, il precotto, l’affinato, il disidratato e condito: 120 grammi a 1 euro, una ladrata a cui nessuno fa caso, tanto è praticamente pronto e persino ripreparato.
Ciò che arriva comunque non permetti ripari a ciò che esiste, almeno in Lombardia, terra di riso e di risaie, anche se a Monza a Brianza, da secoli, non sanno di cosa si tratta. Molto giunge da oltre Danubio, da Romania e Moldova, altro arriva dal Sud Est Asiatico, terra feconda in fatto di cereale da acqua ad uso alimentare continuo, altro ancora fa il giro del mondo, quasi fosse un bene unicamente da trattare. Del resto, anche mais e bietola da zucchero ci hanno abituati ad un valore disgiunto, e poi l’olio d’oliva, le noci (che hanno un mercato fiorente di cui nessuno parla), l’ananas (bio sgrassante), la tapioca (ad uso primi mesi), il kiwi (lanciato quale riserva strategica di vitamina C), il pomodoro, presente tutto l’anno, il cavolfiore (antitumorale)… Potremmo sobbarcarsi un’infinità di presupposto legati alla natura, agli ambienti ed ai prodotto della terra, ma finiremmo col parlare d’altro, col dimenticarsi del riso, del cereale che sfama 2,5 miliardi di persone. Niente, nessun alimento, fa quello che fa il riso sulla faccia della Terra.
Detto questo, uno sguardo in ciò che è l’Italia non può esimersi: il Nord, la Lombardia, la provincia di Pavia, la Lomellina ed il Pavese, sono la terra del riso. Il riso è in quella terra da quando qualcuno lo ha portato fin qui, da Marco Polo in poi, da quasi 800 anni a questa parte. E il riso di Pavia ha fatto la storia vera e romantica della risicoltura, che in un certo senso è diventata cultura, a Mortara come a Belgioioso, passando per Villanterio e reVialone, Albuzzano e Valle, la stessa Pavia e Robbio: nomi famosi di terre e loghi di industrie di fama mondiale in fatto di risi, prodotti e relative vendite.
Ciò che resta è comunque l’amaro in bocca: l’incapacità di fare squadra, di emergere sul fronte che compete: per inerzia, per caduta libera, per inefficienza e per alchimia spasmodica di non voler scegliere un ardimento costruttivo anziché uno che riporta le cosevindietro, al tempo di Marco Polo, quando bastava la novità a fare progresso. Oggi serve salire, andare in cima, perché è là che c’è il traguardo, il posto in cui mettere la bandiera.
Risaia – Bassa Lomellina
Autore: C.Maurizio Scotti
23/11/2017