di Giorgio V. Brandolini
Postazione di venditore di erbe medicinali della foresta amazonica
(foto Giorgio V. Brandolini)
1. Le erbe della salute e la medicina moderna
Le comunità etniche stanno cambiando il volto del nostro paese. Nuovi valori e saperi si integrano nel patrimonio culturale di tutti gli strati della popolazione. Inoltre le comunità dei migranti conservano le proprie identità e contatti con i paesi d’origine. Si creano isole socio-culturali autonome, gelose delle proprie tradizioni e dell’appartenenza a civiltà distinte, anche se convivono nel medesimo territorio. La partecipazione alla vita del paese che li ospita non cancella saperi e comportamenti radicati ed evolutisi nel corso delle generazioni. Semmai, si instaura una competizione tra diversi modi di vita, con scambi culturali, ma senza che le comunità migranti rinuncino alle proprie identità.
Nel campo della salute, questo processo è assai evidente, sia per l’interesse dei medici nostrani ad appropriarsi di alcune tradizioni mediche straniere (agopuntura, ayurveda, terapie psichiche, erbe esotiche, etc.) sia per la crescita delle importazioni di erbe medicinali e loro derivati, che si possono acquistare a volte in farmacia, più spesso nei negozi etnici e nelle erboristerie, senza che siano riconosciuti formalmente come farmaci.
La comprensione del valore e dell’utilità di queste tradizioni mediche può essere facilitata dall’approfondimento del retaggio della medicina popolare del nostro paese da cui, meno di un secolo fa, è derivata e si è sviluppata la medicina moderna, che si avvale dei farmaci di sintesi.
La concezione scientifica e meccanicistica della materialistica ha ottenuto risultati notevolissimi, che si misurano nell’aumento della durata della vita. E tutto ciò sia estendendo l’accesso ai servizi medici a tutta la popolazione sia migliorando l’efficacia delle terapie.
La prevalenza di un paradigma unico di cura della salute ha conseguito economie di scala (risparmi) e ha concentrato gli sforzi su cure standardizzate e realizzate in condizioni ambientali controllate. In tale modo, le tradizioni mediche alternative sono rimaste escluse dalle terapie approvate, in quanto dipendono in modo notevole da condizioni particolari del paziente, dei suoi familiari e del suo ambiente di vita, oltre che dalla condivisione di modi di pensare in contrasto con il metodo scientifico.
Nella medicina popolare, le proprietà terapeutiche delle erbe erano attribuite alle forze della natura e non alla biochimica del corpo umano. Tutto ciò è stato stigmatizzato come superstizione e questo sapere si è rifugiato nei settori della popolazione esclusi socialmente.
La stigmatizzazione della medicina tradizionale si realizza parallelamente allo sfruttamento della natura da parte dei chimici farmaceutici, che per economizzare, studiano le sostanze presenti in natura per ottenere nuovi farmaci. La scoperta e la sintesi puramente chimica di un principio attivo farmacologicamente è molto più costosa dell’identificazione di una molecola presente in una pianta che può svolgere la stessa funzione.
I principi attivi di origine vegetale spesso consistono nelle molecole presenti nelle cellule e nei tessuti delle piante che interferiscono con il metabolismo degli organismi che si nutrono delle piante stesse, gli erbivori. Tali sostanze, una volta isolate e identificate possono essere riprodotte industrialmente per mezzo di procedimenti chimici o, grazie alle biotecnologie, sintetizzati a partire da (micro)organismi allevati in laboratorio.
La fabbrica verde contribuisce alla medicina come fonte di nuovi farmaci di sintesi, oltre che come fonte diretta delle erbe e dei loro derivati immediati.
Box 1. Il ruolo delle erbe medicinali nella ricerca farmacologica
L’India ha vinto il ricorso giudiziario contro i brevetti ottenuti dalla turmerina e dall’albero di neem, obbligando l’Ufficio europeo dei brevetti a revocare le patenti concesse su farmaci derivati da tali sostanze. Ma tali azioni legali sono costate US$ 5 milioni e, nel caso del neem, dieci anni di ricorsi legali che hanno provato l’appartenenza di tali prodotti alla medicina tradizionale indiana. In questo senso, la biodiversità è una miniera disponibile per la messa a punto di nuove colture agricole e medicamenti. Infatti la creazione di farmaci sintetici è molto lunga e costosa (le spese sostenute per ottenere una molecola di successo hanno raggiunto anche 15 miliardi di US$ e tali ricerche biochimiche durano anche 15 anni). Dato che un brevetto dura 20 anni, lo scopritore ha poco tempo per sfruttare commercialmente la propria invenzione e la commercializza a un prezzo elevato, che la rende inaccessibile a molta gente. Al contrario, l’identificazione e l’isolamento di una molecola farmacologicamente attiva presente in una pianta è molto più economica e più rapida. I costi principali sono in questo caso costituiti dai test clinici e dalla campagna di commercializzazione.
Il governo della Federazione indiana, al fine di evitare che le imprese farmaceutiche straniere invadano il paese ha concesso la licenza di uso pubblico per 200,000 trattamenti tradizionali, ispirandosi al principio della proprietà pubblica, ossia ha permesso a chiunque di utilizzarli, impedendone il commercio con una denominazione commerciale (brand).
Infatti gli scienziati indiani hanno rilevato che le società farmaceutiche straniere studiano i rimedi naturali e tradizionali e che in base a tali ricerche esse hanno derivato 5,000 brevetti su piante medicinali, animali e sistemi tradizionali, per un valore di oltre US$150 milioni.
Oltre 2,000 de questi brevetti sono stati originati dal sistema medico tradizionale indiano. Queste stesse imprese fanno pressione in Europa per impedire l’ingresso e la commercializzazione dei farmaci naturali prodotti in India.
La Libreria digitale delle conoscenze tradizionali di New Delhi ha registrato informazioni sui 200,000 trattamenti in questione. Nel corso di 8 anni di lavoro, 200 ricercatori hanno tradotto gli antichi testi medici ed erboristici indiani e vagliato criticamente le informazioni sui farmaci naturali ivi contenute. Tali rimedi, sono attualmente registrati e oggetto della libera licenza d’uso, per cui non possono più venire patentati presso l’Ufficio europeo dei brevetti, che ha già concesso 285 brevetti su prodotti derivati dalle tradizioni mediche indiane. I tre sistemi medici tradizionali dell’India sono: l’ayurveda, che è praticato anche in occidente, l’unani, un ibrido di derivazione greca, e il siddha, molto antico e originario della parte meridionale della penisola indiana.
Per informazioni sulla Traditional knowledge digital library si può consultare questi siti web (in inglese): www.tkdl.res.in/tkdl/langdefault/common/home.asp?GL=Eng
Postazione di venditrice di erbe medicinali della foresta africana
(foto Giorgio V. Brandolini)
2. Le tradizioni mediche popolari e la loro trasmissione
La concezione olistica dell’esistenza, comprensiva di corpo di anima, ricorre nelle medicine popolari di tutto il mondo. Questa concezione unitaria dell’esistenza e dell’universo riconduce numerose patologie alle aggressioni esterne. Pertanto i veggenti sono chiamati a diagnosticare gli stati di malessere corporale e i guaritori coniugano le pratiche magico-religiose (fatture, esorcismi, scongiuri) con la somministrazione dei rimedi vegetali e dei loro derivati.
La medicina popolare del nostro paese abbondava di guaritori dotati di poteri magici, che non si limitavano alla cura della salute delle persone, ma erano impiegati anche per scongiurare le avversità atmosferiche e gli altri danni attribuiti a persone e a spiriti avversi o all’ira divina. Le oltre 5,600 specie di piante fanerogame della flora nostrana erano ampiamente impiegate e i loro estratti sono comunemente disponibili nelle erboristerie. I manuali di economia domestica in auge fino al 1950 circa presentavano ricette culinarie e medicinali a base di erbe curative, sia selvatiche, come la celidonia, la malva, l’ortica, il papavero selvatico, la parietaria, la ruta, il sambuco e il verbasco; la camomilla, il rosmarino e la salvia; l’aglio, il cavolo, la cipolla e l’olivo, sia coltivate, come la camomilla, il dragoncello, l’issopo, la lavanda, la menta, il rosmarino, la ruta, la salvia e il timo.
La scienza antica e medievale ha accumulato una quantità di informazioni farmacologiche su queste piante, in parte registrate nei grandi repertori erboristici e in parte trasmesse oralmente dai pratici e dai medici popolari.
La trasmissione di questo sapere è stata ostacolata dal successo della medicina moderna, che ha relegato le concezioni terapeutiche alternative al folclore e agli studi antiquari. Non così in altri paesi, nei quali lo studio delle erbe permane come elemento delle scienze mediche tradizionali, insegnate in centri di studio e praticate dai guaritori popolari, che continuano a trasmettersele di padre in figlio.
Box 2. La trasmissione delle conoscenze mediche tradizionali
Per migliaia di anni i medici tradizionali cinesi hanno trasmesso le loro conoscenze per mezzo dell’apprendistato, ai propri figli, trasmettendo conoscenze originali ed uniche sui rimedi e i trattamenti medici. Il governo cinese ha deciso di incorporare la tradizione medica millenaria di questo paese nel sistema medico pubblico. I centri medici comunitari e dei villaggi possono ora ricorrere a tali trattamenti per curare i propri pazienti.
Si tratta di rimedi meno costosi dei farmaci brevettati. Essi sono pertanto alla portata dei cinesi meno abbienti. I programmi di assicurazione sanitaria pubblici e privati rimborsano quindi le cure sostenute dai pazienti presso gli ospedali riconosciuti che si avvalgono di tali rimedi e terapie. Allo stesso tempo gli investitori del settore sanitario (ospedali) e i medici sono incoraggiati a partecipare a tale sforzo di rilancio delle tradizioni mediche ed erboristiche e a sostenere lo sviluppo di farmacie che forniscono erbe e rimedi ancestrali ai loro clienti.
La perdita di conoscenze dovuta all’adozione della medicina moderna dovrebbe diminuire in futuro in quanto il governo cinese sta pianificando la registrazione delle conoscenze contenute negli antichi libri di medicina e la creazione di un catalogo e di una base di dati digitali che ne permetteranno l’accesso ai fini della ricerca e dell’utilizzo. Le università della medicina tradizionale cinese partecipano a tale azione.
Inoltre sono previsti investimenti educativi al fine di aumentare la conoscenza della popolazione sull’uso di questi farmaci e di formare i medici che li somministrano e raccomandano ai loro pazienti. L’apprendistato si affianca all’insegnamento nelle scuole mediche, specialmente nelle zone rurali.
Per informazioni sul ricorso alle pratiche mediche tradizionali in Cina la si può consultare il seguente sito web (in inglese): http://news.xinhuanet.com/english/2009-05/07/content_11332281.htm
3. La medicina domestica
Queste tradizioni mediche alternative sono ormai presenti nel nostro paese come in molti paesi nei quali le comunità etniche degli emigranti sono abbastanza grandi da permettere la conservazione delle tradizioni e degli stili di vita ancestrali.
In particolare occorre ricordare che gli approcci spirituali e comunitari alla cura della salute sono in grado di mobilizzare energie e risorse che influiscono positivamente sullo stato di salute dei pazienti. Inoltre, esistono patologie la cui eziologia dipende anche da eventi psichici, dal tipo di vita, dalle relazioni familiari dell’infermo e delle sue relazioni con la natura che lo circonda. In tali casi, le cure si giovano del mondo spirituale evocato dai guaritori tradizionali e condiviso dai pazienti.
I medici sono tenuti a fare i conti sempre più spesso con tali situazioni, con la necessità di integrare o quanto meno armonizzare le prescrizioni dei farmaci di sintesi con le cure consuetudinarie che praticano i loro pazienti.
Allo stesso tempo, il mercato delle erbe medicinali è in espansione e si è trasformato in un flusso crescente di preparati grezzi e industrializzati, di origine prevalentemente cinese e indiana.
La coltivazione di alcune di queste piante è possibile anche nel nostro paese, in cui si sono acclimatate e dove crescono nei giardini e nei parchi urbani (si pensi all’olivello spinoso, all’aloe, alla gingko biloba, etc.). L’agricoltura periurbana e i piccoli appezzamenti di collina possono divenire un fattore importante della produzione nostrana di erbe medicinali.
Allo stesso tempo è importante pensare a una nuova concezione dell’educazione e della formazione professionale sanitaria, nella quale la medicina domestica torni a svolgere un ruolo complementare con le cure intensive e specialistiche. La riscoperta di questa cultura popolare è utile al fine di limitare i costi e gli effetti collaterali del continuo ricorso a terapie altamente intrusive e dell’adozione di regimi di vita insalubri. Una maggiore coscienza del nostro contributo al nostro benessere fisico dovrebbe riflettersi in una dieta rivolta a soddisfare esigenze salutistiche e non solamente nutrizionali e nell’appropriazione e nella trasmissione di un sapere la cui umiltà nascondeva utilità quotidiana apprezzate nel nostro paese fino a poche generazioni fa.
Le comunità migranti, con la trasformazione della nostra società da un ambiente culturalmente omogeneo alla convivenza di culture autonome, stimola il rinnovamento delle scienze mediche e, almeno in parte, la riscoperta dell’unità delle dimensioni materiale e spirituale dell esistenza umana.
Rappresentazione pittorica di chirurgo incarico (foto Giorgio V. Brandolini)
Giorgio V. Brandolini, naturalista prestato all’antropologia, dal 1971 ha soggiornato in Bolivia, Brasile e Perù e in altri paesi dell’America latina. Operando per le Nazioni Unite e per diverse associazioni umanitarie, si è successivamente trasferito in Africa e in Medio oriente. Nel corso della sua lunga esperienza ha lavorato in paesi nei quali le tradizioni mediche coesistono con le terapie moderne.
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