di Ezio Casali
Con il termine di lavorazione ridotta vengono definite tutte quelle tecniche che eliminano completamente l’aratura e quindi il rivoltamento degli orizzonti del terreno, con lo scopo di contenere il numero, l’intensità e spesso anche la profondità delle lavorazioni.
A tale riguardo possiamo “catalogare” le tecniche di lavorazione ridotta in quattro categorie, e cioè:
– NO TILLAGE ( non lavorazione, semina diretta, semina su sodo)
Prevede l’abbandono completo non solo dell’aratura, ma di tutte le lavorazioni che hanno come scopo anche il solo rimescolamento degli strati superficiali di terreno.
Questo comporta l’utilizzo di macchine seminatrici appositamente dedicate le quali, vista la presenza dei residui colturali, devono essere in grado di “penetrarne” lo strato e di fendere il terreno per creare l’alloggiamento e permettere la deposizione del seme, che va successivamente ricoperto per metterlo nelle migliori condizioni di germinazione.
Per ottimizzare l’effetto della non lavorazione è particolarmente importante un buon livellamento del terreno (in modo da non creare difformità nella profondità di semina), nonché garantire una distribuzione omogenea dei residui colturali ed evitare compattamenti (particolarmente deleteri sono i calpestii durante i cantieri di lavorazione, nel corso dei quali si alternano macchinari particolarmente pesanti che possono portare, specie se il terreno è troppo umido, a schiacciamenti eccessivi e di difficile risoluzione futura.
Seminatrice per semina su sodo (fotografia per gentile concessione di ma/ag – Casalbuttano CR www.ma-ag.com )
– MINIMUN TILLAGE (minima lavorazione)
Tecnica che comporta l’abbandono di sistemi di lavorazione profonda. La minima lavorazione prevede infatti lavorazioni di profondità non superiore ai 15 cm ( nonché una copertura minima del 30% della superficie con i residui colturali) da effettuare con erpici o altri attrezzi che non siano mossi dalla presa di forza della trattrice o idraulicamente (quindi solo attrezzi portati, semi-portati o trainati).
Cantiere di lavoro per minima lavorazione (fotografia per gentile concessione di ma/ag – Casalbuttano CR www.ma-ag.com)
La minima lavorazione rappresenta spesso il primo approccio verso l’agricoltura conservativa, anche se l’applicazione solo di tale tecnica da un lato minimizza i benefici economici (riduzione dei tempi di lavoro e del consumo di carburante) ed ambientali (sequestrazione di carbonio e minori emissioni in atmosfera di anidride carbonica) e dall’altro, nel caso in cui l’approccio non sia corretto e soprattutto le lavorazioni non vengano effettuate in stato di tempera del terreno, potrebbe portare alla formazione di una suola di lavorazione così come avviene nelle lavorazioni tradizionali, ma in questi casi più pericolosa perchè più superficiale.
– VERTICAL TILLAGE (lavorazione verticale)
E’ una delle tecniche di più recente introduzione, e prevede di effettuare tagli della profondità di 5 – 8 cm con attrezzi a dischi (perpendicolari rispetto al piano di lavorazione) senza il rimescolamento del suolo. L’obiettivo della tecnica è quello di rompere eventuali croste formatesi in superficie, di tranciare i residui colturali (che rimangono quasi totalmente in superficie) e di risolvere gli eccessi di compattamento dovuti ai passaggi di macchine agricole particolarmente pesanti e/o ripetuti.
Una particolare forma di lavorazione verticale è il cosiddetto decompattamento, per il quale vengono utilizzati attrezzi dotati di ancore in grado di tagliare e sollevare il terreno ad una profondità di 35 – 40 cm senza comunque rivoltare e/o rimescolarne gli strati. E’ un’operazione considerata “di soccorso”, alla quale ricorrere solo in casi di effettiva necessità.
– STRIP TILLAGE (lavorazione a strisce)
In questo caso si provvede a lavorare solamente delle strisce di terreno larghe non più di 20 cm ad una profondità non superiore ai 15 cm, interessando con tali passaggi non più del 25% della superficie lavorata; si avranno quindi delle fasce dove si provvederà alla semina della coltura mentre almeno il 75% del terreno risulterà coperto dai residui colturali.
E’ una tecnica che, evidentemente, ben si presta alle colture sarchiate (mais: larghezza delle bande 15 – 20 cm, interfila 70 – 75 cm; soia: larghezza delle bande 10 cm, interfila 40 – 45 cm); lo scopo di lavorare solo la banda destinata alla semina, oltre ai benefici economici ed ambientali già visti, è quello di facilitare il “riscaldamento” della fascia lavorata, garantendo così una più veloce germinazione ed emergenza delle piante.
Esempio di lavorazione a strisce (fotografia per gentile concessione di ma/ag – Casalbuttano CR www.ma-ag.com)
Ezio Casali, iscritto all’Albo Provinciale degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati di Cremona, insegna presso l’Istituto Tecnico Agrario Statale “Stanga” di Cremona. Si occupa di autocontrollo, soprattutto negli agriturismi, e di agricoltura multifunzionale. Curriculum vitae >>>