Spino degli Iblei
Gianni Vullo – Club del Pastore Siciliano
Spino degli Iblei
LA DENOMINAZIONE: “SPINO DEGLI IBLEI”
Considerando le varie denominazioni con le quali questa razza viene individuata, va detto che i nomi più ricorrenti sono quelli di:
“Spinotto”, più usato nelle zone di Acate e Pedalino;
“Spinusu”,più usato nella zona di Gela;
“Spinu”,più usato in assoluto.
In tutti e tre i casi si tratta di definizioni che individuano il medesimo cane pecoraio.
Dopo ampio dibattito e ragionato confronto, nel 1991 i cinotecnici che si interessarono alla razza e che oggi sono parte del Consiglio Direttivo del Club del Pastore Siciliano giunsero alla conclusione che il nome di “Spino degli Iblei” fosse da ritenersi più corretto sul piano dell’origine geografica in quanto questa razza non è diffusa né ha avuto la sua culla in tutta la Sicilia indifferentemente, ma sono soltanto i pastori dell’area circostante all’altopiano dei Monti Iblei a utilizzarla da tempo immemorabile fino ad oggi. E poi non “Ibleo”, bensì “degli Iblei” perché questa seconda dicitura è parsa indicare in maniera più pregnante il senso di un’appartenenza autoctona e identitaria ai Monti Iblei.
È confortante che oggi, a distanza di vent’anni dal battesimo della razza, anche nell’ambiente pastorizio è diffuso e quasi esclusivamente usato il nome “Spino degli Iblei”.
RAPPRESENTAZIONE FOTOGRAFICA DELLO SPINO DEGLI IBLEI
Per rappresentare come è lo Spino degli Iblei vi sono due modi: la produzione di materiale fotografico e le misure morfometriche rilevate.
Il C.P.S. Ha raccolto alcune immagini fotografiche tese ad indicare non solo come è lo Spino degli Iblei, ma anche ad evidenziare che lo stesso, per omologia di caratteristiche morfologiche e caratteriali, costituisce una razza.
È fondamentale rilevare che la diversità cromatica dei mantelli dei cani si accompagna ad una inalterata morfologia generale che resta identica per ogni colore di mantello.
Tali dati obiettivi dimostrano che i pastori -oltre che la natura stessa- sono riusciti a fissare un’unica morfologia di cane e che tale morfologia è così fissata che essi si permettono di attuare una selezione migliorativa, di limare le imperfezioni, al fine di mantenere al lavoro ausiliari sempre più robusti, più sani e più funzionali.
Ciò dimostra, in altri termini, che tali cani sono “fissati”, come razza, perché i pastori, compatibilmente con le loro ordinarie conoscenze delle leggi sull’ereditarietà, riescono ad ottenere cani molto omogenei sia morfologicamente sia caratterialmente.
Qui di seguito alcune fotografie molto recenti, realizzate tutte nell’estate del 2014, che rappresentano soggetti (tutti viventi) appartenenti a ceppi non imparentati e operanti in zone diverse l’una dall’altra, ciò per mostrare l’altissimo livello di omogeneità del “tipo”, che è generalizzato a prescindere dal luogo di provenienza.
STANDARD
Qui di seguito: il testo della bozza di Standard redatta dal Giudice ENCI Gianni Vullo e inviata dal Club del Pastore Siciliano all’E.N.C.I. alla stregua dell’osservazione diretta e delle misurazioni effettuate.
ORIGINE: Italia
UTILIZZAZIONE:
Cane guardiano utilizzato dai pastori siciliani dell’area iblea per la protezione di greggi.
Classificazione F.C.I.: Gruppo 1 – Cani da Pastore e Bovari, esclusi Bovari Svizzeri.
Sezione 1 – Cani da gregge. Senza prova di Lavoro.
BREVI CENNI STORICI:
Il cane Spino degli Iblei è stato allevato fin da tempi immemorabili nella Sicilia sud-orientale, precisamente nell’area insistente attorno all’altopiano dei Monti Iblei. Il criterio primario della sua selezione è sempre stato ed è tuttora l’utilizzo di questo cane per la guardia e la difesa di greggi, cosicché i cani di oggi hanno conservato intatto il loro carattere.
ASPETTO GENERALE:
Lo Spino degli Iblei ha la conformazione di un mesomorfo, armoniosamente costruito, grande e vigoroso, con forte e notevole ossatura, che sin dal primo sguardo deve dare l’idea di forza e rusticità. Il cane non deve mai apparire tozzo. Il tronco è inscritto nel rettangolo. Il dimorfismo sessuale è ben pronunciato.
COMPORTAMENTO E CARATTERE:
Da sempre adibito alla protezione di greggi dagli attacchi di lupi, volpi e cani rinselvatichiti, lo Spino degli Iblei è abituato a vivere senza sofferenza in ambienti estremi nonostante l’alimentazione molto povera che i pastori usano somministrare ai propri cani. Tale selezione naturale gli ha conferito grandi rusticità e frugalità che si traducono in eccellente robustezza e resistenza alle malattie. È un guardiano impavido ed instancabile, fermo e incorruttibile difensore delle pecore a lui affidate, ma in presenza del pastore/proprietario, verso cui nutre incondizionata devozione, è portato a socializzare anche con gli estranei. È un perfetto compagno di giochi dei bambini verso i quali assume naturalmente un atteggiamento arrendevole e sottomesso, ma al contempo protettivo come lo è con gli agnelli. Dimostra spiccata capacità di adattamento a qualsiasi nuovo ambiente.
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LE TESTIMONIANZE SULLA RISALENTE PRESENZA DELLA RAZZA
La razza Spino degli Iblei è sempre stata, come lo è tutt’ora, di esclusivo utilizzo da parte dei pastori pecorai. Più precisamente: non ha mai sostituito il cane da guardia nella casa colonica o nella masseria, come invece ha fatto, seppure non in via principale, il Mastino Siciliano. Lo Spino degli Iblei ha sempre fatto la guardia al gregge: sui pascoli durante il giorno e all’interno dell’ovile nelle ore di ricovero notturno allorché il pastore se ne tornava a casa lasciando il gregge nelle mani dei suoi ausiliari canini. Per tale unica specifica utilizzazione, in un ambiente sempre chiuso e isolato, non è facile recuperare testimonianze. Si dubita addirittura dell’esistenza di queste ultime perché i pastori, soprattutto di un tempo, difficilmente erano muniti di macchina fotografica; quasi sempre non avevano contatti col mondo esterno al loro, relegati come erano in pascoli isolati sia per meglio pascolare le greggi sia anche perché, in genere, ripiegavano su questo lavoro coloro che, per deficienza mentale o deficienza comportamentale, erano stati banditi dalla comunità civile. Rinvenire, pertanto, testimonianze -anche indirette- sull’ausiliario del pastore non è compito facile.
Molte immagini testimoniano l’antica presenza dello Spino degli Iblei nell’ambiente pastorizio della provincia di Ragusa.
La più antica testimonianza rinvenuta è un olio su tela, datato con certezza nel 1884, ad opera dell’On. Pasquale Libertini Gravina di San Marco il quale, oltre alla carriera politica che lo vide prima Onorevole della Camera dei Deputati e poi Senatore della Repubblica, si dilettava a ritrarre i paesaggi tipici del suo cospicuo feudo che comprendeva terre da Caltagirone fino a Pozzallo e a Vittoria. Nato a Caltagirone nel 1856, risiedette per quasi tutta la sua vita presso il palazzo di famiglia Libertini di San Marco in via Taranto a Caltagirone e passava tutte le sue estati, da Maggio a Ottobre, come nelle tradizioni delle famiglie facoltose dell’epoca, nelle residenze vacanziere di famiglia lungo la costa iblea.
Ricorrenti, nei suoi oli su tela, sono raffigurazioni pastorali e silvestri ed in uno, datato con certezza nel 1884, è raffigurato un gregge con, a sua scorta, un cane nero, dal muso cespuglioso, in tutto identico all’attuale Spino degli Iblei.
Altra importante, forsanche più inequivocabile, testimonianza iconografica è quella rappresentata da un’antica illustrazione, di autore ignoto, contenuta nel volume edito nel 1908 da Leggio&Piazza Editori ed intitolato “Opere Poetiche” del poeta e drammaturgo siciliano Giovanni Meli. La xilografia si trova a corredo del canto II del poema eroicomico in ottave siciliane “Don Chisciotti e Sanciu Panza”.
Qui non si sta a focalizzare il testo che, seppure in volgare, descrive i cani da pastore che assalgono il cavaliere, perché l’opera siciliana non è altro che la traduzione letterale in Siciliano del ben più famoso romanzo spagnolo “Don Chisciotte della Mancia” di Miguel de Cervantes. Ma quel che qui rileva è l’illustrazione, di un disegnatore siciliano, per un’opera siciliana, di un autore ed editore siciliani che nulla hanno a che fare con il poema originale spagnolo. Il cane in primo piano, inequivocabilmente barbuto, non si presta ad altre interpretazioni se non quella che riconduce in modo chiaro allo Spino degli Iblei per mantello, colore e conformazione della testa.
Nel 1991, il dott. Gianni Vullo e il sig. Giovanni Tumminelli iniziarono a interessarsi della razza e girarono in lungo e in largo per gli ovili iblei al fine di censire la popolazione canina che presentava la stessa morfologia e svolgeva la medesima funzione. Fu più un periodo di studio e di approfondimento della conoscenza della razza.
Il cane che casualmente viene fotografato è un maschio anziano di Spino degli Iblei, Leone, che -dice Salvatore Curvà- scorre nel sangue di tutti i suoi attuali cani spinusi.
Nel 1992, Gianni Vullo e Giovanni Tumminelli redassero una piantina dove vennero annotati i ceppi che avevano censito durante le loro ricerche sul campo. Da questa mappa emerse un dato molto importante, cioè che esistevano almeno nove linee genetiche non strettamente imparentate tra loro e, dato questo più rilevante, che ciascuna linea contava più di dieci esemplari.
Nel numero di Aprile del 1996, la rivista “Cani da Presa” pubblicò un articolo sulle razze siciliane non riconosciute (Branchiero, Mastino Siciliano, Spino degli Iblei e Vuccirisco) a firma di Giovanni Tumminelli. L’articolo attirò l’interesse dei lettori soprattutto sullo Spino, furono tantissimi a telefonare e a scrivere alla redazione della rivista per avere maggiori informazioni su questa attraente razza. E così, per accontentare tutte quelle richieste, il direttore editoriale chiese un articolo più dettagliato, stavolta specifico sullo Spino degli Iblei, che uscì sul numero di Luglio dello stesso anno a firme congiunte di Fernando Casolino, Giovanni Tumminelli e Gianni Vullo.
Sulla scia del successo riscontrato dagli articoli sopra riportati, ne vennero scritti altri dal dott. Gianni Vullo che vennero pubblicati sul n.120 di Febbraio 1997 del quindicinale “L’Affare”, sul n. 47/1997 del bimestrale di cinofilia siciliana “Notes”, sul quindicinale di informazione siciliana “La Pagina”, sempre nel 1997.
Nel 1997, l’E.N.C.I. indette un “Concorso Giornalistico”, pubblicizzato anche sulla rivista “I Nostri Cani”, cui partecipò il dott. Gianni Vullo, vincendo il primo premio, con un articolo intitolato “Lo Spino degli Iblei”. La premiazione avvenne in occasione dell’annuale Assemblea dei Soci, in Milano, e destò non poca curiosità sulla razza da parte degli astanti. Questo l’articolo vincitore:
“Che la Sicilia sia la più grande isola del Mediterraneo nessuno potrà negarlo, come innegabile è che essa sia -per antonomasia- la terra del sole, dei miti, delle credenze popolari, delle tradizioni che si accavallano nei secoli e che danno, anche a chi ne prenda contatto per la prima volta, il profumo ed il gusto di un miscuglio particolare, avvertiti subito nell’aria olezzante di zagara già nel mentre si naviga il mare custodito da Ladone.
La commistione della basilare civiltà sicula con l’essenza greca, la grandiosità romana, l’impronta normanna, la sinuosa morbidezza saracena, appuntita da una gentile verve francese e da una solarità aragonese, il tutto impreziosito da un barocco piacevole ha fatto confondere ciò che di veramente siculo è ancora rimasto nell’Isola con quello che invece è stato solo acquisito nell’avvicendarsi delle continue dominazioni straniere.
E’ purtroppo comune identificare il ficodindia, le palme, gli agrumi, che con tanto rigoglio vegetano in Sicilia, come piante indigene dell’Isola, mentre sono soltanto recenti introduzioni esotiche. Il ficodindia è originario dell’America Centrale e fu portato in Sicilia dagli Spagnoli, le palme arrivarono dall’Asia Meridionale, gli agrumi dall’Estremo Oriente.
L’impressione è che tale confusione abbia fatto perdere di vista ciò che è veramente aborigeno e che ha sempre fatto parte del territorio siculo. Mi riferisco ai residui pini d’Aleppo, alle sempre meno numerose querce spinose (quercus calliprinos), alla rara Retama monosperma (una bianca e profumata ginestra), alla coturnice di Sicilia, alla trota Macrostigma ed al cane Spino degli Iblei. Tutte testimonianze della storia naturale dell’Isola del sole meritevoli di essere custodite e valorizzate come avviene già per le cattedrali barocche e per l’iconografia siciliana.
Nonostante millenni orsono fosse stata ricoperta da estese foreste di lecci, di querce e di piante alofile, tanto che qualcuno scrisse che si poteva andare da Capo Passero a Marsala senza poggiare un solo piede a terra, la maggior parte del territorio, da alcuni secoli ormai ed a causa delle incessanti attività antropiche, presenta un paesaggio scarno e arido, interrotto solo qua e là da una sempre più rara macchia cespugliosa mediterranea.
In contesti geofisici di tal genere poche sono le specie animali in grado di sopravvivere, tant’è che tutti i grandi mammiferi si sono estinti già da parecchio tempo. E’ ampiamente documentata l’antica presenza, su tutta la regione, di cervi, daini, caprioli e lupi. Purtroppo, noi Siciliani siamo eredi di una educazione esclusivamente umanistico-letteraria, molto lontana da quella di tipo anglosassone o scandinava, per cui apprezziamo la natura solo come bene visivo o come sensazione paesaggistica, senza quella oggettività di correlazione tra flora, fauna, geologia e leggi biologiche che permetterebbe la conservazione di un patrimonio che non può certo rinnovarsi per magia.
Il territorio ibleo, quello compreso dai confini della vecchia di settecento anni Contea di Modica, già nel 1200 era definito Regnum in Regno non soltanto per l’autonomia politico-economica, ma anche per via delle caratteristiche orografiche del suolo che lo differenziano ancora oggi da tutto il resto della Sicilia. Si sta parlando del Val di Noto -uno dei tre Valli in cui gli Arabi divisero la Sicilia- e dei rilievi tabulari dei Monti Iblei.
In tutto l’altopiano ibleo i pascoli sono costituiti da piante spinose (cardi selvatici), pochissimo remunerativi e inidonei all’allevamento di qualunque animale. La naturale costituzione calcarea del territorio, poi, impedisce qualsiasi forma di coltivazione a carattere estensivo o con profitti assimilabili a quelli padani.
Il Siciliano ibleo, dunque, ha dovuto provvedere -forse anche inconsapevolmente- a crearsi degli animali da reddito che sapessero cavarsela con quel poco, quasi niente, delle risorse superficiali concesse dalla terra.
In quest’ottica e per tali esigenze, nella zona gravitante attorno al tavolato dei Monti Iblei sono state o si sono forgiate delle razze che vengono considerate autoctone proprio per le attitudini produttive uniche, introvabili in qualsiasi altra razza della stessa specie.
Nei bovini troviamo infatti la vacca Modicana, razza a duplice utilizzo, capace di produrre latte quanto mediamente ne darebbe una discreta Olandese, offrendo in più, però, un’ottima carne. Ricerche scientifiche hanno provato che la resa di carne di un toro Modicano è di poco inferiore a quella fornita da un omologo di razza Aberdeen Angus. Tutto ciò, però, laddove né l’Olandese né l’Aberdeen riescono a sopravvivere e ad assicurare le loro potenziali capacità produttive.
Negli equini è sempre stato utilizzato l’asino Ragusano, instancabile lavoratore di grande taglia il quale, nonostante la pessima qualità dei pascoli e la misera quantità di alimento, si dimostra forte trasportatore di enormi basti, rimorchiatore di grandi pesi e capace di fornire dell’ottima carne anche in tarda età. Da qualche anno l’Istituto di Incremento Ippico di Catania si sta adoperando per l’incremento numerico della razza, mettendo gratuitamente a disposizione per la rimonta ben 22 stalloni già testati.
La pecora Comisana è l’unico ovino presente in zona e al quale il pastore ibleo non intende rinunciare in quanto essa è la sola in grado di assicurare in buona quantità -sugli scarni pascoli della zona- una discreta qualità di carne e di lana, oltre a dell’ottimo latte. La triplice funzione della Comisana non è certo mia invenzione visto che l’animale è molto apprezzato anche in Calabria, in Basilicata ed in tutto l’Agro romano.
Il bovino Modicano, l’asino Ragusano e la pecora Comisana, razze regolarmente riconosciute e dotate di un libro genealogico ufficiale, sono stati selezionati tutti nell’area gravitante attorno all’altopiano ibleo, come pure il cani spinusu o semplicemente spinu ovvero ancora lo SPINO DEGLI IBLEI.
Il caratteristico paesaggio agrario ibleo, costituito da muri a secco -vere opere d’arte costruite per la necessità di utilizzare i numerosi massi accumulatisi dopo il dissodamento- che delimitano i campi, da vecchie masserie, da sontuose ville padronali e da regie trazzere in basoli, sarebbe monco se privato della presenza viva di questo cane che, a dire dei nostri nonni, è sempre stato il solo custode della roba ragusana, nel senso più verghiano del termine.
La Sicilia pastorale sud-orientale non è mai stata teatro di transumanza per via della mitezza climatica in ogni stagione e per la grande estensione di territorio pianeggiante (sia a bassa che ad alta quota), per cui all’allevamento ovino è stato sempre accoppiato quello dei bovini. Si è sempre preferita la stabulazione degli animali; la cultura della casa colonica -centro stabile della masseria- ha esatto un tipo di cane, proprio come per le razze di altre specie, che possedesse svariate attitudini funzionali e che sapesse in primis attuare una ferrea guardia alle masserizie, ma che, all’occorrenza, sapesse anche condurre la mandria al pascolo. Lo Spino degli Iblei possiede infatti l’autosufficienza mentale di inquadrare il vasto territorio circostante per proteggerlo anche durante l’assenza di tutti gli uomini ed ha nel sangue l’istinto a cacciare le volpi e i cani rinselvatichiti che rappresentano ancora oggi un costante pericolo per l’unica fonte di reddito del pastore ibleo. Un cane insomma con una tempra granitica, ma anche con una certa adattabilità ai diversi utilizzi che la vita dell’azienda agricola ragusana richiede.
Il compito principale dello Spino degli Iblei è senz’altro quello della guardia al gregge se in mano a pastori, alla masseria ed a tutto ciò che in essa è contenuto se di proprietà di massari. Un cane versatile, dunque, che sa diventare paratore o conduttore a seconda delle esigenze del proprio utilizzatore.
Nella realtà iblea, come si è detto, l’allevamento di bestiame è stato condotto a stabulazione: il centro di rotazione di tutte le attività è la casa colonica, ricovero notturno non soltanto di tutta la famiglia del massaro ma anche degli animali. Questi ultimi, all’alba, vengono condotti sui pascoli circostanti (generalmente nel raggio di un paio di chilometri) presi a gabella dal massaro, per essere riaccompagnati alle stalle all’imbrunire. Durante questi brevi spostamenti giornalieri, a scortare e guidare gli animali, accennando anche i comportamenti tipici dei cani conduttori, vi sono alcuni del branco di spinusi, gli altri -generalmente i più giovani- rimangono a guardia della masseria. Una volta raggiunto il pascolo, vi restano fino a sera, rimettendosi a fare i guardiani contro le volpi, i cani randagi e l’abigeo.
Questo è lo Spino degli Iblei, tipico cane da pastore di pianura, ben diverso dal cugino montanaro, “cani ri mannara” o Mastino Siciliano ovvero ancora Cane Pecoraio Siciliano, che pratica la transumanza sui Nebrodi e sui Peloritani.
Tipizzato da una statura di circa 70 cm al garrese, un peso che si aggira intorno ai 50 kg ed un mantello che già da solo è segno di identificazione razziale, questo cane si è conservato omogeneamente intatto fino ad oggi grazie a molteplici fattori concomitanti. Innanzi tutto, rimanendo esso ancorato sempre ad uno stesso posto molto circoscritto (la masseria), ha una grande capacità di fare branco. La grande forza fisica, difficilmente ravvisabile in altri cani costretti a vivere nella miseria della campagna iblea di una volta, fa sì che diventa praticamente impossibile, per un cane esterno al branco, ottenere le grazie di una spinusa in estro, a meno che l’intruso non sia un altro Spino. Ma in tal caso la razza viene comunque mantenuta.
L’intransigenza e la tenacia di questo cane credo siano perfettamente scolpite in un proverbio siciliano antichissimo tanto da essere ricordato quasi esclusivamente dai più vecchi: Nun rommiri co’ putticatu apiettu, mancu co’ Spinu e’ pieri ‘o liettu (Non dormire con la porta aperta neppure con uno Spino ai piedi del letto), proprio per raccomandare che la massima prudenza (la difesa offerta da uno Spino sdraiato al nostro capezzale) non è mai troppa”.
LE CARATTERISTICHE PSICHICHE DELLO SPINO DEGLI IBLEI
Quando una razza viene riconosciuta dalle istituzioni preposte, inevitabilmente i suoi maggiori utilizzatori diventano i cinofili agonistici i quali hanno, non soltanto il vincolo deontologico codificato dall’E.N.C.I., ma anche l’obbligo morale di preservare quelle caratteristiche psichiche primarie che consentirebbero alla razza di continuare un’esistenza non sofferta nell’ambiente che l’ha forgiata e mantenuta. Questa è una regola senz’altro primaria, ma empirica perché l’esperienza ci insegna che dalla maggioranza dei cinofili comuni che adottano un cane non si può pretendere che esso venga usato per la guardia del gregge o per la caccia al coniglio o per spostamenti su slitta. Pertanto si pone il problema di come salvaguardare la selezione caratteriale oltre quella morfologica, di una razza non sottoposta a prova di lavoro. Sulla scorta delle indicazioni della F.C.I. in tal senso, l’E.N.C.I. ha emanato alcuni regolamenti volti a testare le caratteristiche e l’affidabilità delle razze riconosciute, anche non sottoposta obbligatoriamente a una prova di lavoro, per assicurare alla progenie una buona percentuale di mantenimento delle peculiarità psichiche che lasciano presumere un positivo suo utilizzo nella funzione specifica.
Quindi non bisogna mai perdere di vista che lo Spino degli Iblei è una razza adibita esclusivamente alla guardia del gregge. In ambiente pastorizio, la selezione caratteriale, quindi, è cosa facile, anche spontanea, pur senza conoscenze approfondite sulla Genetica da parte dei pastori i quali non esitano ad eliminare un cucciolone che non lasci intravedere affidabilità con le pecore, coraggiosa disinvoltura nel fronteggiare pericoli, tempra granitica nell’inserimento nel branco. Queste sono caratteristiche essenziali per svolgere il lavoro che il pastore richiede dai cani. La volpe e i cani rinselvatichiti, ed ultimamente anche i cinghiali, sono pericoli costanti anche oggi per pecore e capre dell’altopiano ibleo, quindi si rende necessario, soprattutto durante la notte, poter contare su protettori che siano agili e forti allo stesso tempo in un ambiente davvero difficile che mette alla prova anche la resistenza degli animali.
Gianni Vullo – Club del Pastore Siciliano
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Sito web: www.pastoresiciliano.it
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