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di Mario Gian­no­ne

AL­CU­NE PAR­TI­CO­LA­RI­TA’ ANA­TO­MO-FI­SIO­LO­GI­CHE DEI SUINI E CAM­BIA­MEN­TI AV­VE­NU­TI NELLA STO­RIA SE­LET­TI­VA E DEI CON­SU­MI

Cinta Senese
Cinta Se­ne­se (foto Mario Gian­no­ne)

Tra le par­ti­co­la­ri­tà ana­to­mo-fi­sio­lo­gi­che è nor­ma­le con­si­de­ra­re in primo luogo la pelle che è re­la­ti­va­men­te spes­sa e l’e­pi­der­mi­de (co­ti­ca) la quale, per la ri­le­van­te ri­du­zio­ne del si­ste­ma pi­li­fe­ro e per le con­nes­sio­ni con il tipo co­sti­tu­zio­na­le della spe­cie, è no­te­vol­men­te spes­sa e co­ria­cea.
I peli, chia­ma­ti se­to­le, sono re­si­sten­ti e ri­gi­di. Non sono uni­for­me­men­te spar­si e fitti su tutto il corpo. Pre­sen­ta­no, so­prat­tut­to nelle razze pri­mi­ti­ve, un re­la­ti­vo mag­gior ad­den­sa­men­to lungo la linea dor­so-lom­ba­re (linea spar­ta), altre razze, anche sto­ri­che, ri­sul­ta­no prive di se­to­le come la Ca­ser­ta­na che come se­con­do nome ha ap­pun­to quel­lo di Pe­la­tel­la. Quan­do il suino è ir­ri­ta­to le se­to­le della zona dor­so-lom­ba­re ven­go­no riz­za­te in modo ti­pi­co, que­sto com­por­ta­men­to è ca­rat­te­ri­sti­co del Nero Si­ci­lia­no, ma allo stes­so tempo di tutti i cin­ghia­li. Solo la razza un­ghe­re­se Mon­go­li­tza e poche altre ec­ce­zio­ni, hanno una co­per­tu­ra così este­sa da es­se­re pa­ra­go­na­bi­li al manto degli altri mam­mi­fe­ri. Una volta i suini al­le­va­ti erano ri­go­ro­sa­men­te “co­lo­ra­ti”, il co­lo­re o le par­ti­co­la­ri­tà, di­stin­gue­va­no le razze: si ave­va­no così suini pez­za­ti, fa­scia­ti, rossi, gri­gio ferro, grigi, mori, ma con la se­le­zio­ne e i nuovi orien­ta­men­ti pro­dut­ti­vi det­ta­ti dal­l’e­mer­gen­te al­le­va­men­to in­ten­si­vo e da un con­su­ma­to­re di­ver­so, il co­lo­re nelle razze se­le­zio­na­te è scom­par­so per ce­de­re il posto al bian­co o al bian­co ro­sa­to.
Gli arti sono for­ni­ti di quat­tro dita, di cui due ru­di­men­ta­li li­mi­ta­te al no­del­lo, for­ni­te di un­ghiel­li, e due al­l’e­stre­mi­tà di­sta­le del­l’ar­to per l’ap­pog­gio, ri­co­per­te da un­ghio­ni. Esi­sto­no ta­lu­ne razze, ma po­chis­si­me, nelle quali le due dita nor­mal­men­te sono in­ve­ce con­te­nu­te in un solo un­ghio­ne con un dito si­mi­le a quel­lo del­l’e­qui­no ri­ve­sti­to dallo zoc­co­lo. Tra que­ste, la razza ap­pun­to detta Casco de Mula della Co­lom­bia. Le co­sid­det­te razze “mi­glio­ra­te” di oggi, hanno negli arti e nel piede due punti de­bo­li, sono sem­pre più fre­quen­ti ani­ma­li con dif­fi­col­tà nel mo­vi­men­to e con do­lo­ri dif­fu­si ai le­ga­men­ti e alle ar­ti­co­la­zio­ni. Que­sto è la con­se­guen­za di una se­le­zio­ne mo­no­di­re­zio­na­le, che igno­ra equi­li­brio e pro­por­zio­ni, che pur di ac­ce­le­ra­re i tempi di cre­sci­ta mette in se­con­do piano molti, trop­pi, aspet­ti fun­zio­na­li.
Le ghian­do­le se­ba­cee sono pic­co­le, men­tre le su­do­ri­fe­re sono molto svi­lup­pa­te e par­ti­co­lar­men­te alla fac­cia me­dia­le del carpo (ghian­do­le car­pi­che), con un se­cre­to denso, di odore ca­rat­te­ri­sti­co e che si ri­tie­ne abbia anche un si­gni­fi­ca­to di ri­chia­mo ses­sua­le (fe­ror­mo­ni). Le mam­mel­le, nelle scro­fe, sono nel nu­me­ro di 5-9 per lato, di­spo­ste lungo due linee mam­ma­rie che vanno dal to­ra­ce al­l’in­gui­ne. Le mam­mel­le si svi­lup­pa­no con­si­de­re­vol­men­te a co­min­cia­re dal primo parto. Il ca­pez­zo­lo ha la som­mi­tà per­fo­ra­ta da 2-3 sboc­chi e mai da uno solo, le mam­mel­le to­ra­ci­che ri­sul­ta­no a mag­gio­re ca­pa­ci­tà lat­ti­fe­ra.
La testa ti­pi­ca a forma pi­ra­mi­da­le: qua­dran­go­la­re alla base si al­lun­ga a cono fac­cia­le per for­ma­re il gru­gno o grifo, più o meno ap­piat­ti­to an­te­ro-po­ste­rior­men­te a se­con­da del grado di “per­fe­zio­na­men­to” della razza. In rap­por­to a ciò, la linea su­pe­rio­re tra cra­nio e fac­cia, è sem­pre più o meno av­val­la­ta. Il gru­gno è so­ste­nu­to da una pe­cu­lia­re for­ma­zio­ne ossea, che lo rende ro­bu­sto e quin­di atto alla ri­cer­ca del cibo anche at­tra­ver­so lo scavo del ter­re­no (gru­fo­la­men­to). Le ver­te­bre cer­vi­ca­li sono corte e lar­ghe. Il nu­me­ro delle ver­te­bre delle altre se­zio­ni della spina dor­sa­le è re­la­ti­va­men­te su­scet­ti­bi­le a va­ria­re, con­tri­buen­do così a mo­di­fi­ca­re la lun­ghez­za del tron­co, come è av­ve­nu­to in certe razze se­le­zio­na­te (la co­sid­det­ta con­for­ma­zio­ne a “si­ga­ro o si­lu­ro”, ti­pi­ca della razza Lan­dra­ce da­ne­se): quel­le to­ra­ci­che da 14 a 15, sino a 16-17; quel­le lom­ba­ri da 5 a 7; quel­le sa­cra­li sono 4 ed il sacro è in­cur­va­to a con­ca­vi­tà cen­tra­le; quel­le cau­da­li da 16 a 21. La ri­cer­ca di suini sem­pre più lun­ghi è stato un pas­sag­gio se­let­ti­vo im­por­tan­te negli anni 70/80, oggi tali ri­sul­ta­ti sono stati con­so­li­da­ti. Il ba­ci­no è, in com­ples­so, molto ampio. La bocca pre­sen­ta una rima la­bia­le ampia, con lab­bra spes­se, di cui l’in­fe­rio­re è più pic­co­lo, ap­piat­ti­to ed al­lun­ga­to verso l’a­van­ti. La den­ti­zio­ne è ca­rat­te­riz­za­ta da un forte spes­so­re dello stra­to dello smal­to, il che fa­ci­li­ta la fran­tu­ma­zio­ne dei corpi duri.
I mo­la­ri sono qua­dri­tu­ber­co­la­ri, con au­men­to dei tu­ber­co­li stes­si nelle forme più evo­lu­te. I pre­mo­la­ri sono schiac­cia­ti e ta­glien­ti. Gli in­ci­si­vi sono di­ver­si­fi­can­ti. I pi­coz­zi ed i me­dia­ni sono ad ac­cre­sci­men­to li­mi­ta­to. I ca­ni­ni o zanne sono meno svi­lup­pa­ti nelle fem­mi­ne e nei sog­get­ti ca­stra­ti pre­co­ce­men­te. Nei verri sono ben vi­si­bi­li dal­l’e­ster­no, ri­sul­ta­no ad ac­cre­sci­men­to con­ti­nuo e sono privi di ra­di­ci.
Dal punto di vista fi­sio­lo­gi­co i suini sel­va­ti­ci o pri­mi­ti­vi, erano ca­rat­te­riz­za­ti da lenti ac­cre­sci­men­ti, con carne scura, com­pat­ta e magra. Il gras­so poco pre­sen­te, ben lo­ca­liz­za­to, con pre­va­len­za di acidi gras­si in­sa­tu­ri e poco co­le­ste­ro­lo. Si po­treb­be dire un suino per­fet­to per il con­su­ma­to­re di oggi. Il suc­ces­si­vo con­fi­na­men­to, l’a­li­men­ta­zio­ne for­za­ta, il ri­cor­so a gra­na­glie per il fi­nis­sag­gio, l’in­tro­du­zio­ne del mais, non­ché un mer­ca­to re­cet­ti­vo verso i gras­si ani­ma­li, ha de­ter­mi­na­to, nei se­co­li, la na­sci­ta di razze da ”lardo o “gras­so”. Que­sti suini inol­tre pre­sen­ta­va­no un gras­so ricco di acidi gras­si sa­tu­ri e di co­le­ste­ro­lo. Tale pro­dot­to poco ido­neo al con­su­ma­to­re at­tua­le, basti pen­sa­re alla po­po­la­zio­ne umana di oggi che ha una età sem­pre più alta, al­lo­ra ri­sul­ta­va pre­zio­so per chi do­ve­va svol­ge­re pe­san­ti la­vo­ri fi­si­ci e vi­ve­re in case ap­pe­na ri­scal­da­te. Anche oggi da que­sti suini si ot­ten­go­no gli in­sac­ca­ti più pre­li­ba­ti e de­ci­sa­men­te più sta­bi­li ad una sta­gio­na­tu­ra na­tu­ra­le senza an­ti­os­si­dan­ti ag­giun­ti, pro­prio per­ché l’a­ci­do gras­so sa­tu­ro op­po­ne una va­li­da re­si­sten­za ai pro­ces­si di os­si­da­zio­ne e di ir­ran­ci­di­men­to. Il ri­tor­no delle no­stre razze na­zio­na­li, con ca­pa­ci­tà adi­po­ge­ne­ti­ca spin­ta, in­fat­ti ha un senso mag­gio­re nella fi­lie­ra del bio­lo­g­i­co e dei mer­ca­ti di nic­chia di qua­li­tà.
Solo in que­sti ul­ti­mi de­cen­ni le cose sono mu­ta­te anche ra­di­cal­men­te. Il con­su­ma­to­re ha cam­bia­to vita, ha ri­dot­to dra­sti­ca­men­te l’as­sun­zio­ne di ener­gia, so­prat­tut­to di ori­gi­ne ani­ma­le. La se­le­zio­ne si è in­di­riz­za­ta pron­ta­men­te verso suini più magri, do­ta­ti di ra­pi­do svi­lup­po, con ec­cel­len­ti in­di­ci di con­ver­sio­ne ali­men­ta­re, ma con carni meno sa­pi­de e ma­tu­re. Cam­bia­no le tec­ni­che di al­le­va­men­to che di­ven­ta­no pra­ti­che in­du­stria­li, il suino co­min­cia a sof­fri­re di tec­ni­co­pa­to­lo­gie prima sco­no­sciu­te: com­pa­re la PSE (Pal­li­do, sof­fi­ce es­su­da­ti­vo, ri­fe­ri­to al tra­sfor­ma­to), le carni acide e la PSS (sin­dro­me da stress dei suini). Mi­glio­ra­no le con­di­zio­ni igie­ni­che, ma peg­gio­ra la si­cu­rez­za ali­men­ta­re le­ga­ta al­l’u­so di prin­ci­pi au­xi­ni­ci e pro­mo­to­ri di cre­sci­ta. Mi­glio­ra­no le mo­da­li­tà di ma­cel­la­zio­ne, la­vo­ra­zio­ne e sta­gio­na­tu­ra degli in­sac­ca­ti e pro­sciut­ti, ma cam­bia il sa­po­re del pro­dot­to fi­ni­to. Si crea­no mo­der­ni mo­del­li di al­le­va­men­to, senza terra, con forte ac­cen­tra­men­to di ani­ma­li ri­cor­ren­do pe­san­te­men­te al fi­nan­zia­men­to pub­bli­co e de­va­stan­do fiumi e coste  e la qua­li­tà della vita delle po­po­la­zio­ni re­si­den­ti nelle aree li­mi­tro­fe agli al­le­va­men­ti. Si ab­ban­do­na­no le aree da sem­pre va­lo­riz­za­te nel modo mi­glio­re dai no­stri suini, zone ric­che di pian­te ar­bo­ree ap­par­te­nen­ti al ge­ne­re Quer­cus, fag­gio e ca­sta­gno che ge­ne­ro­sa­men­te pro­du­co­no im­men­se quan­ti­tà di frut­ti che come ben sap­pia­mo pos­so­no es­se­re con­ver­ti­ti, dai no­stri ma­ia­li, in no­bi­li pro­tei­ne. Si tra­scu­ra­no, per­ché de­fi­ni­te mar­gi­na­li vaste aree del Paese, per pro­dur­re in­ve­ce in poche zone d’I­ta­lia, un pro­dot­to di massa e per il be­ne­fi­cio di pochi.
Come siamo ar­ri­va­ti a que­sto? E’ solo nel 18° se­co­lo che ini­zia que­sta sto­ria e solo in al­cu­ne zone. L’al­le­va­men­to del suino la­scia il bosco e la fat­to­ria, per con­cen­trar­si in gros­si com­ples­si pros­si­mi ai cen­tri ur­ba­ni. I suini sono de­sti­na­ti poi alle vi­ci­ne città che sotto le prime spin­te, con­nes­se al pro­ces­so in­du­stria­le co­min­cia­no a cre­sce­re; cre­sco­no nelle di­men­sio­ni e nei bi­so­gni. L’in­du­stria­liz­za­zio­ne porta poi anche alla na­sci­ta di in­du­strie agroa­li­men­ta­ri e tra que­ste pri­meg­gia­no per in­te­res­se i gran­di ca­sei­fi­ci, i quali si tro­va­no nel bi­so­gno di smal­ti­re in­gen­ti quan­ti­tà di siero, lat­ti­cel­lo e altri in­gom­bran­ti sot­to­pro­dot­ti della ca­sei­fi­ca­zio­ne. Tutto que­sto viene ca­na­liz­za­to verso un na­scen­te al­le­va­men­to suino spes­so a ciclo aper­to con in­te­res­san­ti pro­spet­ti­ve com­mer­cia­li. Da qui il passo al­l’al­le­va­men­to in­du­stria­le in­ten­si­vo è breve. Na­sco­no  real­tà a ciclo chiu­so, cre­sce la pro­fes­sio­na­li­tà di chi opera in que­sti set­to­ri, si svi­lup­pa un in­dot­to enor­me con­nes­so alle strut­tu­re, ai man­gi­mi e ai me­di­ci­na­li. La qua­li­tà, con­cet­to dif­fi­ci­le da sta­bi­li­re, si uni­for­ma e si ap­piat­ti­sce il gusto, ma viene con­ces­so ad un nu­me­ro sem­pre più ampio di con­su­ma­to­ri di por­ta­re la carne sulla pro­pria mensa a costi de­ci­sa­men­te meno proi­bi­ti­vi: “un bel suc­ces­so sul piano so­cia­le”.

 Verro di razza Landrace italiana
Verro di razza Lan­dra­ce ita­lia­na (foto www.​agraria.​org)

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“L’al­le­va­men­to bio­lo­g­i­co del suino”
Mario Gian­no­ne – Eda­gri­co­le

Le prin­ci­pa­li fonti di con­sul­ta­zio­ne sono state:
– “Et­no­lo­gia Zoo­tec­ni­ca” UTET, di Te­le­sfo­ro Bo­na­don­na,
– “L’al­le­va­men­to bio­lo­g­i­co del suino” Eda­gri­co­le, di Mario Gian­no­ne
– Razze au­toc­to­ne alla ri­scos­sa di M. Gian­no­ne, Ri­vi­sta di sui­ni­col­tu­ra n.4 2002
– Dos­sier: Le re­go­le d’oro per pro­dur­re il suino bio, Ri­vi­sta di sui­ni­col­tu­ra n.11, 2000 – M. Gian­no­ne
– La fi­lie­ra del bio­lo­g­i­co è una real­tà, Ri­vi­sta di Sui­ni­col­tu­ra n.12, 2000 M. Gian­no­ne

Mario Gian­no­ne è lau­rea­to in Scien­ze Agra­rie al­l’U­ni­ver­si­tà di Fi­ren­ze. In­se­gnan­te di zoo­tec­nia al­l’I­sti­tu­to Tec­ni­co Agra­rio di Fi­ren­ze, pre­sta la sua opera di as­si­sten­za tec­ni­ca spe­cia­li­sti­ca pres­so Enti re­gio­na­li, Par­chi e As­so­cia­zio­ni. E’ au­to­re del libro “L’al­le­va­men­to bio­lo­g­i­co del suino” edito da Eda­gri­co­le-So­le 24 ore. Cur­ri­cu­lum vitae >>>

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