Alla scoperta dei vitigni rari in Provincia di Cuneo:
il Centro per le Rarità Ampelografiche “Giuseppe di Rovasenda” e la difesa delle biodiversità
Il taglio del nastro
Giovedì 25 gennaio 2007, il tanto atteso taglio del nastro: alle 9.30 presso la Castiglia di Saluzzo (CN), è stato inaugurato il Centro per le Rarità Ampelografiche Cuneesi “Giuseppe di Rovasenda”, un’istituzione innovativa che nasce dalla concertazione delle Istituzioni e dal sostegno comune di numerosi enti (Regione Piemonte, Provincia di Cuneo, Città di Saluzzo, Distretto dei Vini Langhe Roero e Monferrato, Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, Coldiretti Cuneo, Consorzio di Tutela Vini DOC Colline Saluzzesi), per la salvaguardia delle nicchie ampelografiche che persistono nel Saluzzese e dei vitigni rari e poco valorizzati presenti in Provincia di Cuneo.
Negli ultimi anni, in Italia, l’attenzione dedicata ai vitigni autoctoni è cresciuta in modo esponenziale, non solo da parte del mondo scientifico-giornalistico, ma anche delle istituzioni stesse. Un fenomeno che ormai si identifica con una tendenza consolidata a riscoprire i legami tra vino e territorio, quest’ultimo inteso non solo in senso morfologico, ma come complesso sistema di tradizioni e peculiarità socio-culturali.
Pertanto, la creazione di una simile istituzione non può che leggersi come un atto finalmente concreto per rendere tangibile tale tendenza e sostenere la ricerca scientifica che i numerosi ampelografi, virologi ed enologi portano avanti da tempo – spesso senza l’opportunità di presentare i propri studi ad un pubblico di produttori, tecnici e appassionati.
Posto su un palcoscenico di eccezionale valore storico – il Castello dei Marchesi di Saluzzo (la Castiglia), imponente fortezza medievale che diventerà a breve una struttura polifunzionale di eccezionale valenza culturale – il Centro per le Rarità Ampelografiche Cuneesi rappresenta quindi una sede istituzionale e un punto di riferimento per la divulgazione dei risultati in campo ampelografico e la difesa della cultura della biodiversità propria della viticoltura cuneese.
Il Piemonte, e il Cuneese in particolare, godono di una straordinaria fama dal punto di vista vitivinicolo, grazie ai propri grandi vitigni autoctoni alla base di vini ormai celebri in tutto il mondo (un esempio per tutti: i vini DOCG a base Nebbiolo: Barolo, Barbaresco e Roero). Esiste però, in aree marginali della Provincia, un enorme potenziale, concentrato in vitigni talora a rischio di sopravvivenza, che la tenacia di pochi viticoltori ha conservato dall’estinzione: un vero e proprio patrimonio che è anche eredità storico-culturale di un territorio.
La scelta di stabilire a Saluzzo la sede di un’istituzione come il Centro è dunque legata ad un’alta concentrazione di rarità ampelografiche che si è conservata nei vigneti delle valli intorno alla cittadina marchionale, come testimoniato delle schede redatte per la Regione Piemonte a cura degli ampelografi dell’I.V.V. di Grugliasco (TO), tra cui la Dr.ssa Schneider e il Prof. Novello – che hanno tra l’altro curato due interventi durante la giornata di studio che ha inaugurato il Centro, il 25 gennaio.
Il successo commerciale di un’azienda vitivinicola si accompagna, in molti casi, ad una massiccia espansione dei vigneti e ad una loro parziale o totale ristrutturazione, a favore di una presenza pressoché egemonica delle varietà apprezzate dai consumatori. Questa tendenza ha determinato una contrazione del numero di cultivar presenti nei vigneti, come in Langa e in Monferrato: un fenomeno sconosciuto nel Saluzzese e in altre aree marginali e montane della provincia, ove viceversa le vigne si sono mantenute estremamente variegate sotto il profilo delle cultivar presenti. Il modello che il Centro intende sostenere si basa quindi su uno sviluppo sostenibile e rispettoso della biodiversità: l’unica vera chiave per la sopravvivenza della viticoltura, poiché la diversificazione delle varietà rappresenta il serbatoio di risorse e soluzioni necessarie ad affrontare e vincere le sfide future, in particolare quelle rappresentate da vecchie e nuove patologie.
I relatori all’inaugurazione del Centro “Giuseppe di Rovasenda”
Principi che sono stati ampiamente confermati e avvalorati dalle relazioni presentate durante il già citato convegno del 25 gennaio, dal titolo La viticoltura cuneese alla ricerca delle proprie radici: ipotesi di recupero di antiche varietà e moderato da Franco Ziliani, durante il quale sono intervenuti alcuni tra i maggiori ampelografi, agronomi e virologi del mondo accademico e giornalistico: Mario Fregoni (Università del Sacro Cuore di Piacenza), Anna Schneider (I.V.V. – CNR, Unità di Grugliasco – TO), Vittorino Novello (Università di Torino), Maurizio Gily, (agronomo e direttore del mensile Millevigne) e Livio Berardo (Istituto Storico della Resistenza di Cuneo), esperto in storia contemporanea del Cuneese.
Dagli studi riportati, è inoltre emerso che “vecchi, antichi vitigni ormai dimenticati, li abbiamo recuperati nei dintorni di Mondovì, di Cuneo, in Valle Stura, in Val Maira, dove i vigneti sono ormai praticamente scomparsi […] Nel prezioso censimento ampelografico di fine ‘800 e nelle ricerche condotte all’epoca, cui tanto contribuì il conte Giuseppe di Rovasenda, in provincia di Cuneo si trovava traccia di 150 varietà di vite circa, di cui una sessantina nel solo Saluzzese. Proprio nel circondario di Saluzzo, le cultivar più diffuse erano le locali Neiretta, Tadone, Pelaverga, Montanera, Nebbiolo di Dronero, Bubbia, Bibbiola. Solo in tempi più recenti – scriveva allora Di Rovasenda – erano state introdotte Barbera, Bonarda, Freisa, Dolcetto. Un assortimento varietale, quello originario, alquanto particolare e localmente ben caratterizzato” (Anna Schneider).
Inoltre, il recupero di vecchi vitigni si oppone con forza a quella “teoria piuttosto diffusa, secondo la quale la viticoltura si è trasferita nelle zone più vocate abbandonando quelle che lo erano di meno. Ma come tutte le teorie semplificatorie, essa è in parte corretta, ed in buona parte errata.
In verità tra le valli alpine e prealpine si nascondono alcuni straordinari terroir: lo dimostrano la Val d’Aosta, la Valtellina, le Valli dell’Adige e dell’Isarco, etc.” (Maurizio Gily).
In conclusione, la riscoperta e la valorizzazione delle cultivar rare deve continuare in questa direzione, non solo per “aprire nuovi capitoli” nella viticoltura, ma anche perché, come già aveva teorizzato Di Rovasenda, la ricerca dei vitigni rari e poco sfruttati è uno strumento indispensabile per individuare le difese fitosanitarie contro i patogeni che persistono oggi e che potranno comparire in futuro: “Mentre preparava il suo saggio [Saggio di Ampelografia Universale – 1877], Di Rovasenda pensò infatti che esso potesse costituire uno strumento per la difesa dall’infezione fillosserica, sia in senso archeologico – perché avrebbe documentato l’esistenza di vitigni cancellati dall’assalto – sia in senso fitosanitario – perché avrebbe aiutato a individuare le difese” (Livio Berardo).
Inaugurazione del Centro “Giuseppe di Rovasenda”
LiberLab (Savigliano – CN)
Centro per le Rarità Ampelografiche Cuneesi “Giuseppe di Rovasenda” – Castiglia di Saluzzo (CN).