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di Mas­si­mo Mad­da­lo­ni

Pro­lo­go

Nel corso del tempo le linee guida per l’al­le­va­men­to delle api si sono con­so­li­da­te in un ca­no­ne di re­go­le che hanno ben ser­vi­to gli api­col­to­ri per molte ge­ne­ra­zio­ni. Negli ul­ti­mi de­cen­ni, tut­ta­via, sono in­ter­ve­nu­ti dei cam­bia­men­ti glo­ba­li che hanno reso ob­so­le­ta se non pro­pria­men­te dan­no­sa una larga parte del ca­no­ne dot­tri­na­le. Al­cu­ni api­col­to­ri più di altri per­se­guo­no stra­de ra­di­cal­men­te di­ver­se ac­cet­tan­do mag­gior la­vo­ro ed un minor rac­col­to di miele in cam­bio di una mi­glior qua­li­tà di vita negli al­vea­ri. Le nuove linee guida co­sti­tui­sco­no l’api­col­tu­ra ere­ti­ca che al­cu­ni api­col­to­ri pra­ti­ca­no aper­ta­men­te, altri di na­sco­sto, vuoi per­ché non vo­glio­no bi­stic­cia­re vuoi per­ché pen­sa­no che essa con­fe­ri­sca van­tag­gi nei con­fron­ti della con­cor­ren­za. Altri an­co­ra si stan­no con­ver­ten­do alla spic­cio­la­ta ed alla che­ti­chel­la.

fiore api apicolturaFig. 1. Al­cu­ni di noi non hanno in­te­res­se a la­vo­ra­re con ceppi puri so­prat­tut­to se dob­bia­mo la­vo­ra­re in am­bien­ti estre­mi. Que­ste api bot­ti­na­no su un fiore di hol­ly­hock du­ran­te la breve sta­gio­ne delle Rocky Moun­tains. Sono stan­zia­te a 1500 metri. Da no­vem­bre ad apri­le stan­no sotto la neve a 20-30 sotto zero e da apri­le a giu­gno può ne­vi­ca­re in ogni mo­men­to.

Il pro­ble­ma

Dalle Terre del Sol Le­van­te alle pio­vo­se spiag­ge del­l’O­re­gon pas­san­do dalle Az­zor­re, e dai fior­di nor­ve­ge­si alle ge­li­de lande del Capo Horn at­tra­ver­so i Tro­pi­ci e l’E­qua­to­re le co­lo­nie di api spa­ri­sco­no a cen­ti­na­ia di mi­glia­ia ogni anno. Le cause e con­cau­se di que­sta eca­tom­be sono mol­te­pli­ci, in­ter­con­nes­se e non sono an­co­ra state chia­ri­te. Il fe­no­me­no è stato de­fi­ni­to Sin­dro­me da Spo­po­la­men­to degli Al­vea­ri (SSA) più noto con il nome in­gle­se di Co­lo­ny Col­lap­se Di­sor­der (CCD). L’ unica so­li­da con­clu­sio­ne che al mo­men­to la scien­za uf­fi­cia­le è stata ca­pa­ce di pro­dur­re è che … non si ca­pi­sce il per­ché di que­sto fe­no­me­no. Nei rap­por­ti della scien­za uf­fi­cia­le, che l’ au­to­re co­no­sce ap­pro­fon­di­ta­men­te, si no­ta­no chia­ris­si­mi segni di lob­by­ing e ostra­ci­smo che i vari grup­pi eser­ci­ta­no nei con­fron­ti di teo­rie e dati ge­ne­ra­ti dai grup­pi con­cor­ren­ti. Per come il si­ste­ma scien­ti­fi­co glo­ba­liz­za­to è or­ga­niz­za­to, di­ven­ta estre­ma­men­te dif­fi­ci­le ot­te­ne­re fi­nan­zia­men­ti e pro­dur­re pub­bli­ca­zio­ni, so­prat­tut­to quel­le che va­da­no con­tro i ca­no­ni co­mu­ne­men­te ac­cet­ta­ti. In api­col­tu­ra ere­ti­ca, che non si basa ne­ces­sa­ria­men­te su espe­ri­men­ti a bloc­chi ran­do­miz­za­ti, dati ana­liz­za­ti sta­ti­sti­ca­men­te, peer re­view etc. etc … la spie­ga­zio­ne è molto più chia­ra. Nel corso degli ul­ti­mi de­cen­ni è in­ter­ve­nu­ta una serie di cam­bia­men­ti che, sin­go­lar­men­te, po­te­va­no es­se­re sop­por­ta­ti dal ma­croor­ga­ni­smo al­vea­re ma che nel loro com­ples­so hanno por­ta­to al suo col­las­so. Il primo e pro­ba­bil­men­te il più de­va­stan­te di co­de­sti cam­bia­men­ti è la mo­vi­men­ta­zio­ne in­con­trol­la­ta delle merci: stia­mo tra­spor­tan­do at­tra­ver­so il globo ter­rac­queo pa­to­ge­ni e pa­ras­si­ti più ra­pi­da­men­te di quan­to le api rie­sca­no a svi­lup­pa­re re­si­sten­za e tol­le­ran­za. L’e­sem­pio pre­cla­ro è l’a­ca­ro Var­roa de­struc­tor, co­mu­ne­men­te chia­ma­ta var­roa che in pochi de­cen­ni si è spar­so ai quat­tro an­go­li della Terra. La var­roa era un pa­ras­si­ta re­la­ti­va­men­te in­no­cuo con­fi­na­to all’Apis ce­ra­na con la quale nel corso del­l’e­vo­lu­zio­ne aveva sta­bi­li­to un modus vi­ven­di mu­tual­men­te ac­cet­ta­bi­le. La co­lo­niz­za­zio­ne dell’Apis mel­li­fe­ra da parte della var­roa, pre­su­mi­bil­men­te cau­sa­ta dall’ in­ser­zio­ne di al­vea­ri di Apis mel­li­fe­ra nell’ area­le di Apis ce­ra­na, ha crea­to nuove op­por­tu­ni­tà pro­prio per la var­roa. La vi­ru­len­za della var­roa nei con­fron­ti dell’Apis mel­li­fe­ra de­no­ta i ti­pi­ci segni di una co­lo­niz­za­zio­ne re­cen­te. E’ in­fat­ti noto che con il tempo ogni pre­da­to­re, se non si vo­glia estin­gue­re, si adat­ta per non ster­mi­na­re i pro­pri ospi­ti (que­sto con­cet­to sem­bra non es­se­re chia­ro all’Homo sa­piens sa­piens … ma non di­va­ghia­mo). Un’al­tra evi­den­za cir­co­stan­zia­le in tal senso è la con­si­de­ra­zio­ne che Apis mel­li­fe­ra cau­ca­si­ca (l’ape russa), ve­nu­ta a con­tat­to con la var­roa circa 200 anni prima di altre sot­to­spe­cie di api, pos­sie­de una di­scre­ta tol­le­ran­za. Ana­lo­go di­scor­so sulla glo­ba­liz­za­zio­ne dei tra­spor­ti vale per una ple­to­ra di virus delle api che si tro­va­no sotto forma di qua­si­spe­cie at­tra­ver­so il Globo. Stan­te che né la var­roa, né i virus, né la Vespa ve­lu­ti­na etc, etc. com­pe­ra­no bi­gliet­ti di aerei e navi, l’ unica con­clu­sio­ne lo­gi­ca è che siano stati spar­si dalle at­ti­vi­tà an­tro­pi­che di tra­spor­to.

C’è un buon ac­cor­do che al mo­men­to at­tua­le una delle cause più gravi della scom­par­sa delle api sia pro­prio la var­roa che, oltre ad in­de­bo­li­re le api, tra­smet­te tutta una serie di virus. Ob­be­den­do alla lo­gi­ca del­l’in­du­stria agro­far­ma­ceu­ti­ca, gli api­col­to­ri, an­zi­ché ini­zia­re pro­gram­mi di se­le­zio­ne, si sono af­fi­da­ti al­l’u­ti­liz­zo di aca­ri­ci­di chi­mi­ci di sin­te­si. Tali aca­ri­ci­di, oltre ad es­se­re tos­si­ci anche per le api, nel corso dei de­cen­ni sono di­ven­ta­ti inef­fi­ca­ci per­ché la var­roa, come era pre­ve­di­bi­le, ha svi­lup­pa­to re­si­sten­za. Al­cu­ni aca­ri­ci­di sono stati messi fuo­ri­leg­ge per­ché tos­si­ci o te­ra­to­ge­ni. Dati re­cen­tis­si­mi in­di­ca­no che la var­roa po­treb­be di­ven­ta­re re­si­sten­te anche al­l’a­ci­do os­sa­li­co tra­mi­te l’ac­qui­si­zio­ne di una spe­ci­fi­ca mi­cro­flo­ra in grado di me­ta­bo­liz­za­re tale com­po­sto. In altre pa­ro­le nel corso degli ul­ti­mi de­cen­ni ab­bia­mo ef­fi­cien­te­men­te se­le­zio­na­to api sem­pre più de­bo­li e bi­so­gno­se di trat­ta­men­ti, e var­roe sem­pre più re­si­sten­ti ed ag­gres­si­ve (si fa fa­ti­ca a ca­pi­re ma è pro­prio così). La pa­ven­ta­ta estin­zio­ne della api cau­sa­ta da un man­ca­to uso di aca­ri­ci­di è smen­ti­ta sia da fatti aned­do­ti­ci, che dati della scien­za uf­fi­cia­le, non­ché dalla pra­ti­ca ere­ti­ca. E’ in­fat­ti stato di­mo­stra­to che lo 0-5% delle co­lo­nie so­prav­vi­ve alla var­roa in as­sen­za to­ta­le di trat­ta­men­ti chi­mi­ci. Que­sto è stato ve­ri­fi­ca­to da cen­ti­na­ia di api­col­to­ri ere­ti­ci e ri­por­ta­to anche dalla scien­za uf­fi­cia­le re­la­ti­va­men­te alle co­lo­nie fe­ra­li so­prav­vis­su­te in Ca­li­for­nia allo stato sel­va­ti­co. Anche l’Apis mel­li­fe­ra si­cu­la fu uf­fi­cial­men­te re­cu­pe­ra­ta da co­lo­nie in­sel­va­ti­chi­te e quin­di non sog­get­te a trat­ta­men­ti. Per fi­ni­re l’U­SDA ha av­via­to un pro­gram­ma di mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co ba­sa­to sulle api russe le quali, come ac­cen­na­to in pre­ce­den­za, pre­sen­ta­no una serie di mec­ca­ni­smi ge­ne­ti­ci spe­ci­fi­ci di tol­le­ran­za, al­cu­ni dei quali sono co­di­fi­ca­ti da geni che stati map­pa­ti sui cro­mo­so­mi. La moria glo­ba­le di api ha cau­sa­to un’ au­men­to della do­man­da di nu­clei a basso costo, la quale do­man­da è stata lar­ga­men­te sod­di­sfat­ta ab­bas­san­do i costi di pro­du­zio­ne ma so­prat­tut­to im­por­tan­do cen­ti­na­ia di mi­glia­ia di co­lo­nie da Paesi nei quali gli stan­dard sa­ni­ta­ri sono per lo meno di­scu­ti­bi­li ed i con­trol­li sa­ni­ta­ri ine­si­sten­ti. So­prat­tut­to du­ran­te un’e­pi­de­mia nes­su­no si so­gne­reb­be mai di im­por­ta­re in Ita­lia mi­glia­ia di vac­che non qua­ran­te­na­te ed a mag­gior ra­gio­ne da un Paese ex­tra­co­mu­ni­ta­rio. Per qual­che ra­gio­ne che non si com­pren­de fa­cil­men­te la stes­sa lo­gi­ca non si ap­pli­ca alle api. Anche la do­man­da di re­gi­ne è au­men­ta­ta di pari passo ed è stata sod­di­sfat­ta tra­mi­te le stes­se stra­te­gie. A parte i pro­ble­mi sa­ni­ta­ri, il costo di pro­du­zio­ne delle re­gi­ne può es­se­re ab­bat­tu­to dell’ 80-90% ri­cor­ren­do a stra­ta­gem­mi che pro­du­co­no re­gi­ne de­bo­li e poco fer­ti­li. Oggi una re­gi­na che duri un’ in­te­ra sta­gio­ne e tra­ghet­ti la fa­mi­glia at­tra­ver­so l’ in­ver­no è con­si­de­ra­ta buona. Fino a qual­che de­cen­nio fa le re­gi­ne re­sta­va­no pro­dut­ti­ve (a li­vel­lo ama­to­ria­le) per 2, 3 anni ed oltre. Inol­tre nella pro­du­zio­ne delle re­gi­ne do­vreb­be­ro es­se­re in­clu­si piani di in­cro­ci che da un lato pre­ser­vi­no la pu­rez­za dei ceppi, ma dal­l’al­tro evi­ti­no l’in­bree­ding (con­san­gui­nei­tà). Que­sto con­cet­to non è chia­ro alla mag­gior parte degli api­col­to­ri ma è chia­ris­si­mo a co­lo­ro che com­mer­cia­liz­za­no i ri­pro­dut­to­ri di tutte le altre razze da red­di­to per le quali ven­go­no in­fat­ti sti­la­ti ed uti­liz­za­ti i pe­di­gree. Oggi sono di­spo­ni­bi­li ceppi di api cer­ti­fi­ca­ti “puri” ma privi di va­lu­ta­zio­ne sul­l’in­bree­ding. “Pu­rez­za” ed “in­bree­ding” vanno di pari passo: più un ma­te­ria­le è ge­ne­ti­ca­men­te puro e mag­gio­re è l’in­bree­ding e da que­sto di­lem­ma non esi­ste via di usci­ta. Il punto di equi­li­brio tra pu­rez­za ac­cet­ta­bi­le ed ec­ces­si­va con­san­gui­nei­tà è un pa­ra­me­tro di­scu­ti­bi­le ma si­cu­ra­men­te da va­lu­ta­re. Senza en­tra­re in det­ta­gli tec­ni­ci, l’ in­cro­cio tra le re­gi­ne ed i fuchi figli, il me­to­do prin­ci­pe di pro­du­zio­ne dei nuovi stock, è in as­so­lu­to il me­to­do peg­gio­re per evi­ta­re l’in­bree­ding. Quan­do si paga una re­gi­na 10-20 euro si ot­tie­ne una re­gi­na che vale … 10-20 euro. Una re­gi­na bree­der costa 200-250 euro. D’ altro canto chi può per­met­ter­si una re­gi­na da 200 euro quan­do gli al­vea­ri sono fla­gel­la­ti da Morte e Pe­sti­len­za per cui di re­gi­ne ne de­vo­no com­pe­ra­re molte e le re­gi­ne bree­der hanno serie pro­ba­bi­li­tà di non so­prav­vi­ve­re at­tra­ver­so la prima sta­gio­ne? Non si può con­clu­de­re que­sta se­zio­ne senza par­la­re delle pra­ti­che agri­col­tu­ra­li per­ché, se le cause della CCD e sin­dro­mi as­so­cia­te sono mul­ti­fat­to­ria­li, l’ agri­col­tu­ra con­tri­bui­sce senza dub­bio alla spa­ri­zio­ne delle api prin­ci­pal­men­te in due modi. Da un lato l’ ado­zio­ne di mo­no­col­tu­re ef­fi­cien­te­men­te di­ser­ba­te su lar­ghe fra­zio­ni di ter­ri­to­rio crea dei de­ser­ti ali­men­ta­ri in cui le api non rie­sco­no a nu­trir­si se non per pe­rio­di molto brevi. Dal­l’al­tro lato è su­ben­tra­to l’ uti­liz­zo di sub­do­li in­set­ti­ci­di si­ste­mi­ci, molti dei quali hanno ef­fet­ti sub-le­ta­li le cui ci­ne­ti­che ven­go­no spie­ta­ta­men­te sfrut­ta­te dal­l’in­du­stria agro­far­ma­ceu­ti­ca per con­tra­star­ne la messa al bando. Sui neo­ni­co­ti­noi­di ed af­fi­ni sono state scrit­te mi­lio­ni di pa­gi­ne e non c’è bi­so­gno di ela­bo­ra­re ul­te­rior­men­te.

La so­lu­zio­ne

La so­lu­zio­ne, anzi le so­lu­zio­ni, a que­sti pro­ble­mi non pos­so­no che es­se­re mol­te­pli­ci e glo­ba­li. Molte di que­ste so­lu­zio­ni sono già state adot­ta­te dagli api­col­to­ri ere­ti­ci ed ormai anche al­cu­ni api­col­to­ri della dot­tri­na le stan­no pro­gres­si­va­men­te adot­tan­do.

  • Oc­cor­re con­tra­sta­re lo spar­gi­men­to di pa­to­ge­ni e pa­ras­si­ti evi­tan­do di im­por­ta­re stock senza i do­vu­ti con­trol­li che nel caso delle api sa­reb­be­ro co­mun­que molto dif­fi­ci­li da at­tua­re. Ov­ve­ro gli api­col­to­ri do­vreb­be­ro uti­liz­za­re prin­ci­pal­men­te ma­te­ria­li re­pe­ri­ti sul ter­ri­to­rio. E’ ne­ces­sa­ria inol­tre una linea di con­trol­lo sul­l’ef­fet­ti­va ca­pa­ci­tà di un api­col­to­re di te­ne­re le api in ma­nie­ra sa­ni­ta­ria­men­te ac­cet­ta­bi­le. Se ad un al­le­va­to­re di pe­co­re muo­io­no 20 ani­ma­li i ser­vi­zi ve­te­ri­na­ri un’ oc­chia­ti­na vanno a darla, e ma­ga­ri chiu­do­no l’ al­le­va­men­to ed ab­bat­to­no gli ani­ma­li re­stan­ti. Per­ché le stes­se re­go­le non val­go­no per le api?
  • Con l’au­men­to delle per­di­te e quin­di della do­man­da, si è avuto un au­men­to ver­ti­gi­no­so dei costi dei nu­clei. Que­sto rende gli api­col­to­ri sem­pre più ri­lut­tan­ti ad eli­mi­na­re i ma­te­ria­li de­bo­li, in­fet­ti e mo­ri­bon­di. Vi­ce­ver­sa è ne­ces­sa­rio co­min­cia­re ad ap­pli­ca­re una pro­gres­si­va se­le­zio­ne dei ceppi ed in­ter­rom­pe­re il ciclo vi­zio­so delle cure chi­mi­che. Que­sto “dente ca­ria­to” non mi­glio­re­rà di si­cu­ro con il tempo.
  • Al­cu­ne pra­ti­che api­col­tu­ra­li, che ai vec­chi tempi erano per­fet­ta­men­te ac­cet­ta­bi­li, ormai sono ob­so­le­te o dan­no­se. Per esem­pio il miele ha un pH 3-4 e con­tie­ne prin­ci­pal­men­te zuc­che­ri ma anche vi­ta­mi­ne, pro­tei­ne e sali mi­ne­ra­li. Lo sci­rop­po in­ve­ce con­tie­ne solo zuc­che­ro ed ha un pH 6.5 il che si tra­du­ce in una dif­fe­ren­za di aci­di­tà di 100-1000 volte per­chè il pH è una scala lo­ga­rit­mi­ca in base 10. Da de­cen­ni è stato pro­po­sto che lo sci­rop­po in­de­bo­li­sce il si­ste­ma im­mu­ni­ta­rio delle api e, detto per in­ci­so, que­sto con­cet­to è stato ve­ri­fi­ca­to anche dalla scien­za uf­fi­cia­le. La co­sti­tu­zio­ne di nu­tri­men­ti più sa­lu­bri per le api non ha mai ri­ce­vu­to un’ ade­gua­ta at­ten­zio­ne e la sem­pli­ce ag­giun­ta di fonti pro­tei­che deve es­se­re va­lu­ta­ta con at­ten­zio­ne sulla base del­l’e­spe­rien­za pra­ti­ca non­chè alla luce di re­cen­tis­si­mi la­vo­ri scien­ti­fi­ci nel cui det­ta­glio per bre­vi­tà non en­tre­re­mo. Per se­co­li la scia­ma­tu­ra è stata “se­le­zio­na­ta con­tro” per­ché tutti vo­glio­no te­ner­si tutte le api. Tut­ta­via la scia­ma­tu­ra an­dreb­be ri­con­si­de­ra­ta in ter­mi­ni sa­lu­ti­sti­ci per­ché in­ter­rom­pe il ciclo ri­pro­dut­ti­vo di pa­ras­si­ti e pa­to­ge­ni crean­do un am­bien­te più sa­lu­bre (in­fat­ti quasi chiun­que rie­sce a man­te­ne­re vive le pro­prie fa­mi­glie du­ran­te il primo anno di at­ti­vi­tà). Inol­tre in­ter­rom­pe­re il ciclo di co­va­ta ad ago­sto per con­sen­ti­re il trat­ta­men­to an­ti­var­roa non è equi­va­len­te a la­sciar scia­ma­re le fa­mi­glie in pri­ma­ve­ra e le ra­gio­ni di que­sta con­si­de­ra­zio­ne sono mol­te­pli­ci, in­clu­so la qua­li­tà del cibo re­pe­ri­bi­le ed i fuchi fer­ti­li. Anche il me­to­do di in­ter­ru­zio­ne della co­va­ta ha la sua in­fluen­za se­con­do gli api­col­to­ri ere­ti­ci che pre­fe­ri­sco­no di gran lunga l’ in­gab­bio su favo alla clau­su­ra nelle gab­biet­te. La man­ca­ta ca­pa­ci­tà di una fa­mi­glia di farsi una re­gi­na a tempo de­bi­to è uno dei peg­gio­ri di­fet­ti in as­so­lu­to, ma que­sto è stato fa­vo­ri­to dalla si­ste­ma­ti­ca eli­mi­na­zio­ne dei ceppi che fa­ce­va­no “trop­pe” celle reali. Anche la pro­po­liz­za­zio­ne do­vreb­be es­se­re ri­con­si­de­ra­ta. Og­gi­gior­no tutti sap­pia­mo che il pro­po­li ha pro­prie­tà an­ti­bat­te­ri­che ed an­ti­vi­ra­li: le api lo sco­pri­ro­no mi­lio­ni di anni fa. Cio­no­no­stan­te ab­bia­mo se­le­zio­na­to con­tro la pro­po­liz­za­zio­ne ma poi ci la­men­tia­mo per­chè le ma­lat­tie cau­sa­te da pa­to­ge­ni fla­gel­la­no gli al­vea­ri. Si­cu­ra­men­te il pro­po­li è una scoc­cia­tu­ra ed in­fat­ti sono allo stu­dio delle arnie che con­sen­to­no la pro­po­liz­za­zio­ne fa­ci­li­tan­do al con­tem­po le nor­ma­li ope­ra­zio­ni sulle fa­mi­glie. Diamo un’ oc­chia­ta cri­ti­ca alle arnie che ven­go­no usate più co­mu­ne­men­te: le Da­dant con nido da 10 favi. Que­ste arnie fu­ro­no messe a punto per ac­co­glie­re le fa­mi­glie di Apis mel­li­fe­ra li­gu­sti­ca le quali cre­sce­va­no in pro­por­zio­ni gar­gan­tue­sche ai bei tempi quan­do la var­roa non c’ era. Oggi con 1 o 2 bloc­chi di co­va­ta, ne­ces­sa­ri per con­te­ne­re la var­roa, le arnie Da­dant da 10 favi en­tra­no in in­ver­no es­sen­do sot­to­po­po­la­te, in­vi­tan­do tutta una serie di pro­ble­mi a cui certi al­le­va­to­ri pon­go­no par­zia­le ri­me­dio re­strin­gen­do le fa­mi­glie. Non sa­reb­be il caso di ri­con­si­de­ra­re le Lang­stro­th da 8-10 favi le quali, oltre ad es­se­re più ade­gua­ta­men­te di­men­sio­na­te, con­sen­to­no di avere le stes­se iden­ti­che casse per il nido e per il me­la­rio? Un altro fat­to­re che viene ra­ra­men­te sot­to­po­sto ad un’ at­ten­ta va­lu­ta­zio­ne è l’ uso dei fo­gliet­ti cerei. In­nan­zi­tut­to i fo­gliet­ti cerei ven­go­no pro­dot­ti in­du­strial­men­te a par­ti­re da ma­te­ria­li che, se va tutto bene, sono già in par­ten­za con­ta­mi­na­ti da pe­sti­ci­di di ogni ge­ne­re. Se va male, con­ten­go­no anche le spore del Pae­ni­ba­cil­lus lar­vae. I fo­gliet­ti “bio­lo­g­i­ci”, am­mes­so e non con­ces­so di riu­sci­re a tro­var­li, co­sta­no un oc­chio della testa. L’ unica ra­gio­ne di uti­liz­zar­li, dato che co­sti­tui­sco­no una fra­zio­ne mi­no­re della cera, è di li­mi­ta­re le celle da fuco. Tut­ta­via le celle da fuco in­trap­po­la­no la var­roa e si po­treb­be­ro sfrut­ta­re con un po’ di la­vo­ro in più in­ve­ce di usare i te­lai­ni trap­po­la. In se­con­do luogo la scar­si­tà di fuchi nel pe­rio­do di volo delle re­gi­ne è un pes­si­mo in­con­ve­nien­te per una serie di ra­gio­ni le quali sono state con­fer­ma­te anche dalla scien­za uf­fi­cia­le. Ra­gio­nia­mo un mo­men­to con calma. Le api sanno be­nis­si­mo che i fuchi man­gia­no e non la­vo­ra­no: se nel corso del­l’e­vo­lu­zio­ne hanno ac­cet­ta­to di avere un 10% di fuchi avran­no pure le loro ra­gio­ni! Ecco per­ché in api­col­tu­ra ere­ti­ca si la­scia alle api il com­pi­to di co­strui­re i favi che pre­fe­ri­sco­no, gui­dan­do ov­via­men­te la loro co­stru­zio­ne in ma­nie­ra con­gruen­te con i te­lai­ni. In teo­ria bi­so­gne­reb­be qui par­la­re anche del con­cet­to di re­ver­sio­ne alle celle pic­co­le ma si pre­fe­ri­sce sot­ta­ce­re per evi­ta­re le in­fuo­ca­te po­le­mi­che che le celle pic­co­le si tra­sci­na­no. Per fi­ni­re ana­liz­zia­mo con un oc­chio cri­ti­co l’Apis mel­li­fe­ra li­gu­sti­ca (l’ape ita­lia­na), cam­pio­ne e vanto del­l’or­go­glio na­zio­nal-au­tar­chi­co. L’ ape ita­lia­na ha delle qua­li­tà ec­ce­zio­na­li ed in­fat­ti aveva rim­piaz­za­to una lar­ghis­si­ma fetta di altre sot­to­spe­cie at­tra­ver­so tutti gli ocea­ni. L’ape ita­lia­na ha anche delle ca­rat­te­ri­sti­che che “ai tempi della var­roa” non sono in de­fi­ni­ti­va così van­tag­gio­se. La li­gu­sti­ca non ha tol­le­ran­za alla var­roa. Inol­tre fa fa­ti­ca ad in­ter­rom­pe­re la co­va­ta in in­ver­no il che era un gran­de van­tag­gio nelle zone a clima molto mite in cui era stata se­le­zio­na­ta quan­do la var­roa non c’era (ma ades­so … c’è). Avere vi­ce­ver­sa dei ceppi di api che a fine ot­to­bre en­tra­no in in­ver­na­men­to fa­reb­be un sacco di co­mo­do ad un sacco di api­col­to­ri. Muo­ve­re cri­ti­che all’ ape ita­lia­na equi­va­le al­l’a­po­sta­sia, e si ri­schia il rogo, sem­pli­ce­men­te per­ché l’ api­col­tu­ra ita­lia­na uf­fi­cia­le è stata ca­no­niz­za­ta dagli api­col­to­ri che ope­ra­no sulle fasce co­stie­re dalle Cin­que Terre al Golfo di Na­po­li e da Ve­ne­zia a Chie­ti. Ma anche Si­ci­lia e Valle D’Ao­sta e gli Ap­pen­ni­ni sono Ita­lia e per que­ste zone ci sono sot­to­spe­cie di api molto me­glio adat­ta­te della li­gu­sti­ca. Si­cu­ra­men­te si po­treb­be mi­glio­ra­re la li­gu­sti­ca tra­mi­te in­cro­ci e se­le­zio­ne ma que­sto si scon­tra da un lato con de­bo­lez­za cro­ni­ca della ri­cer­ca in api­col­tu­ra e dal­l’al­tro con l’i­dea ra­di­ca­ta di man­te­ne­re i ma­te­ria­li “in pu­rez­za”. Que­st’ul­ti­ma po­si­zio­ne è dif­fi­ci­le da ca­pi­re alla luce di quan­to l’ uomo ha per­se­gui­to nel corso dei mil­len­ni du­ran­te i quali è di­ven­ta­to agri­col­to­re stan­zia­le: il mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co. Sfor­tu­na­ta­men­te quasi nes­sun pro­dut­to­re fa più il mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co delle api, che è la­scia­to alla buona vo­lon­tà di un ma­ni­po­lo di mi­cro­bree­ders spar­si per il mondo. Anche le isti­tu­zio­ni che fanno un serio mi­glio­ra­men­to ge­ne­ti­co si con­ta­no sulle dita di una mano in tutto il mondo. I cri­te­ri di se­le­zio­ne do­vreb­be­ro inol­tre te­ne­re conto delle nuove ne­ces­si­tà e dei nuovi orien­ta­men­ti. Non si può con­ti­nua­re a se­le­zio­na­re per alta pro­du­zio­ne di miele, scar­sa scia­ma­tu­ra, as­sen­za di pro­po­liz­za­zio­ne, do­ci­li­tà estre­ma, pu­rez­za esa­spe­ra­ta e tutti quei ca­rat­te­ri che fanno co­mo­do agli api­col­to­ri ma sono di de­tri­men­to alle api, quan­do il pro­ble­ma prin­ci­pa­le è che le api muo­io­no. Oc­cor­re se­le­zio­na­re per la fit­ness.

api alveare apicoltura eretica
Fig. 2. Vi­sio­ne di un favo di api li­gu­sti­ca x cau­ca­si­ca rein­cro­cia­te a li­gu­sti­ca in se­gre­ga­zio­ne.

Molte delle opi­nio­ni qui espres­se sono state ve­ri­fi­ca­te dalla scien­za uf­fi­cia­le, altre sono sem­pli­ce­men­te il frut­to di os­ser­va­zio­ni em­pi­ri­che. In con­clu­sio­ne l’ api­col­tu­ra ere­ti­ca non ha in­ven­ta­to nien­te di real­men­te nuovo per­chè si basa sem­pli­ce­men­te su un modo più bio­lo­g­i­co e meno avido di ge­sti­re gli al­vea­ri.

 

Mas­si­mo Mad­da­lo­ni, De­part­ment of In­fec­tious Di­sea­ses and Pa­tho­lo­gy, Col­le­ge of Ve­te­ri­na­ry Me­di­ci­ne Uni­ver­si­ty of Flo­ri­da – Gai­ne­svil­le, FL, USA.

 

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Ales­san­dro Pi­sto­ia – In­for­ma­to­re agra­rio
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