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di Nicolò Passeri, Donato Ferrucci

Paesaggio rurale

Introduzione
Nel panorama agricolo italiano, i contratti di compartecipazione agraria rappresentano una tradizione consolidata, evolutasi nel tempo per adattarsi alle esigenze moderne delle imprese agricole. Questi contratti, non rigidamente regolamentati dal Codice Civile ma radicati nelle consuetudini secolari, consentono una flessibilità contrattuale che risponde alle specifiche necessità di collaborazione tra imprenditori agricoli.
Il contratto di compartecipazione è un contratto agrario in cui non si costituisce in alcun modo una società ma è un contratto tra due soggetti, CONCEDENTE (colui che possiede il terreno) e il COMPARTECIPANTE (colui che coltiva il terreno), al fine di svolgere una coltivazione stagionale.
È un modo per permettere ad un terreno che di fatto non è affittabile (per es. per i diritti PAC, perché acquistato con agevolazioni PPC, etc.), di trasferire ad un altro soggetto la quota di reddito agrario; al termine della relativa coltivazione stagionale i soggetti ripartiscono i frutti come da contratto.
In particolare, i contratti di compartecipazione agraria stagionale offrono una modalità operativa in cui entrambe le parti, il concedente e il compartecipante, uniscono le forze per migliorare la fertilità del terreno e sperimentare nuove coltivazioni. Questo tipo di accordo permette di sfruttare periodi specifici dell’anno senza impegnarsi in rapporti duraturi, mantenendo la possibilità di utilizzare il terreno per altre colture nel resto dell’annata.
Il contratto deve contemplare: la natura associativa, il carattere parziario, e la brevità o precarietà del rapporto.
Oltre ai contratti di compartecipazione, esistono altre forme di contratti associativi ancora valide in agricoltura, come la mezzadria e la colonia parziaria, senza possibilità di ulteriore sottoscrizione ma ad esaurimento per quelli ancora in essere. Questi contratti prevedono una stretta collaborazione tra il proprietario del terreno e il lavoratore, con una condivisione di spese, rischi e utili derivanti dall’attività agricola. Tuttavia, la legislazione recente ha limitato l’uso di questi contratti, promuovendo invece l’affitto come la forma contrattuale preferita per garantire la piena imprenditorialità del conduttore.

Nel panorama legislativo italiano, oltre ai contratti di compartecipazione agraria, esistono alcuni contratti associativi ancora rilevanti e applicabili. Tra questi, i più significativi sono la soccida e le associazioni temporanee di impresa (ATI).
La soccida è un contratto di associazione tipico dell’allevamento, in cui il proprietario del bestiame (soccidante) affida gli animali a un allevatore (soccidario), che si occupa della loro cura e gestione. I proventi dell’allevamento, così come i rischi e le spese, sono ripartiti tra le due parti secondo accordi prestabiliti. La soccida può essere di due tipi: la soccida parziale, dove i frutti dell’allevamento sono divisi in proporzione concordata, e La soccida cumulativa, dove l’allevatore riceve una parte dei proventi solo dopo il raggiungimento di determinati obiettivi. Questo tipo di contratto rimane rilevante per la gestione delle attività zootecniche, permettendo una condivisione equilibrata dei rischi e dei benefici.
Le associazioni temporanee di impresa (ATI), pur non essendo un contratti associativi tradizionali, rappresentano moderne forme di collaborazione tra imprese agricole. Le ATI permettono a più imprese di unire le proprie risorse per partecipare a specifici progetti o bandi, condividendo competenze e risorse per ottenere risultati migliori. Questo tipo di collaborazione temporanea è particolarmente utile per affrontare grandi progetti o per partecipare a bandi di finanziamento che richiedono una certa scalabilità di operazioni.
Le reti d’impresa sono un altro strumento moderno di cooperazione, sebbene non siano propriamente contratti associativi. Queste reti facilitano la cooperazione continua tra aziende agricole, migliorando la competitività e l’innovazione nel settore. Le imprese che fanno parte di una rete d’impresa possono condividere risorse, conoscenze e mercati, creando sinergie che aumentano l’efficienza e l’efficacia delle loro operazioni.
Questi contratti, pur diversi nella forma e nelle modalità di applicazione, condividono l’obiettivo di favorire la cooperazione e la condivisione dei benefici derivanti dall’attività agricola, offrendo strumenti flessibili per affrontare le sfide moderne del settore.
Nel contesto odierno, comprendere la natura e le peculiarità dei contratti di compartecipazione agraria e degli altri contratti associativi è fondamentale per chi opera nel settore agricolo. Questi strumenti, se ben utilizzati, possono offrire opportunità significative per ottimizzare la gestione aziendale e favorire l’innovazione e la diversificazione nelle pratiche agricole.

Compartecipazione
I contratti “atipici” di compartecipazione agraria possono avere molte forme diverse e non seguono regole precise. Questo perché combinano elementi della colonia parziaria con quelli del contratto di lavoro. Quando si incontra un contratto di “compartecipazione”, è importante capire su quale base il compartecipante riceve una parte dei prodotti del fondo o dell’azienda.
Il contratto di compartecipazione è un accordo particolare che non è regolato né dal Codice Civile né da altre leggi dello Stato, anche se spesso viene menzionato in esse. Questo tipo di contratto si basa su tradizioni antiche e può essere considerato un contratto tipico a livello sociale. La vasta e diversificata realtà dell’attività agricola ha portato alla creazione di molti contratti atipici, ideati per soddisfare specifiche esigenze economiche e pratiche che non possono essere coperte dai contratti standard previsti dalla legge.
La compartecipazione agraria si distingue perché l’attività e la gestione dell’azienda agricola restano a carico del concedente, proprietario del fondo, mentre il compartecipante contribuisce con il proprio lavoro manuale o con l’apporto di mezzi tecnici alla coltivazione. Il compartecipante riceve una parte dei prodotti del fondo, ma le perdite sono a carico del concedente. Il rischio per il compartecipante è limitato alla parte di prodotto spettante.
In questo contesto, il contratto di compartecipazione, di natura associativa, è parte integrante dell’impresa agricola e ne costituisce l’organizzazione.

Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza e dalla dottrina, non si può parlare di compartecipazione agraria nei seguenti casi:

  1. Tutte le spese di coltivazione sono a carico del concedente: Se il concedente fornisce tutto il necessario per la coltivazione, come semi, concimi e antiparassitari, e il compartecipante partecipa solo ai risultati della produzione senza occuparsi della gestione e dell’organizzazione dell’impresa, non si tratta di una vera compartecipazione agraria.
  2. Il compartecipante non contribuisce con capitali o attrezzature significative: Se il compartecipante si limita solo a lavorare sul terreno, dalla consegna fino al raccolto, senza fornire alcun capitale o attrezzature significative, non si può considerare questo un contratto di compartecipazione agraria. In questo caso, il suo contributo è solo di manodopera.

In sintesi, per essere considerato un contratto di compartecipazione agraria, è necessario che il compartecipante sia coinvolto non solo nel lavoro, ma anche nelle decisioni e nelle spese relative alla gestione dell’impresa agricola.
Gli elementi caratteristici di questo contratto includono:

  1. a) La partecipazione del compartecipante alla coltivazione del fondo per un periodo sufficiente a garantirgli una parte del raccolto.
  2. b) La formazione di un’azienda comune, con un minimo di organizzazione dei fattori produttivi; il contributo del compartecipante non si limita solo al lavoro manuale.
  3. c) La condivisione delle spese di coltivazione.

Precisa caratteristica del contratto è quella per cui, il rischio relativo all’attività svolta in comune è condiviso tra entrambi i soggetti.
Per quanto concerne i costi sostenuti, le parti hanno piena libertà nell’individuare le modalità di addebito tra di esse, fermo restando che compete al concedente, oltre che il “conferimento” del terreno, anche la realizzazione delle operazioni preliminari alla coltivazione, quali l’aratura e la concimazione. Di contro, il compartecipante sarà inciso delle spese inerenti (sementi, concimi, prodotti fitosanitari), nonché dell’esecuzione dei lavori colturali necessari.
In perfetta analogia, anche la ripartizione del prodotto è lasciata alla libera pattuizione tra le parti.
Certamente il conduttore non è un dipendente della parte che dispone del fondo, anche se il suo principale apporto è costituito dal proprio lavoro manuale. Questa soluzione è posta a fondamento di una decisione della cassazione penale in materia di infortuni sul lavoro, ove il rapporto di subordinazione è escluso perché l’agricoltore-lavoratore non è soggetto a direttive o ordini specifici e percepisce un compenso in natura.
La giurisprudenza sottolinea che, nella compartecipazione associativa, simile alla mezzadria e alla colonia parziaria, entrambi i soggetti condividono spese, utili e rischi d’impresa. Questo tipo di contratto è quindi soggetto a tutte le normative previste per i contratti associativi in agricoltura.
Bisogna risalire alla volontà delle parti per stabilire se la partecipazione è stata concordata come contributo all’attività imprenditoriale comune tra il concedente e il compartecipante.
La giurisprudenza chiarisce che se un contratto agrario riguarda una quota ideale di prodotto ottenuta da un’estensione di terreno, senza un vero contributo ai capitali, alle spese o ai rischi dell’impresa, si tratta di una prestazione d’opera retribuita in natura, non di compartecipazione agraria.
Il legislatore del 1982 ha chiaramente espresso la sua contrarietà verso la compartecipazione associativa, confermando l’abolizione di questo tipo di contratto, eccetto che per la compartecipazione stagionale e la concessione intercalare. La legge n. 203/82 ha sancito l’estinzione di questi rapporti, al massimo entro dieci anni dall’entrata in vigore della nuova normativa, spingendo verso contratti di affitto per garantire la piena imprenditorialità del conduttore.
Tuttavia, il legislatore ha mantenuto in vita solo la partecipazione per colture stagionali, regolata dall’art. 56 della legge n. 203/82, applicabile non solo ai contratti agrari di compartecipazione, ma anche a rapporti eccezionali limitati nel tempo e nell’estensione.
Questi principi sono ancora validi secondo la legge n. 203/82. È importante ricordare che l’art. 56 esclude dall’applicazione della nuova disciplina dei contratti agrari la compartecipazione limitata a singole coltivazioni stagionali, che non devono diventare un mezzo per eludere la normativa generale.
Le coltivazioni stagionali devono essere di breve durata, generalmente trimestrale, mentre le coltivazioni intercalari sono quelle secondarie, effettuate dopo il raccolto delle colture principali. Al di fuori di questi limiti, l’art. 56 non si applica, evitando abusi della normativa.

Il concetto di stagionalità
Il contratto di compartecipazione agraria, detto anche “stagionale”, è valido anche senza bisogno dell’accordo in deroga previsto dall’art. 45 della Legge n. 203/1982, ovvero in deroga a tali criteri generali, prevede la possibilità di stipulare contratti di compartecipazione agraria a carattere stagionale.
Questo tipo di contratto continua ad esistere e a mantenere la propria autonomia in ambito agrario perché non riguarda la concessione di un fondo agricolo, ma piuttosto il diritto di svolgere un’attività di coltivazione.
La particolarità del contratto stagionale sta nel fatto che l’attività di coltivazione è di breve durata e, per sua natura, non permette al compartecipante di stabilire una presenza economica duratura sul terreno. Per questo motivo, non richiede una protezione particolare. In altre parole, il contratto stagionale è pensato per situazioni in cui il lavoro agricolo è temporaneo e non comporta la necessità di un insediamento stabile da parte del lavoratore.
Le colture stagionali sono un tipo di coltivazione a ciclo annuale che si distingue per essere coltivate tra due colture principali, con l’obiettivo di migliorare la fertilità del terreno. Queste colture sono anche chiamate “colture secondarie” o “colture da rinnovo” proprio perché hanno un ciclo breve.
Il concetto di “stagionalità” si riferisce quindi alla brevità del ciclo di coltivazione rispetto a quello delle colture principali, e alla natura temporanea del rapporto agrario. Questo permette al proprietario del terreno di utilizzarlo per altre colture durante il resto dell’anno, se lo ritiene necessario. Inoltre, il proprietario può decidere di sospendere la coltivazione principale per un anno intero senza che il contratto si trasformi in un contratto di affitto.
Non si può considerare “stagionale” una coltura che richiede pratiche agricole che occupano l’intera annata agraria. In definitiva, una coltura stagionale è quella che si inserisce tra il raccolto di una coltura principale e l’inizio di un’altra coltivazione a ciclo lungo, senza precludere la possibilità di altre coltivazioni nello stesso terreno durante l’anno agrario.
Stagionalità che non deve essere confusa con intercalarità, ove con il primo termine si intende l’inframezzarsi di colture a ciclo breve tra il raccolto e l’impianto di colture a ciclo lungo, mentre con il secondo si ha riguardo a colture che si inframezzano negli intervalli tra i cicli produttivi di una produzione a ciclo lungo.
La stagionalità non esclude la ripetitività, in altri termini, è possibile prevedere, in sede di stipula del contratto di compartecipazione stagionale, che lo stesso si rinnovi tacitamente, salvo disdetta da comunicarsi alla parte entro un termine stabilito, senza che ciò possa travolgere la natura stagionale del contratto stesso.

Fiscalità e prospettive
Il reddito agrario di riferimento per questo tipo di contratto è quello dell’appezzamento dove si pratica la coltura stagionale, rivalutato e rapportato ai giorni di durata del contratto.
Come in tutti i contratti agrari di tipo associativo, la gestione dell’IVA dipende dalla modalità di ripartizione del raccolto. Se il prodotto viene diviso tra le parti direttamente sul campo, sia il concedente che il compartecipante devono emettere fattura per la vendita, a meno che il prodotto non venga utilizzato all’interno dell’azienda (per esempio, come alimenti per bestiame o per la trasformazione).
Sebbene questa operazione non abbia carattere commerciale, dal punto di vista dell’IVA, il rapporto tra concedente e compartecipante è trattato come se fosse una compravendita, per finzione giuridica.
Non vi è obbligo di registrare il contratto di compartecipazione agraria, poiché rientra tra quelli previsti dall’art. 2 della tariffa, parte II, allegata al D.P.R. n. 131/1986, che richiede la registrazione solo in caso d’uso. Questo significa che la registrazione diventa necessaria solo se una delle parti, o entrambe, devono depositare il contratto presso un ufficio della pubblica amministrazione, come nel caso dell’inserimento dell’atto nel fascicolo aziendale. Quando richiesta, la registrazione avviene con il pagamento di una tassa fissa.
Il contratto di compartecipazione agraria si è evoluto diventando uno strumento di collaborazione tra imprese agricole. In questo contesto, entrambe le parti coinvolte, il concedente e il compartecipante, sono imprenditori che mirano a sviluppare una specifica coltura senza essere vincolati da eccessivi limiti di tempo. Il concedente, in particolare, è interessato a migliorare la fertilità del terreno e a sperimentare nuove produzioni, obiettivi che può raggiungere grazie al contributo del compartecipante.

Bibliografia
Avoni S., Bianchi G., 2021, Compartecipazione agricola stagionale, ISBN 978-88-322-2305-7, Consulenzaagricola.it
Germanò A. Rook Basile E., 2015, / a cura I contratti agrari; UTET giuridica, 2015, San Mauro Torinese

Nicolò Passeri, Dottore Agronomo, libero professionista. Consulente per imprese agricole ed agroalimentari in ambito tecnico legale. Svolge analisi economico-estimative e di marketing dei processi produttivi. Supporta le imprese nella valorizzazione in filiera delle produzioni e nello sviluppo e dei sistemi di certificazione volontari e regolamentati. Docente presso ITS Academy Agroalimentare.

Donato Ferrucci (Torino 1964), Docente sistemi qualità e certificazione dei prodotti alimentari ITS Agroalimentare Roma/Viterbo. Agronomo, pubblicista, e Master in Diritto Alimentare. Responsabile Bioagricert srl per l’area Lazio/Abruzzo/Umbria/Marche. Per info: Google “Donato Ferrucci Agronomo”.

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