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di Lenaz Raoul

Shiitake in fruttificazione
Shiitake in fruttificazione su formula innovativa di Lenaz

Formulazioni dei substrati e metodi di coltivazioni
Lentinula edodes è un “White Rot Fungus“ che si trova normalmente nelle foreste selvagge,  sopra i legnami. Per la sua coltivazione sopra altri substrati lignocellulosici, quelli al di fuori delle tradizionali segature, è necessario selezionare delle varietà, dei ceppi, ben adattati per questi substrati alternativi. Lo Shiitake generalmente, cresce lentamente producendo un denso micelio ed esso utilizza i nutrienti disponibili ed i polisaccaridi bloccati e trattenuti nella lignina, grazie alla sua abilità di produrre enzimi extracellulari in grado di degradare i materiali lignocellulosici: questi enzimi sono le ”Fenol-ossidasi e le Idrolasi “ (Savoie et Al. 2000).
Comunque differenti ceppi di Shiitake mettono in evidenza differenti abilità di crescita, di fruttificazione e di resistenza nei confronti delle muffe competitrici. Comparando le attività metaboliche e quella della produzione degli enzimi extracellulari dei differenti ceppi di Shiitake coltivati su paglia di grano sterilizzata, si osserva che, i ceppi che fruttificano velocemente e presentanti una resa elevata in funghi, sono quelli che, dopo inoculazione, sono abili ad idrolizzare ed a utilizzare velocemente i componenti delle pareti cellulari e che sviluppano una elevata attività metabolica (Mata et Savoie, 1998).
Durante la competizione tra lo Shiitake e le muffe, quali quelle del genere Trichoderma o, i batteri, presenti in un substrato non sterilizzato o contaminato, avvengono diversi meccanismi di interferenza. L’abilità a produrre ed a resistere a vari antibiotici per limitare la crescita di potenziali antagonisti che possono essere presenti in un determinato e specifico substrato di coltivazione, è un’altra serie di caratteristiche dei ceppi che deve essere selezionata.
In molti esperimenti si fanno confronti tra i vari miceli o tra miceli e batteri per verificare nei vari terreni colturali la loro relativa abilità competitiva. Si osserva come i vari miceli, nei confronti degli antagonisti, rispondono ad esempio, con delle barriere colorate, pigmentate; queste osservazioni permettono facilmente di valutare “l’abilità saprofitica competitiva“ dei diversi ceppi di Shiitake. Molte volte si osserva della supercrescita, delle lisi cellulari (Tsuneda e Thorn, 1994); altre volte come reazione di difesa si constata la produzione di specifiche molecole come le Laccasi (Savoie et Al., 1998). Quando si selezionano dei ceppi che presentano una efficiente abilità saprofitica competitiva per poi inocularli su dei substrati di coltivazione alternativi, è importante poi sottoporre questi ceppi alle migliori condizioni di coltivazione in modo da permettere loro di poter esprimere al meglio tutte le potenzialità di cui sono dotati.
Si è visto che, è possibile migliorare l’abilità saprofitica competitiva del micelio dei ceppi di Shiitake, durante i primi giorni che seguono alla loro inoculazione sulla paglia, modificando la formulazione dei materiali che entrano a far parte del micelio stesso, cosa questa, che ha portato ad una diminuzione dell’incidenza delle muffe sino al 75% (Mata et Al., 1998; Savoie et Al., 2000). In questi esperimenti che sono stati eseguiti, la preparazione dei grani di micelio addizionati con componenti ricchi in Lignina e Fenoli, ha permesso una considerevole riduzione delle contaminazioni durante i primi momenti della crescita e tutto ciò, se paragonati a del micelio non supplementato in questo modo.
L’uso di diverse formulazioni che si utilizzano quale substrato nutritivo, quando andiamo a produrre micelio, ha dimostrato come i ceppi oggi, per quanto riguarda la loro crescita, rispondono in maniera diversa a seconda dei componenti di base che vanno a costituire il substrato nutritivo del micelio e quindi chiaramente, ciò potrebbe essere un fattore limitativo quando si è alla ricerca di nuove formule di micelio arricchito.
E’ importante poter disporre di ceppi che abbiano delle caratteristiche genetiche tali da permettere l’uso della paglia e di altri sottoprodotti dell’agricoltura per coltivare lo Shiitake; la selezione e la ricerca di ceppi di micelio che una volta inoculati, partano immediatamente ad invadere il substrato senza tentennamenti, è importantissimo ed è chiaro che ciò avviene sicuramente, quando il substrato messogli a disposizione è il più possibile, specifico per lui. La selezione di ceppi di micelio che prevedano una particolare forma di arricchimento del suo materiale nutritivo base di partenza e di preadattamento, è molto importante per tutte le specie di funghi che desideriamo coltivare e non solo per lo Shiitake.
Come sappiamo, lo Shiitake rappresenta una delizia culinaria ed è un fungo dalle molteplici proprietà medicinali benefiche. Era tradizionalmente coltivato in modo naturale sui tronchi e, sebbene la sua coltivazione in modo naturale fosse stata scoperta in Cina, furono però successivamente i Giapponesi a sviluppare in modo importante e fondamentale la sua coltivazione sui tronchi su basi scientifiche ed industriali. Per quasi mezzo secolo, dal 1940 al 1986, il Giappone è stato il maggiore produttore di Shiitake nel mondo. Si stima che nel 1983, il Giappone detenesse l’82,8% dell’intera produzione mondiale di shiitake. Nel 1987 avviene per la prima volta, in modo repentino, il sorpasso della Cina nella produzione di Shiitake.
Questo sorpasso da parte della Cina è potuto avvenire grazie ad una innovazione, ovvero all’uso della segatura come substrato nutritivo e dei “bags“ (i sacchetti) termoresistenti come contenitori. In particolare, il successo è arrivato attraverso l’uso dei “Cylindrical Sawdust Bags“ , dei sacchetti rotondi contenenti la segatura e, tutto ciò in Gutian, nel Fujian. Il modello Fujian fu rapidamente replicato in molte parti della Cina, con locali adattamenti. Oggi, grazie alla tecnologia rappresentata dall’uso della segatura con i relativi “ Bags “, è possibile coltivare lo Shiitake per tutto l’arco di un anno.à
Diverse comunque sono state le modificazioni dei processi di coltivazione dello Shiitake attuate dai vari autori come Chang e Miles 2004, Chen, Arrold e Stamets 2000, Oei 2003.
In linea di massima i metodi di coltivazione dello Shiitake potrebbero essere come elencato di seguito.

Coltivazione con l’uso dei tronchi. La semina è localizzata “nei fori “ e la fase dell’incubazione avviene oggi al riparo“ under Shelter “ ovvero sotto ricovero. La fruttificazione, in modo naturale ma egualmente al riparo. Il ciclo di coltivazione è lento.
Utilizzando i bags, i modi di coltivazione potrebbero essere questi:
Il primo, sviluppato in Cina, prevede normalmente un substrato che viene compresso. La semina è localizzata e la fase d’incubazione avviene all’interno con un modesto controllo dei parametri ambientali. La fruttificazione avviene all’esterno. I pani di substrato sono cilindrici e dotati di un filtro di cotone o altro materiale. Il sacchetto cilindrico non prevede degli spazi liberi al di sopra del substrato. Il ciclo di coltivazione è più veloce rispetto ai tronchi.
Il secondo, è rappresentato da sacchetti di 5 – 6 kg di substrato e questo metodo si è sviluppato negli USA. Questa metodologia prevede due vie:
“Brown in Bag“ ovvero far avvenire l’imbrunimento della superficie del substrato con il sacchetto chiuso
“Brown out of Bag“ prevede invece, l’imbrunimento della superficie del substrato senza più la presenza del sacchetto.
La semina si effettua mescolando il micelio in modo uniforme con il substrato. La semina e la fase d’incubazione avvengono all’interno di strutture controllate. I sacchetti sono sigillati e sono dotati di micro filtri per la respirazione del micelio ed inoltre, al di sopra del substrato c’è dello spazio libero. Il ciclo è molto veloce.
In Europa si è sviluppato l’uso di blocchi di substrato del peso di circa 12 – 13kg. La fase d’incubazione avviene all’interno di strutture controllate ed egualmente succede per la fruttificazione. Non c’è spazio libero nei blocchi i quali, sono altresì dotati di alcuni micro filtri o “ Foam plug “. Il ciclo di coltivazione è veloce.
I ceppi dello Shiitake sono “temperatura dipendenti”. Essi sono classificati in base alle temperature preferite per la fase di fruttificazione. Anche il tasso di crescita durante la fase d’incubazione, è differente ed in funzione dei diversi ceppi, ciò che si tramuta in un più corto o più lungo periodo di maturazione per il micelio. Alcuni ceppi presentano un corto periodo di maturazione, di soli 60 giorni, altri invece, prevedono un periodo di 90 giorni. In caso di forzatura dei tempi di fruttificazione, si potrebbero verificare delle malformazioni sui funghi che nascono.
Ci sono ceppi che fruttificano a basse temperature, al di sotto dei 10°gradi, ceppi che fruttificano a medie temperature, comprese fra i 10° ed i 20°gradi e quelli che lo fanno in un largo range di temperature tra i 5° ed i 35°gradi. In Taiwan, i ceppi utilizzati si dividono in quelli che fruttificano a temperature medie intorno ai 10°gradi e quelli che lo fanno a temperature più elevate, intorno ai 20°gradi.

Fasi di coltivazione di Shiitake
Shiitake in prima volata…

Shiitake in fruttificazione
Shiitake in fase di fruttificazione pronti per la raccolta

I ceppi di Shiitake hanno esigenze molto diverse non solo per la temperatura di fruttificazione, per i tempi di maturazione del substrato che possono essere veloci o lenti e per i tempi di entrata in produzione che possono essere corti o lunghi, ma bensì anche nei riguardi della selettività del substrato. A seconda dei ceppi ed a seconda della loro adattabilità a temperature estreme di coltivazione, cambia il tasso di crescita, la qualità dei funghi ovvero la loro grandezza, spessore della carne, colore ed aromi.
I ceppi utilizzati per la coltivazione sui tronchi, sono differenti da quelli utilizzati per la coltivazione su segatura nei “Bags“; non solo, ma i ceppi utilizzati per “the Brown in Bag“ ovvero, per l’imbrunimento della superficie del substrato all’interno del sacchetto ancora chiuso, sono differenti da quelli usati per “ the Brown out of Bag “ ovvero, per l’imbrunimento della superficie del substrato a balletta completamente spogliata del sacchetto.
Si sono verificati dei cali nella produzione dei funghi anche a causa dell’utilizzazione di nuove varietà, nuovi ceppi di Shiitake, che vanno bene per inoculare i tronchi ma che, quando inoculati su segatura, producono poco. Ad esempio alcuni ceppi funzionano bene su substrato a base di tutoli di mais, mentre altri, su substrato a base di segatura (Oei, 2003). La selezione delle specie di alberi per la coltivazione su segatura deve essere effettuata con attenzione. Una segatura fresca che non è stata invecchiata, può essere utilizzata per la produzione di Shiitake solamente se proveniente da specie di alberi di alta qualità, come quelli di Quercus spp., di Castanopsis spp., di Carpinus spp., di Populus spp., dei Fagus spp., di Betula spp.,  di Salix spp. . Queste specie riportate, rappresentano esempi di legno duro non contenenti molecole aromatiche e sono gli alberi a foglie ampie, larghe, quelli che vengono normalmente utilizzati. La segatura proveniente da specie di alberi di bassa qualità, deve essere prima invecchiata, per poter essere successivamente utilizzata (OEI, 1996 – Roise,1997 – Ting, 1998 – Wu et Al., 1995).
I produttori naturalmente, dovrebbero selezionare le materie prime disponibili localmente a costi bassi. Ad esempio in Australia, dopo una fase di fermentazione, necessaria per eliminare l’effetto inibitorio delle molecole resinose presenti, la segatura di “Eucaliptus“, la specie abbondante in quel Continente, è stata usata con successo per la produzione di Shiitake, da parte del dr. NOEL ARROLD, fungicoltore bravo e simpaticissimo che lo scrivente Lenaz ,ha conosciuto personalmente in occasione di un suo viaggio in Australia.
La materia prima base per la preparazione del substrato adatto allo Shiitake comprende, come già illustrato precedentemente, la segatura di varie essenze legnose; non solo la segatura può andar bene come materiale di base per lo Shiitake, ma bensì, anche altri materiali, quelli che contengano sempre ed in proporzioni diverse, lignina, emicellulosa e cellulosa. Le essenze legnose preferite dallo Shiitake possono essere diverse ed ognuna di queste dà dei risultati in termini di resa in funghi e tempi d’invasione del micelio differenti. In natura Lo Shiitake cresce in forma saprofita nel legno di varie essenze legnose a foglia caduca, tra le quali, annoveriamo (vedi anche sopra), quelle del genere Quercus, Castanea, Carpinus, Fagus ed altre. In ogni nazione del mondo ci possono essere o ci sono delle materie prime che, opportunamente elaborate, possono andare bene, seppure con efficienza biologica e resa in funghi diversa.
La formula base che viene normalmente utilizzata in Asia, comprende un 80% di segatura di legno duro non resinoso ed un 20% sul secco di crusca di riso, in un rapporto in volume, di 4:1. Con questa formulazione viene inoculato non solo lo Shiitake, ma anche altre specie di funghi tra cui la Flammulina velutipes ed il Pholiota nameko. Negli Stati Uniti, si utilizza un 80% di segatura, un 10% di grani di cereali (grano o miglio) ed un 10% di crusca. In Taiwan, in linea di massima, utilizzano un 84% di segatura, un 5% di crusca di riso, un 5% di crusca di grano, un 3% di soia ed un 3% di carbonato di Calcio. Chiaramente più si arricchisce il substrato e più facilmente si può andare incontro ad episodi d’inquinamento del substrato dopo l’inoculazione del micelio, ovvero durante la fase d’incubazione, motivo per cui molti coltivatori arricchiscono la segatura con solo il 10% od addirittura il 5% di crusca.
Una formula di Stamets del 1993, prevedeva 100 libbre o 64 galloni di segatura di legno duro non aromatico, 50 libbre o 32 galloni di chips sempre del medesimo legno duro, 40 libbre od 8 galloni di crusca di riso o segale, 5-7 libbre od 1 gallone di gesso e poi, acqua da arrivare al 60% di umidità nel substrato.
Nei paesi asiatici la tradizionale coltivazione di Lentinula edodes, avviene all’aperto sui tronchi del giapponese “ Chesnut Shii – tree “, la Castanopois-cuspidata o su altre specie di alberi a foglie larghe, ampie, come la Quercus, Betula, Alnus e Lithocarpus ( Chang & Miles, 1987).
Sono stati provati ed utilizzati diversi substrati e, lo standart, ripetendo in parte quanto già precede, prevede un 80% di “ Hardwood Sawdust “, segatura di legno duro ed un 20% di arricchimenti ( Miller & Jong,1987).Questo standart prevede diverse varianti in funzione delle locali disponibilità delle materie prime. Negli USA, un 80% di segatura, un 10% di crusca, un altro 10% di grani, rappresenta una formula abbastanza comune ( Royse 1996). Alcuni ricercatori svizzeri, hanno ottenuto un buon risultato con un 75% di segatura di abete rosso, un 24% di crusca di grano ed un 1% di carbonato di Calcio (Kalberer 1989 ). Un arricchimento elevato certamente porta ad un aumento delle rese in funghi (Przybylowicz 1988 ) ma può altresì portare a problemi d’inquinamento da competitori.
Tre formulazioni fatte, comprendono un 60% di ingredienti base più un 35% di miglio, un 3% di crusca di grano ed un 2% di riso la prima; la seconda un 70% di ingredienti base, un 10% di crusca di grano, un 15% di riso ed un 5% di miglio ed alla fine, la terza formulazione, un 80% di ingredienti base più un 10% di crusca di grano ed un 10% di miglio. Su tutte queste tre formulazioni era aggiunto un 1% di carbonato di calcio ed il tasso di umidità del substrato, portato a circa il 57%.
Normalmente, decisa la formulazione, le materie prime vengono prima miscelate a secco con l’uso di un carro trincia miscelatore se è anche prevista l’utilizzazione della paglia o di carro solo miscelatore (od attrezzatura simile solo miscelatrice) se non è necessario accorciare la struttura delle materie prime e poi, vengono aggiunte di acqua per portare il suo contenuto nel substrato, al tasso desiderato e calcolato in precedenza. Per lo Shiitake, si parla di un tasso di umidità del substrato che va da un 55% ad un 65% e ciò, prima del trattamento a caldo a cui viene sottoposto subito dopo l’insaccamento. Il tasso di umidità del substrato viene deciso a seconda delle materie prime utilizzate, a seconda del loro potere d’imbibizione e soprattutto della loro capacità di trattenere da subito e dopo la semisterilizzazione o sterilizzazione, tutta l’acqua che gli è stata addizionata. Bisogna assolutamente cercare di evitare al fondo dei pani o dei sacchetti, la presenza di acqua in eccesso. Non si deve dimenticare, quando si prepara una miscela di materie prime, della “struttura” che si va a costituire con il loro insieme, struttura che deve essere equilibrata nel suo rapporto tra spazio vuoto e pieno; è per questo motivo che normalmente si utilizzano componenti a struttura corta ed altri a struttura più lunga!
Nel caso specifico dell’utilizzazione della segatura, una miscela intelligente comprende sia segatura di piccole dimensioni che i cosiddetti “chips“ di legno aventi una struttura più larga: per quanto appena detto sopra, questa mescolanza rappresenta il binomio ideale!
La struttura ed il tasso di umidità del substrato sono un binomio molto importante ed è meglio, assolutamente, non sbagliare!
Nella coltivazione dello Shiitake, come già detto, o si usano i tronchi tagliati delle varie essenze legnose o si usano le varie segature in purezza o miscelate opportunamente. Quando si lavora con i tronchi, questi, sono protetti da una eccessiva disidratazione ed in parte dai competitori, dalla presenza della corteccia, la quale, è bene che mantenga la sua integrità; quando si lavora con la segatura chiaramente non esiste più la corteccia ed il substrato, in un certo modo,  è protetto dai contenitori che lo contengono, ovvero, o dalle bottigliette di polipropilene quando vengono utilizzati i grandi impianti automatici, oppure, dai sacchetti di plastica di diversa formulazione, i cosiddetti “ bags “, nelle altre situazioni.
A seconda delle necessità, cambia sia il volume del sacchetto che la sua composizione; quest’ultima interviene sia sugli scambi gassosi che può permettere di più o d imeno e, sia sulla resistenza alle più o meno elevate temperature a cui è sottoposto il substrato dopo il suo insaccamento.
Il materiale più comune che può essere utilizzato, è il Polyetylene (PE che possiamo trovare in due tipologie: a “ bassa densità” , ovvero la “ low density PE “ ed, ad “ alta densità”, ovvero la “ High density PE”. Il Polietilene a bassa densità può resistere sino agli 80° gradi di temperatura ma già, a questa temperatura, comincia ad ammorbidirsi e subisce delle modificazioni. L’utilizzazione del Polietilene a bassa densità avrebbe il vantaggio di permettere un sufficiente scambio gassoso tra l’interno e l’esterno del sacchetto senza dover ricorrere all’uso di un filtro particolare. L’uso del Polietilene ad alta densità va bene per quando si sottopone il substrato a temperature dei forni o delle autoclavi, ovvero quando le temperature spaziano dai 100° ai 121° gradi. Certamente utilizzando l’alta densità si dovrà fornire il sacchetto di un filtro opportuno per la respirazione del micelio. Uno dei materiali che normalmente viene utilizzato quando si sottopone il substrato ad alte temperature, al di fuori del polietilene ad alta densità, è rappresentato dal “ Polypropylene “ (PP ) che resiste sino a temperature di 135°gradi; è chiaro che anche in questo caso il sacchetto deve essere fornito di un opportuno filtro.
Una volta riempiti i sacchetti di substrato, questi debbono essere immediatamente collocati all’interno di strutture adatte per il trattamento termico di semisterilizzazione o sterilizzazione vera e propria. Due, in linea di massima, sono le strutture che vengono utilizzate per questo procedimento: i Forni o le Autoclavi. I forni possono funzionare con riscaldamento a secco o con riscaldamento umido a vapore, le autoclavi con il vapore. Chiaramente, i costi di un forno sono inferiori a quelli di una autoclave ma, al di fuori di questo aspetto, la vera diversità, sta nelle temperature massime a cui possono essere portati i substrati con i forni o con le autoclavi ed i tempi per attuare un ciclo completo di semisterilizzazione o sterilizzazione.
Con i forni di moderna concezione, si portano i substrati dai 90° ai 95°gradi per una quindicina di ore sottoponendoli a quella che viene definita una “Pastorizzazione a temperatura elevata“; si può arrivare anche a 100°gradi nel composto, accorciando naturalmente i tempi di mantenimento della punta termica. I tempi di  permanenza a queste temperature comunque, non sono standart e debbono venire modificate a seconda delle caratteristiche del substrato ovvero, della loro formulazione, della loro struttura, densità, umidità ( si entra nel campo dell’inerzia termica e della termodinamica ); per non parlare del peso di ogni singolo sacchetto, di quanti ne vanno messi dentro al forno  e della loro disposizione sui carrelli, tutti parametri, questi, che vanno ad influire sull’andamento delle temperature, sui tempi per arrivare in punta. Anche la temperatura iniziale del substrato, quella che ha quando i sacchetti vengono messi dentro ai forni, influisce chiaramente, sui tempi per arrivare in punta.
E’ necessario che la punta di temperatura e la sua durata, arrivi e si mantenga in modo uniforme dentro al cuore del substrato di tutti i sacchetti. Il calore inoltre, si diffonde più velocemente attraverso un substrato umido e che contiene meno spazi pieni di aria: ecco perché il substrato viene anche pressato in modo corretto.
E’ chiaro che la punta termica a 90°gradi o 100°gradi non uccide tutta la microflora presente ed una parte, rimane viva, in fase latente.
Utilizzando un’autoclave moderna si può portare la temperatura all’interno dei sacchetti al di sopra dei 100°gradi in quanto alla pressione di 15psi, la temperatura all’interno dell’autoclave, arriva a 121°gradi. Il ciclo di sterilizzazione di una autoclave è naturalmente più breve considerando la temperatura della punta termica più elevata. Comunque, anche nel caso dell’utilizzazione di un’autoclave, la temperatura massima a cui portare il substrato e la durata della punta termica, come per il forno, va ottimizzata poiché non è standart. Nel caso dell’uso delle autoclavi, si parla di temperature all’interno del substrato, al di sopra dei 100°gradi per una durata di 4 – 6 – 8 ore: il tempo totale richiesto per ogni singolo trattamento termico, equivale al tempo richiesto dal substrato per farlo arrivare al cuore, alla temperatura desiderata e per la durata desiderata, binomio questo indispensabile per uccidere “quasi“ tutti i microrganismi che potrebbero competere, successivamente, con il micelio.
Nel caso dell’utilizzazione di una autoclave, bisogna stare attenti, “ addirittura”, a non esagerare sia con la punta e sia con la durata della punta termica in quanto, nel caso si utilizzi la segatura, ma non solo questa, si potrebbe andare, come riferisce anche il micologo americano Stamets, in “ oversterilizzation “, la quale, potrebbe indurre delle modificazioni delle materie prime, con la produzione ed il rilascio di molecole che invece di favorire, inibiscono lo sviluppo del micelio; per coloro che si divertono a preparare substrato da tanti anni, come lo scrivente Lenaz, sia utilizzando i tunnels di pastorizzazione e sia i forni, ci si accorge spesso come tenendo ferme le formulazioni del substrato e modificando solo le temperature dei trattamenti termici, cambino i risultati: delle volte il micelio viene favorito e delle volte invece rallentato nella sua invasione del substrato;  cambiando le temperature andiamo a modificare certamente,non solo l’aspetto fisico chimico del substrato ma anche il suo importante  aspetto microbiologico!
Quindi, indipendentemente dall’uso di un forno o di una autoclave od anche di un tunnel di pastorizzazione, va ricercato un equilibrio e ciò, come ripeto, lavorando  sulle temperature della punta termica, sulla  sua durata, sulla formulazione del substrato, sulla sua densità, sulla sua struttura, sulla sua umidità, sulla quantità dei sacchetti ( nel caso dell’utilizzazione dei forni e delle autoclavi ) che si possono entrare nelle strutture di superpastorizzazione/sterilizzazione e soprattutto sulla loro disposizione all’interno di queste strutture. Siccome all’interno di queste strutture vanno messi centinaia o migliaia di sacchetti, è opportuno all’inizio, durante la fase di ottimizzazione del ciclo termico, controllare, attraverso l’uso di sonde, che la temperatura sia distribuita in modo uniforme e che arrivi, all’interno di tutti i sacchetti, al grado termico desiderato. Esistono delle particolari striscette che messe all’interno dei sacchetti, indicano se il grado di sterilizzazione raggiunto, è quello prefissato.
Le considerazioni di cui sopra, valgono chiaramente, non solo per l’elaborazione dello Shiitake ma anche, per molte altre specie di funghi che si desiderano coltivare. Certamente, a seconda della specie che si desidera coltivare, saranno da modificare alcuni parametri ma, nell’insieme, le riflessioni da farsi sono le medesime.
Alla fine del trattamento termico a cui sono sottoposti i pani contenenti il substrato, si dovrà necessariamente abbassare la temperatura del substrato e portarla ad un livello favorevole per la fase d’inoculazione del micelio. Sia il forno che l’autoclave, dovrebbero avere una doppia apertura, una a ciascuna loro estremità: questo permetterebbe di scaricare i pani all’interno di una stanza di refrigerazione o di semina non solo non inquinate ma, per quanto possibile, “sterili”, tali cioè da preservare sterili sia l’interno del substrato che le superfici esterne, quelle in polipropilene, dei sacchetti.
Per quanto riguarda la manualità dell’inoculazione del micelio all’interno dei pani sottoposti come descritto, a trattamento di semisterilizzazione o sterilizzazione, questa operazione, viene eseguita in modo diverso a seconda delle potenzialità, delle dimensioni delle singole aziende. Si passa dall’uso del micelio liquido inoculato automaticamente con tutte le attenzioni del caso nelle aziende che fanno grandi numeri, alla inoculazione del micelio in grani, sotto cappa sterile a flusso laminare, come fa lo scrivente,  all’uso dei cosi detti “ stuzzicadenti “ di legno o altre tipologie similari che permettono di inoculare i sacchetti una volta messi a dimora nelle strutture d’incubazione: queste forme d’inoculazione del micelio vanno tutte bene ma chiaramente quello che cambia,  non è quanto il micelio cammina ed invade velocemente partendo dal punto in cui è stato inoculato, cosa che succede normalmente quando il micelio è fresco, puro, vigoroso  ed il substrato è meravigliosamente specifico per lui, ma quanto tempo impiega per invadere in modo uniforme, tutto il substrato di ogni singolo sacchetto; tutti i pani inoculati col micelio,  sia pure di  specie diverse di funghi, devono diventare bianchi in modo uniforme!
Per l’inoculazione del substrato dello Shiitake si può utilizzare, in qualità di micelio, in primis, la segatura arricchita con crusca ( simile in definitiva ad un substrato ) ben compenetrata dal micelio; utilizzando la segatura come micelio da inoculazione, si avrà, una volta seminata all’interno del sacchetto, una sua rapida partenza perché già adattata a quel substrato rappresentato, il più delle volte, proprio da segatura arricchita con della crusca: qui entra in gioco la cosiddetta “ memoria genetica del micelio “.  L’unico difetto in definitiva è quello che, questo tipo di micelio, rappresentato dalla segatura arricchita, è difficile da sgranare, prima del suo utilizzo. E’ per questo motivo che molti operatori preferiscono utilizzare il micelio in grani rappresentato dai chicchi di miglio o riso ben invasi e compenetrati dal micelio medesimo. Il micelio in grani viene sgranato senza problemi e questo, gli permette di essere ben distribuito all’interno del sacchetto, accelerando ed accorciando la fase d’incubazione.
Potendo e soprattutto, quando il micelio lo si auto produce, conviene sempre abbondare leggermente, poiché così facendo, si accelera la fase d’invasione del substrato da parte del micelio medesimo; oltretutto, il micelio in grani rappresenta in definitiva, un piccolo arricchimento dato che è ricco in nutrienti e ciò, gli permette una sua subitanea partenza, quando si trova all’interno del substrato. Comunque, quando il micelio si trova di fronte a delle materie prime diverse, non la solita segatura arricchita, sarà costretto a modificare velocemente il suo metabolismo.
Il micelio rimane in uno stato di vera salute per non più di due mesi ed, anche se sotto refrigerazione, dopo i due mesi, avviene in esso un notevole calo di vitalità: semplicemente invecchia per mancanza di nuovi alimenti da digerire. La produzione di acidi, enzimi ed altri sottoprodotti secreti dal suo metabolismo, lo portano in definitiva ad indebolirsi. Come declina la vitalità del micelio, i funghi predatori ed i batteri si danno da fare per intaccare la sua salute. Il micelio sano a 4 settimane, lo è poco ad otto settimane, e chiaramente, un micelio così, inoculato su di un nuovo substrato, cresce in modo rallentato e riduce la produzione di funghi. Bisognerebbe, quando si acquista il micelio, conoscere sempre la data d’inoculazione, il lotto ed il suo grado di purezza; per non parlare delle condizioni sbagliate del suo trasporto: delle volte parte sano ed arriva spompato, acido per rifermentazione e tutto ciò, durante il suo viaggio a destinazione. Il micelio dovrebbe essere utilizzato quando si presenta al massimo della sua vitalità e conservato, prima del suo utilizzo, in cella frigorifera ad almeno 2°gradi sopra lo zero, possibilmente in una cella diversa da quella dove sono stoccati e refrigerati i funghi: se messi nella stessa cella frigorifera, le spore dei funghi si vanno a depositare sulla superficie dei cartoni o dei sacchetti di micelio e ciò rappresenta un pericolo in quanto esse, possono essere veicolo di infezioni.
Per finire, il micelio ha un suo naturale limite, per quanto riguarda la sua crescita ed espansione e quindi, se viene, come si usa dire “overexpanded“, ovvero, replicato e trasferito troppe volte, la sua vitalità diminuisce, cresce più lentamente e spesso dà segni di declino genetico. Chiaramente parte di queste considerazioni, valgono non solo per il micelio dello Shiitake, ma per i miceli in generale. Si sa comunque, che il micelio di ogni specie, ha le proprie preferenze in merito alla sua nutrizione, alla temperatura durante la fase dell’incubazione ed a quella della fruttificazione.
Dopo che sono stati inoculati, i pani contenenti il substrato, vengono messi nelle strutture, in genere delle scaffalature, per la fase dell’invasione completa del medesimo da parte del micelio, per la cosiddetta fase dell’incubazione. Cosa significa? Significa che a seconda dei ceppi inoculati, si dovrà tenere nell’ambiente delle celle preposte per questa fase, una temperatura tale che permetta al substrato dello Shiitake di mantenersi intorno ai 24° – 25°gradi di temperatura, in linea di massima l’ottimo per il micelio dello Shiitake, per la fase d’incubazione.
Chiaramente, il tempo necessario affinchè il micelio invada completamente tutto il substrato contenuto nei sacchetti di polipropilene o polietilene ad alta densità, oppure ancora, nelle bottigliette di polipropilene, o nei blocchi di 12kg – 13kg, dipende da quanto substrato è contenuto in ogni singola confezione, dal tasso di micelio col quale è stato inoculato, dalla formulazione, dal tasso di umidità del substrato, dalla sua densità e porosità, dalla temperatura a cui si mantiene il substrato, dalla varietà inoculata. Come vedete non è così semplice dire quanto tempo occorra per vedere un pane o bottiglietta di Shiitake, bella bianca. Comunque l’arco temporale può spaziare dai 15 – 20 giorni sino ad un mese – due mesi.

Lo scrivente Lenaz, nel 2021 grazie ad una formula innovativa, non comprendente l’uso della segatura, sottoponendo ad una pastorizzazione ad alta temperatura i suoi pani da kg 2 – kg 3 ottenne una perfetta invasione del substrato da parte del micelio di diversi ceppi di Shiitake, in soli 10 – 15 giorni: da notare che il substrato di quei pani era stato portato in fase di punta termica al di sotto degli 80°gradi. Tutto ciò ritengo sia stato possibile grazie ad una ottima specificità di quel substrato utilizzato, nei confronti di quei ceppi di micelio di Shiitake inoculati! In quell’occasione, avendone a disposizione senza limitazioni, era stata fatta una semina di micelio abbondante ovvero intorno ad un 8% – 10%; ma si sappia che se il substrato non è veramente specifico per quella specie e quei ceppi di micelio, anche una semina abbondante è destinata a fallire: solitamente, dopo un primo tentativo timido di aprirsi, il micelio si blocca e regredisce, facendo subentrare gli inquinamenti! Il Lenaz nei sui decenni di ricerca tante volte ha provato a seminare lo Shiitake su dei suoi substrati preparati appositamente per i Pleurotus ed i Pioppini: il micelio dello Shiitake non è mai riuscito ad invadere quei substrati e nel giro di una, due settimane, essi sono andati sempre soggetti a forme d’inquinamento! Quei substrati non erano stati preparati appositamente per lo Shiitake, non erano dotati di quella “specificità“ particolare di cui abbisognavano! Normalmente quando il micelio ha finito di invadere il substrato, entra in una fase di stasi, la sua produzione di calore e CO2 diminuisce e le sostanze nutritive assorbite si ritrovano depositate all’interno delle cellule. Quanto possa durare questo periodo di riposo del substrato prima che venga assoggettato, nella struttura di coltivazione, alla cosi detta fase d’induzione, varia molto in funzione di tanti parametri. In linea di massima, un substrato si considera pronto per la fruttificazione quando ha cambiato colore, ovvero, quando da bianco è diventato bruno/marrone ed ha formato una pellicola dura e consistente, simile quasi al cuoio; i tronchi a protezione delle infezioni hanno, ognuno, una loro corteccia più o meno spessa a seconda della specie e della grossezza del tronco: i pani per lo stesso motivo, quindi a scopo protettivo ma non solo, si dotano di questa pellicola.
Oggi i ricercatori, sono arrivati addirittura a determinare quando un substrato incubato è pronto per la fruttificazione, misurando il suo contenuto in “Ergosterolo”, un fattore di sopravvivenza che serve a mantenere inalterata la permeabilità della membrana cellulare e, seguendo l’evoluzione, il decorso, del  valore del pH del substrato durante la fase della sua incubazione; Tokimoto e Komatsu, 1978, affermano che un pH tra 3,5 e 4,5 è quello ottimale per la formazione dei primordi e la crescita dei funghi: il calo del pH sino ad un valore di 3,3 è una precondizione  per la formazione dei primordi e dei corpi fruttiferi. Sembrerebbe ci sia una correlazione tra il pH del substrato ed il fatto di essere pronto per la fruttificazione ed il tutto in conseguenza della produzione di “ioni ed acidi“ che vanno ad influenzare in modo importante (Mishra et al 1990 – Hong e Kwon, 1981 – Hong et Al 1986 – )l’attività degli enzimi extracellulari, quella importante opera di demolizione, di  idrolizzazione degli zuccheri complessi , che porta alla formazione di zuccheri semplici assimilabili dal micelio. Come sempre, al di fuori di altri parametri, moltissima importanza ha il binomio Ceppo/Substrato.
Non tutti i ceppi di Shiitake sono adatti per crescere sulla segatura così come, ce ne sono altri, che non sono adatti a crescere sulla paglia ed altri sottoprodotti dell’agricoltura; cambiano i tempi dei vari parametri e le rese in funghi. Ogni varietà ha le sue caratteristiche, i suoi tratti per quanto riguarda la morfologia, lo spessore della sua carne, il colore del cappello, la resistenza ai disagi colturali, le temperature ottimali per la fase d’incubazione e di fruttificazione.
Ci sono molte differenze nell’ambito dei ceppi di Shiitake per quanto riguarda le temperature di fruttificazione; ci sono varietà che preferiscono temperature intorno ai 20°- 25°gradi ed altre, che preferiscono temperature più basse, dai 10°gradi ai 15°gradi. Ogni singola varietà ha le sue esigenze.
Anche se un ceppo è un veloce colonizzatore, non è detto che fruttifichi altrettanto velocemente, poiché potrebbe aver bisogno di un lungo periodo per poter accumulare le necessarie sostanze nutritive di riserva indispensabili alla fruttificazione. Viceversa, ci possono essere delle varietà che invadono il substrato più lentamente ma, appena lo hanno fatto completamente, possono entrare subito in fruttificazione. I ceppi di Shiitake rispondono in modo diverso quando sottoposti alle condizioni colturali che inducono la fruttificazione; rispondono in modo diverso, ceppo per ceppo, a tutte quelle sollecitazioni tipiche della sua coltivazione. Bisogna trovare il “ceppo giusto” per il proprio substrato, perché è proprio così che funziona! Per ottenere un buon risultato con la coltivazione dello Shiitake bisogna, come lo scrivente Lenaz ha sempre affermato, seguire un percorso di ottimizzazione, provando e riprovando, non ci sono alternative!
Quando il micelio dello Shiitake è completamente maturo ed a questo proposito i punti di vista sono diversi, si induce la fruttificazione; le azioni che promuovono la fruttificazione, in linea di massima, possono essere le seguenti: la fluttuazione delle temperature, una umidità ambientale elevata, un’immersione in acqua a temperature diverse e per tempi diversi, la rimozione del tasso elevato della CO2, apporto di aria fresca attraverso la ventilazione, shock fisici come l’agitazione (disturbance), invertire la posizione dei sacchetti da sopra a sotto, immettere acqua nel substrato con degli iniettori metallici, battere, percuotere (beating) il substrato.
Quindi sono i cambiamenti dei parametri ambientali, quelli che provocano la formazione dei primordi durante la fase di fruttificazione.
Ciò che determina l’inizio della formazione dei primordi sono: il calo della temperatura, il calo della concentrazione della CO2, l’aumento dell’intensità luminosa, l’aumento dell’umidità ambiente nella cella di fruttificazione, l’apporto di ossigeno attraverso l’aumento di aria esterna ed abbassamento del tasso di CO2 attraverso la ventilazione. Più precisamente, bisognerà abbassare la temperatura in funzione del ceppo utilizzato, abbassare il tasso di CO2 portandolo al di sotto dei 1000ppm, incrementare l’apporto di ossigeno aumentando la frequenza dei ricambi d’aria che dovrebbero essere di 4 – 8 volte per ogni ora e certamente per quanto riguarda questo aspetto, la presenza di sensori di CO2 potrebbe essere interessante per decidere quando e quanto intervenire con l’arieggiamento; bisogna aumentare l’umidità ambiente portandola, a seconda del ceppo utilizzato e della tecnica di coltivazione utilizzata, a valori che possono variare dal 60% all’80% ed aumentare l’intensità luminosa che dovrà essere portata dai 500 ai 2000 lux a 370 – 420 nanometri.
Durante la fruttificazione, di solito, si attua una fluttuazione della luce; alcuni coltivatori mantengono temperatura ed umidità costanti, mentre altri, simulando ciò che avviene in natura, fanno fluttuare entrambe e questo ultimo modo di procedere permette di ottenere dei funghi di alta qualità. Una fluttuazione costante dell’umidità durante la fruttificazione permette non solo di migliorare la qualità dei funghi, ma anche un calo delle possibili contaminazioni. Diverse volte, durante la giornata si lascia fluttuare alternando, il tasso di umidità ambiente da un 70% sino ad un 90% ciò che permette ai cappelli dei funghi cresciuti in queste condizioni ambientali, di presentare una superficie esterna più dura e coriacea che li fa durare più a lungo ( Stamets ,2000).
Affinchè i funghi durino meglio e più a lungo bisognerebbe portare l’umidità ambiente delle celle di coltivazione al 60% almeno 12 ore prima della raccolta. Il momento ideale per la raccolta dei funghi, quando si attua la tecnica del “Brown in bag”, è quello con i funghi che presentano ancora i margini dei cappelli all’ingiù ciò che grossomodo significa una espansione del cappello dei funghi pari ad un 60% – 80%. Dopo la raccolta, l’umidità ambiente viene abbassata e portata intorno ad un 30% – 50%, la temperatura della cella di coltivazione e quindi del substrato viene portata a 21°gradi per 7 – 10 giorni, ciò che Stamets, 2000, definisce nel suo insieme, la fase di “ Dormancy “. Successivamente i blocchi vengono immersi in acqua fredda per più di 12 ore per indurre la seconda volata e poi per più di 18 ore per la terza volata (Royse, 2001).
Nei vari decenni, iniziando dagli anni 1970, sono state moltissime le ricerche effettuate nel mondo e soprattutto in Asia, per capire come era possibile coltivare lo Shiitake al meglio, per ottenere delle rese elevate e dei funghi morfologicamente perfetti. Quanto precede, proviene dalla lettura di molta bibliografia internazionale da parte dello scrivente Lenaz e, dai 50 anni di sue esperienze personali vissute intensamente nel mondo della fungicoltura italiana ed iniziate negli anni 1970 in seno alla “Forestal Funghi”, poi “all’Agrifung”  e proseguite infine, per alcuni anni, in altre importanti aziende del settore; a quella iniziale di manager commerciale e quella di tecnico di platea e direttore del laboratorio di analisi delle materie prime è seguita per vari decenni, grazie alla costruzione di un suo impianto pilota, quella di ricercatore indipendente e preparatore di substrati e trattamenti termici di pastorizzazione e semisterilizzazione innovativi: negli ultimi 20 – 30 anni , partendo dagli anni 1990,  il Lenaz  più volte aveva seminato con qualche ceppo di Shiitake i suoi substrati pastorizzati sfusi nel suo tunnel, senza però mai avere il piacere di vederli incubare senza problemi di successivi  inquinamenti!  Il lenaz però, come appena affermato, era consapevole che i suoi substrati non erano quelli adatti per lo Shiitake. L’uso importante della paglia a quei tempi, quale substrato di base, rappresentava già un problema poiché i laboratori di micelio non disponevano di ceppi adatti per essa, come invece volendo, oggi, si riescono a trovare; inoltre i substrati testati, quelli adatti per la famiglia dei Pleurotus, avevano dei parametri fisico-chimici diversi e non adatti per il micelio dello Shiitake di quegli anni. Sapendo che nel tempo, in Italia, questo fungo dalle proprietà nutraceutiche importanti, avrebbe ricevuto un buon consenso da parte dei consumatori italiani, il Lenaz in questi ultimi 3 – 4 anni ha svolto un intenso lavoro di ricerca per trovare dei substrati adatti allo Shiitake; per quanto riguarda lo Shiitake, la formulazione ed i trattamenti termici a cui il substrato viene sottoposto sono della massima importanza, insieme naturalmente ai ceppi di micelio utilizzati. In merito allo Shiitake, lo scrivente Lenaz non si stanca mai di affermare quanto sia importante la specificità del substrato, poiché deve essere proprio quello adatto per lo Shiitake e per i ceppi di micelio inoculati, perché solo così essi potranno mettere in evidenza la loro “abilità saprofitica competitiva“! In questi ultimi anni lo scrivente si è dedicato con passione a ricercare del substrato adatto per lo Shiitake senza però mai utilizzare la classica segatura arricchita per motivi legati alla variabilità della sua composizione ed ai suoi diversi tempi di stagionatura delle volte necessari. Lo scrivente, quando possibile ha sempre cercato di utilizzare delle formulazioni nelle quali entravano solamente delle materie prime pure, facili da reperire e costanti, per quanto possibile, nella loro composizione. Già da diversi anni comunque, insieme ad amici che condividevano le mie passioni, lo scrivente aveva testato positivamente  diverse formule, alcune delle quali  funzionavano e funzionano bene sia per i Pleurotus  Eryngii che per lo Shiitake, ma quest’ultimo allora, 15 anni fa,  non era motivo d’interesse:  queste formule che non prevedono la presenza della segatura e che sono  costituite da 5 – 6 materie prime,  hanno sempre portato i  tradizionali pani da circa 4 kg ad incubarsi perfettamente in tempi veloci, a formare numerosi “ Pop Corn “  e successivamente pure dei bei funghi  Shiitake.

Fasi di coltivazione di Shiitake
Formazione dei “Pop Corn” sulla superficie del substrato di alcuni pani di Shiitake, anche se ancora bianchi!

Shiitake in fruttificazione
Shiitake in fruttificazione su formula nuova e particolare di Lenaz, senza segatura

Un bel lavoro di ricerca del Lenaz sullo Shiitake, era iniziato nella primavera del 2021, protrattosi poi sino alla fine del medesimo anno. Nella primavera di quell’anno il Lenaz aveva testato una formula molto semplice e suggerita da alcuni ricercatori che probabilmente l’avevano utilizzata sperimentalmente negli anni 1990, modificandola in parte leggermente nella sua composizione iniziale; la formulazione è sempre stata mantenuta eguale per quanto riguarda le materie prime  utilizzate, mentre di volta in volta nel proseguimento delle diverse prove, effettuate sempre nel corso del 2021,  venivano modificati i tenori di umidità  del substrato, il valore del suo pH,  le temperature  e la durata delle punte termiche durante i procedimenti di semisterilizzazione o pastorizzazioni ad temperatura elevata. Con questa nuova formula, che non prevedeva la presenza della segatura, il Lenaz aveva testato dei pani da kg 2 – kg 2,500 – kg 3 e kg 3,500; i tassi di umidità testati variavano da un 55% sino ad un graduale 70%. Questa nuova formula prevedeva l’utilizzazione di solo due materie prime di cui una però, era abbastanza ricca in azoto organico, addizionate di un po’ di gesso.
La prima volta, il substrato, contenuto sfuso in alcuni sacchi capienti, era stato sottoposto “per immersione” in acqua, ad una pastorizzazione a 75°gradi per alcune ore, e poi alla fine della punta, subito drenato sino al giorno successivo, quando venne, all’aria aperta, insacchettato con contemporanea semina, sigillato, dotando però chiaramente, ogni sacchetto, di un filtro per la microssigenazione del micelio.  Questo substrato, lasciato drenare, come appena detto,  dell’acqua in eccesso sino al giorno dopo, (desidero segnalare come questo substrato probabilmente aveva un tasso di umidità abbastanza elevato, variabile da un 70% ad un 75%)seminato al 10% circa con due ceppi di micelio di Shiitake,  uno era il ceppo 600 dell’Italspawn ed il secondo l’Le-80  della Miko , era stato invaso completamente da quest’ultimi in circa 10 giorni: a 20 giorni dalla semina erano già perfettamente incubati  nonostante che nella serretta dove erano stati riposti, non era stato fornito alcuna forma di riscaldamento. I pani sono stati lasciati maturare sino a 55 giorni e poi essendo iniziata la formazione dei “Pop-Corn”, sono stati immersi in acqua per una notte: alcuni giorni dopo l’immersione in acqua, i pani hanno iniziato a fruttificare: praticamente a 60 giorni dalla semina alcuni funghi erano già abbastanza differenziati e quasi pronti per la raccolta mentre altri si stavano differenziando e crescendo!
Dopo questa prima prova, i test di questa nuova formulazione, chiaramente, proseguirono durante l’anno, utilizzando però per i procedimenti termici di semisterilizzazione, il forno che veniva solitamente utilizzato per il substrato del Cardoncello e, per la semina dei pani, la cappa a flusso laminare sterile. Le prove eseguite durante tutto l’anno 2021 hanno confermato quanto il Lenaz aveva sempre affermato anche nella sua recente pubblicazione “I Funghi Pleurotus“ della BookSprint, ovvero, quanto sia importante per ogni specie fungina ed i suoi ceppi di micelio, avere a disposizione quell’ insieme di materie prime, quella miscela ideale e specificatamente adatta per loro, per la loro nutrizione.  Una composizione ideale del substrato significa per ogni ceppo di micelio, poterlo degradare velocemente con i suoi enzimi extracellulari di cui è dotato e permettere così una fase d’invasione da parte sua, veloce e senza problemi. Quanto affermato, vale chiaramente per tutte le specie di funghi, ma per lo Shiitake a maggior ragione. Il Lenaz, come già affermato anche nel corso di questo testo, ha più volte constatato personalmente nel corso dei decenni, come un substrato se non è quello adatto e specifico per una specie e ceppo di micelio, difficilmente viene invaso senza problemi ed il più delle volte si inquina anche se seminato con un tasso abbondante di micelio: questo vale in modo particolare per il micelio dello Shiitake! Per lo Shiitake è della massima importanza il binomio “Ceppo di micelio/Substrato”. Nel corso delle varie prove si è constatato come il substrato seppur pressato ma  se dotato di una struttura giusta,  legata alle materie prime utilizzate e quindi, con un ottimo rapporto all’interno dei sacchetti, tra lo spazio vuoto e quello pieno, lo si possa dotare di un buon tasso di umidità, anche intorno ad un 70%, senza avere problemi di percolamento al fondo dei pani dopo il trattamento a caldo a cui viene assoggettato: i migliori risultati di questa nuova formula si sono ottenuti proprio con un tasso del substrato che andava dal 65% al 70%. E’ chiaro che utilizzando per lo Shiitake, come materia prima, all’70% – 80%, solo la segatura senza l’uso contemporaneo dei chips delle medesime essenze arboree e presentanti una buona granulometria, potremmo avere un substrato privo di quella necessaria struttura che permette la microssigenazione del micelio. Struttura, umidità, peso, dimensione e grado di pressatura del substrato all’interno dei sacchetti, sono tutti parametri che vanno tenuti in debita considerazione quando si prepara il substrato per lo Shiitake.

Shiitake in serra
Shiitake in fruttificazione…in serretta non riscaldata

Lenaz Raoul, esce dall’Istituto “Cerletti” di Conegliano come Enologo e come tale ha operato per diversi anni nel settore enologico. Agli inizi degli anni 1970 viene introdotto nel mondo della fungicoltura operando come tecnico di laboratorio e di Platea nell’ Agrifung, la più grande azienda italiana che preparava substrato incubato per la coltivazione del prataiolo e quello solo seminato per i Pleurotus. Suo compito era anche quello di visitare le fungaie a livello nazionale. In seguito negli anni, ha operato come ricercatore indipendente, costruendosi un impianto pilota adatto per la ricerca di substrati e procedimenti di pastorizzazione innovativi. Per circa 30 anni, si è dedicato a preparare e mettere a punto un substrato solo pastorizzato in massa, per la coltivazione dell’Eryngii e del Pioppino, oltre chiaramente, per i Pleurotus. È pure detentore di un brevetto per un substrato innovativo adatto alla coltivazione di più specie di funghi. Negli ultimi sei anni si è dedicato alla preparazione di substrati per il Cardoncello ed ai procedimenti di semisterilizzazione più appropriati cui sottoporli.

 

 Libro funghi  

Titolo: I funghi Pleurotus

Autore: Raoul Lenaz

 

Aspetti della preparazione e della coltivazione dei Pleurotus e del Pleurotus Eryngii, il Cardoncello presente nel bacino del Mediterraneo. Come calcolare i vari arricchimenti dei substrati. Il tunnel di pastorizzazione. Riflessioni sulle pastorizzazioni e semi-sterilizzazioni e loro importante ricaduta sulle biomasse microbiologiche e, quindi, sulla selettività dei substrati. Significato della selettività.

 

I funghi Pleurotus di Raoul Lenaz – Casa Editrice BookSprint Edizioni

 

 

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