di Diego Terranova
Introduzione
Cosa sono? Probabilmente il termine suona poco familiare a chi si occupa di agricoltura e non è ferrato in questioni finanziarie: i derivati climatici sono contratti finanziari (come le opzioni e i futures), ma con caratteristiche che li fanno assomigliare a un’assicurazione. Esempio: due parti (un agricoltore e un ente finanziario) si accordano in questo modo: l’agricoltore a gennaio paga un premio di 1000 € all’ente finanziario, e quest’ultimo si impegna, dopo luglio, a corrispondere all’agricoltore una somma di denaro proporzionale ai millimetri di pioggia eccedenti una quantità prefissata, rappresentante il totale della pioggia caduta a giugno e luglio che l’agricoltore considera dannoso superare. In sostanza l’agricoltore si sta assicurando contro l’eccesso di pioggia nel periodo giugno – luglio.
Approfondiamo l’esempio
C’è un “premio”: i 1000 €;
c’è una variabile climatica: i millimetri totali di pioggia caduta nel periodo giugno – luglio;
c’è una quantità massima della variabile climatica (chiamata strike) oltre la quale scatta il pagamento da parte dell’ente finanziario: poniamo che lo strike sia di 100 mm
c’è una somma di denaro che l’ente finanziario deve pagare per ogni millimetro eccedente lo strike: diciamo 400 €;
c’è (quasi sempre) un massimale di pagamento: diciamo 20000 €;
c’è una stazione di rilevamento meteorologico di un ente terzo i cui dati vengono presi in considerazione dalle parti del contratto: esempio: se il campo dell’agricoltore ha sede a Bagnaria (PV) una scelta logica potrebbe essere la stazione di Varzi (PV) dell’ente meteorologico ARPA Lombardia.
Nascita e uso attuale dei derivati climatici
I derivati climatici sono un prodotto recente, in quanto il primo derivato nacque nel 1996 come clausola fra due aziende americane produttrici di energia elettrica: una di esse comprò dall’altra una fornitura per il mese di agosto, con la clausola di avere uno sconto qualora il mese si fosse rivelato più freddo del previsto (con conseguenti minori introiti dovuti all’uso inferiore dei condizionatori d’aria da parte degli utenti).
In questo primo contratto la variabile climatica presa in considerazione fu la temperatura e le aziende contraenti furono aziende produttrici di energia; dal 1996 il mercato dei derivati climatici è cresciuto, e le variabili climatiche prese in considerazione sono le più varie: temperatura, livello di pioggia, livello di neve, forza del vento ecc. ecc.. Si nota comunque che i principali utilizzatori dei derivati climatici sono ancora i produttori di energia, e la variabile climatica maggiormente presa in considerazione è sempre la temperatura: la quantità ormai consistente delle transazioni ha fatto sì che questi prodotti finanziari siano attualmente quotati al CME (Chicago Merchant Exchange), per la variabile temperatura rilevata in otto città americane e in due europee (Londra e Amsterdam).
C’è però anche un mercato OTC (=over the counter: in gergo finanziario: i contratti che vengono stipulati al di fuori delle borse), ben più consistente e con l’uso di varie variabili climatiche (non solo la temperatura): USA e Canada sono le nazioni avanzate più coinvolte, ma si rileva un utilizzo anche da parte di qualche nazione del “terzo mondo” (es.: Marocco: derivati climatici applicati all’agricoltura), a causa dell’assenza, in queste nazioni, di un’adeguata rete assicurativa. Se un contratto dipende solo da un indice climatico, infatti, non c’è alcun bisogno di periti assicurativi!
Possibili applicazioni all’agricoltura
In USA e Canada c’è una rilevante attività di ricerca accademica relativa al possibile utilizzo dei derivati climatici come strumento di copertura dai rischi del tempo avverso: chi scrive ha avuto modo di appurarlo avendo partecipato, nel 2015, a un congresso a Washington su assicurazioni e finanza applicate all’agricoltura. Purtroppo, a questo congresso, si notava una presenza enorme di ricercatori americani e canadesi, molto scarsa di europei e infinitesimale di italiani (due: lo scrivente e un ricercatore dell’Università di Bergamo, che però non parlava di derivati climatici).
Anche in USA e Canada, però, l’impressione ricevuta è che, per quanto riguarda l’applicazione reale all’agricoltura di questi prodotti, si sia ancora agli inizi.
C’è infatti il problema del cosiddetto “basis risk”: tornando all’esempio fatto all’inizio, dell’agricoltore che ha il campo a Bagnaria ma fa riferimento alla precipitazione rilevata a Varzi, non potrebbe accadere che a Bagnaria c’è stato un rovinoso rovescio ma a Varzi no? In tal caso l’agricoltore, pur danneggiato, non riceverebbe nulla!! Certo, se è fortunato, potrebbe ricevere soldi senza aver avuto danni: in ogni caso il concetto di “basis risk” è questo: la lontananza della stazione di rilevamento climatico dal campo agricolo crea problemi.
A un agricoltore singolo però, non, presumibilmente, a un’associazione di agricoltori.
Buone prospettive di applicazione in Europa (e in Italia)?
In Europa la nuova PAC incoraggia gli agricoltori a costituire fondi mutualistici per fronteggiare le avversità (atmosferiche e non): certi fondi sono già nati, come ad esempio quelli dell’associazione interregionale Agrifondo Mutualistico dei Condifesa di Veneto e Friuli Venezia Giulia. Esaminando due di questi fondi (Fondo Mais e Fondo Risemina) si nota che vengono presi in considerazione rischi del tutto adatti ad essere inclusi in un derivato climatico: rischio gelate e rischio siccità (trattabili con la variabile climatica temperatura) e rischio eccesso di pioggia (variabile climatica precipitazione). Per un fondo di questo tipo il pericolo basis risk non si porrebbe: un periodo di alluvioni nell’area Veneto – Friuli danneggerebbe molti campi sparsi in un territorio esteso: il fondo dovrebbe rifondere un alto numero di agricoltori e il rischio, per il fondo medesimo, di “andare in rosso” potrebbe essere eliminato proprio da un derivato climatico ben progettato.
Chi sono le controparti di un derivato climatico?
Gli enti finanziari che comunemente entrano come controparti nei derivati climatici sono le riassicurazioni e i fondi speculativi, a volte anche le banche (due derivati climatici italiani sono stati stipulati anni fa fra la Banca Popolare di Sondrio e le aziende Ascotrade (energia) e Fonte Tavina (acque minerali)). Le riassicurazioni gestiscono il loro rischio mediante il fatto che i loro contratti sono sparsi in tutto il mondo; i fondi speculativi possono gradire di avere un investimento slegato dagli andamenti dell’economia, quale può essere un derivato climatico, che è legato solo al clima.
Come progettare un derivato climatico?
Supponiamo che un fondo mutualistico di agricoltori, per evitare il pericolo di “andare in rosso” a causa di un eccesso di pioggia nei mesi di giugno e luglio, decida di progettare un derivato climatico legato alla precipitazione. Che significa progettare? Significa stabilire una prezzo massimo che il fondo sarà disposto a pagare alla controparte finanziaria per ottenere dalla medesima un pagamento aleatorio in caso di clima avverso (cioè troppa pioggia).
E’ bene precisare che i derivati climatici possono essere progettati in modi molto vari, limitati solo dalla capacità inventiva di chi li progetta. Nel caso, ad esempio, dell’Agrifondo Mutualistico dei Condifesa di Veneto e Friuli Venezia Giulia, il derivato potrebbe basarsi non su una sola stazione di rilevamento, ma su un insieme di esse sparso sulle due regioni, e il metodo di pagamento potrebbe non essere semplicemente proporzionale (a scaglioni, ad esempio). E, una volta scelta la procedura del rimborso aleatorio, come decidere il prezzo massimo in base al quale accettare o meno la proposta dell’ente finanziario? Combinando un’analisi storica, un po’ di statistica e del buon senso.
Per quanto riguarda l’analisi storica il procedimento è molto semplice (dagli esperti è chiamato Burn Analysis): si vede cosa sarebbe successo se il derivato climatico fosse stato in funzione nei 5 – 10 anni precedenti (per i quali i dati di precipitazione sono registrati); con un po’ di statistica e buon senso si potrebbe fare poi una previsione di come il derivato potrebbe performare in futuro, e in base a questa previsione stabilire un prezzo massimo.
Conclusioni
Chi scrive ritiene i derivati climatici utili strumenti per fronteggiare i cambiamenti climatici in atto, e il loro impatto negativo sull’attività agricola. Utili anche in considerazione dei nuovi orientamenti della politica agricola comune europea.
Diego Terranova, docente di matematica e fisica in un liceo di Lodi, ha svolto consulenze di statistica e matematica applicata per aziende ed enti pubblici, ed ha usufruito di vari anni di congedo retribuito dall’insegnamento per svolgere attività di ricerca in varie università italiane. Da qualche anno studia i derivati climatici, sui quali ha presentato una relazione, nel 2015, al congresso IARFIC (International Agricultural Risk, Finance, and Insurance Conference) di Washington (www.iarfic.org). Mail: diego.terranova1@libero.it