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di Lisetta Ghiselli, Remigio Tallarico, Sigfrido Romagnoli
La biodiversità del luppolo spontaneo (Humulus lupulus L.) come risorsa locale nella preparazione di birre artigianali.
La pianta del luppolo, tipica degli ambienti temperati, si trova diffusa spontaneamente in molti ambienti europei di cui è originaria. Individuata come pianta utile per la preparazione di una bevanda alcolica chiamata braga dai popoli slavi, successivamente dal secolo XVI iniziò a diffondersi come coltura nei paesi a tradizione birraria: Germania, Belgio, Francia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Inghilterra.
Infiorescenze femminili di luppolo stontaneo
In Italia la conoscenza della pianta del luppolo si ebbe in seguito alla calata dei popoli nordici nella nostra penisola. Fino ai primi decenni dell’Ottocento in cui si è avuto l’impianto dell’industria birraria in Italia, il luppolo non ha trovato interesse da parte degli agricoltori, malgrado i tentativi per diffondere la coltivazione. I principali motivi della mancata affermazione di questa coltura sono legati a diversi aspetti quali la tradizione viticola del nostro Paese e la scarsa diffusione della birra come bevanda rispetto al vino. In definitiva si riscontrava la mancanza di una sufficiente filiera di utilizzo del prodotto, che non trovava adeguati sbocchi commerciali. Il successivo sviluppo della produzione di birra in Italia non ha comunque stimolato di pari passo anche la diffusione della coltura del luppolo, poiché tale materia prima è di facile approvvigionamento nei paesi europei confinanti, dove la coltivazione è molto diffusa grazie ad una consolidata industria birraria. Ancora oggi il luppolo per produrre birra sia industriale che artigianale viene importato dai Paesi esteri, in particolare Germania, Belgio, Repubblica Ceca, Slovacchia, Stati Uniti, ecc. Con l’avvento dei PSR promossi dalla UE oggi vengono rivalutate molte specie scomparse o di nuova introduzione, tra cui anche il luppolo di cui si sta consolidando la filiera di utilizzo sia nell’industria farmaceutica ed erboristica che nelle produzioni agroalimentari, in particolare nel settore dell’homebrewing. Tale settore è in continua espansione grazie al Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 5 agosto 2010, che ha equiparato a prodotto agricolo la birra prodotta in azienda o in piccoli birrifici artigianali.
Attualmente si registra il proliferare di numerosi microbirrifici artigianali (circa 500 secondo dati di Assobirra), in continua espansione in tutte le regioni della penisola; in molti casi essi hanno raggiunto ottimi standard qualitativi, tali da essere annoverati nelle guide alle birre d’Italia promosse dalle varie associazioni per la tutela delle produzioni agroalimentari di qualità. È in espansione anche la produzione di birra a livello hobbistico, per il consumo prettamente domestico. La birra artigianale come prodotto aziendale, insieme ad altri prodotti tipici, viene inclusa nelle specialità offerte dalle aziende agrituristiche ai propri avventori. Si tratta di un prodotto che, in confronto alla birra industriale, presenta caratteristiche di gusto e aroma particolari, legate alla specifiche modalità di preparazione; la birra artigianale inoltre, non essendo pastorizzata, risulta ricca di metaboliti importanti per la salute del consumatore, e, non ultimo, può mettere in evidenza le tradizioni e la storia del luogo in cui viene prodotta. La mancanza di una vera e propria filiera produttiva che comprenda anche la fase agricola delle materie prime rende più oneroso per l’attività birraria artigianale l’approvvigionamento di tali materie, rendendo la birra così ottenuta più costosa e non accessibile a tutte le fasce di consumatori, ma risulta penalizzante anche per il prodotto che ne deriva, che non può essere considerato effettivamente legato al territorio.
La costante crescita dei birrifici artigianali comincia attualmente a stimolare anche piccole produzioni di materie prime quali orzo e luppolo. Per quando riguarda l’orzo è vivace la riscoperta e il recupero di varietà locali e di antica coltivazione, mentre per il luppolo si stanno sviluppando piccole coltivazioni diffuse a macchia di leopardo su tutto il territorio nazionale sia a livello hobbistico che sperimentale, utilizzando cultivar estere di consolidate caratteristiche, impiegate molto diffusamente nella produzione di birra industriale e artigianale. La birra artigianale oggi è un prodotto di diffusione nazionale con aziende che producono decine di migliaia di bottiglie con ottimi volumi di affari. I molti ecotipi di luppolo spontanei diffusi nelle svariate nicchie ecologiche del nostro paese, oltre ad essere un prezioso patrimonio di biodiversità, costituiscono materiale utile per l’economia locale proprio per i numerosi utilizzi che se ne possono fare. L’uso che in questa sede ci interessa maggiormente è quello dell’amaricazione della birra, che presenta numerosi risvolti tecnologici in quanto conferisce alla bevanda una miriade di gusti e sapori, in particolare nella produzione di birre artigianali, le quali proprio grazie a queste materie locali, possiedono spiccate caratteristiche di tipicità legate ai diversi agroecosistemi in cui le materie prime si sono prodotte. Infatti la diversità di ecotipi di luppolo sviluppatisi nei numerosi microambienti del nostro paese si manifesta con differenti contenuti e tipologie di resine e oli essenziali che contribuiscono a caratterizzare la tipicità di una birra artigianale.
Situazione della birra nel comparto agroalimentare italiano
Nonostante l’industria della birra in Italia sia di impianto relativamente recente, con i primi stabilimenti risalenti agli anni ’40 dell’Ottocento, il settore birrario in Italia costituisce una realtà economica e produttiva di tutto rispetto, con una produzione secondo l’ultimo rapporto Assobirra (dati del 2013) di 13,26 milioni di ettolitri ed un impiego di 4750 occupati. La produzione birraria si realizza in 16 stabilimenti industriali e in circa 500 microbirrifici; questi ultimi producono circa 320.000 hl all’anno (solo il 2,4% del totale) ma rappresentano una percentuale importante degli occupati con circa 1.700 unità (oltre il 35%), oltre ad assicurare i prodotti maggiormente caratterizzati sotto l’aspetto organolettico. Resta però un notevole passivo commerciale in quanto, nello stesso 2013, le importazioni sono state di 6,17 milioni di ettolitri, mentre le esportazioni assommavano a 1,93 milioni di ettolitri. La situazione è ancora peggiore per quanto riguarda le materie prime: a fronte di un consumo annuo di malto pari a 158.141 t, la produzione nazionale nel 2013 è stata di sole 67.370 t. Il luppolo impiegato nel 2013 ammontava a 3.481 t, pressoché totalmente importato; il principale Paese fornitore è di gran lunga la Germania con il 95% circa delle importazioni.
Breve descrizione del luppolo
Il luppolo (Humulus lupulus L.) è una pianta erbacea decidua appartenente alla famiglia delle Cannabaceae. Presenta un rizoma il quale conferisce perennità alla pianta mediante lo sviluppo primaverile di numerosi getti che accrescendosi si trasformano in fusti rampicanti flessibili e volubili, raggiungendo altezze anche superiori agli 8 metri. I fusti, di forma semiquadrangolare e cavi all’interno, presentano piccole appendici spinescenti che consentono al tralcio, il cui apice vegetativo ha una velocità di accrescimento di oltre 30 cm/giorno, di aggrapparsi avvolgendosi in senso orario a qualsiasi sostegno: tronchi, pali, ecc. Di norma la parte aerea delle piante è uccisa dal gelo invernale, ma nuovi germogli si sviluppano nella primavera successiva.
Le foglie sono cuoriformi o palmato-lobate con 3-5 lobi, con margine seghettato, picciolate, situate sul fusto in posizione opposta. La pagina superiore si presenta rugosa mentre quella inferiore è resinosa.
Infiorescenze maschili di luppolo sponteneo
I fiori sono di colore verdognolo; essendo il luppolo una specie dioica, sono unisessuali e quindi sono presenti su piante separate. I fiori maschili, o staminiferi, sono riuniti in pannocchie pendule (Fig. 1); ciascun fiore presenta 5 tepali fusi alla base e 5 stami. I fiori femminili, o pistilliferi (Fig. 2), sono formati da un ovario munito di due lunghi stimmi pelosi e sono disposti a due a due all’ascella di brattee membranose situate su un asse lungo 2-3 cm, formando un amento globoso detto comunemente cono. All’interno delle brattee sono presenti le ghiandole di colore giallo in cui è contenuto un composto di sapore amaro e resinoso costituito da alfa- e beta-acidi, detto “luppolina”. Sono presenti anche polifenoli e numerosi oli essenziali; questi ultimi sono i principali responsabili dell’aroma delle diverse varietà di luppolo.
Il frutto è un achenio situato all’ascella delle brattee dell’infiorescenza femminile.
Per quanto riguarda la biologia della pianta, il luppolo, come abbiamo accennato, ha ciclo primaverile-estivo. In primavera (marzo-aprile) dai rizomi radicali spuntano numerosi germogli. In condizioni climatiche ideali (18-22 °C) i germogli si sviluppano molto rapidamente; la fase vegetativa è di circa 7 mesi. Nei primi 4 mesi (marzo-giugno) si ha la maggior parte dello sviluppo in altezza, con una notevole formazione di fitomassa. Nel mese di luglio, fino a metà del mese di agosto, si hanno le fasi di fioritura, fecondazione e allegagione dei coni e nel mese di settembre la maturazione dei coni e la relativa raccolta.
Cenni di tecnica colturale
In Italia non esiste la coltivazione su larga scala del luppolo. In questi ultimi anni, con l’avvento dei birrifici artigianali, si possono censire lungo tutta la penisola delle piccole superfici destinate a luppoleti per uso di ciascun birraio artigianale; la messa a dimora dei luppoleti fa comunque uso di materiale di propagazione di provenienza estera con cultivar di provate qualità.
Le zone più rinomate e famose per la coltivazione del luppolo e anche per la qualità del prodotto sono situate nel centro e nord Europa, quali ad esempio la Boemia (Saaz), il nord della Baviera (Hallertau), le zone di Spalt e di Tettnang in Germania, la regione del Kent in Inghilterra.
Coltura sperimentale di Luppolo
Le varietà di luppolo sono molto numerose e si distinguono in tre grandi gruppi: varietà aromatiche a bassa percentuale di alfa-acidi ma ricche di oli essenziali, varietà amaricanti con alta percentuale di alfa-acidi, varietà a duplice attitudine. Tra le prime si citano gli ecotipi provenienti appunto dalle regioni di coltivazione della Repubblica Ceca (Saaz) e della Germania (Hallertau, Spalt, Tettnang), e inoltre varietà inglesi (Fuggle, Goldings, Sovereign), statunitensi (Ahtanum, Amarillo, Cascade, Centennial, Liberty, Vanguard, Willamette), neozelandesi (Motueka), ecc. I luppoli amaricanti provengono per la maggior parte dagli Stati Uniti (ad esempio Admiral, Apollo, Bravo, Columbus, Galena, Magnum, Millennium, Nugget), ma anche dalla Germania (Herkules), dal Regno Unito (Phoenix, Pilgrim, Pioneer, Target), dalla Nuova Zelanda (Green Bullet, Pacific Gem, Southern Cross, Summit), ecc. Tra le varietà a duplice attitudine vi sono Chinook, Cluster, El Dorado, Warrior (Stati Uniti); Challenger, First Gold (Regno Unito); Premiant, Sladek (Repubblica Ceca); Galaxy (Australia); Nelson Sauvin, Rakau, Super Alpha, Wakatu (Nuova Zelanda), ecc.
La coltura inizia con la preparazione del terreno che prevede uno scasso autunnale di 70/80 cm, incorporando anche i concimi organici. In primavera avviene la messa a dimora delle talee, formate da parti di rizoma, con una densità di circa 2-2,5 piante/m2 per le cultivar più precoci e 1-2 piante/m2 per quelle più tardive, che tendono a produrre più vegetazione.
Poco prima di iniziare la piantagione, in corrispondenza dei posti che saranno occupati dalle talee, si fanno delle piccole buche, larghe e profonde 25-30 cm. La messa a dimora avviene verso la fine di marzo/inizio di aprile ponendo in ciascuna buca la talea, che poi si copre con uno strato di terra per favorire il radicamento. Dopo circa due settimane iniziano a spuntare i germogli che possono entrare in produzione nello stesso anno, ma occorre attendere il secondo anno per ottenere un prodotto di buona qualità.
Il luppolo è una pianta rampicante e necessita quindi di strutture di sostegno (Fig. 3) che vengono generalmente piantate nel secondo anno. Nel caso si preveda la raccolta meccanizzata, superiormente alla palificata viene predisposta una rete a maglia che copre tutto l’impianto, in modo che le infiorescenze che portano i coni penzoleranno dalla rete e potranno essere raccolte facilmente.
Alla fine del primo anno le piante vengono potate ad un’altezza di circa 30 cm, ricoprendole successivamente con terra. Negli anni successivi, le cure colturali consistono principalmente in sarchiature per eliminare le infestanti, in concimazioni di mantenimento e in lavorazioni dell’interfila; ad ogni raccolta si fa seguire la potatura con asportazione dei sarmenti.
Nella primavera le piante sono sottoposte al taglio di una parte dei germogli: l’operazione si effettua quando il luppolo inizia a vegetare, sopprimendo un certo numero di getti, ed assicurando così ai germogli residui un vigore adeguato per una buona produzione.
Le eventuali piante maschili sviluppatesi dai rizomi o comunque presenti nell’appezzamento devono essere estirpate perché la fecondazione danneggia la qualità dei coni, con formazione di semi che nel processo di birrificazione portano al conferimento di un gusto eccessivamente amaro e non voluto.
La raccolta si effettua quando i coni (asportati insieme ad 1 cm di pedicello) presentano un colore verde, con sfumature gialle, squame chiuse e al tatto un po’ untuose, di consistenza elastica; in questa fase la luppolina all’interno del cono è abbondante e di colore giallo-limone e nel luppoleto si diffonde un odore forte, aromatico e caratteristico, dovuto agli oli essenziali presenti nei coni. La maturazione avviene dalla metà di agosto alla fine di settembre e il periodo ideale per la raccolta dura dai 10 ai 20 giorni; operando in fasi precedenti o successive la qualità del prodotto sarebbe compromessa.
Subito dopo la raccolta il luppolo viene conferito all’essiccatoio, con una temperatura che non deve superare i 50-60°C allo scopo di evitare possibili alterazioni dei principi attivi.
I luppoli più pregiati hanno coni piccoli (2-3 cm di lunghezza) ed omogenei. Il loro colore deve essere giallo, leggermente sfumato di verde; se prevale il verde significa che la raccolta è stata precoce, se invece le sfumature vanno dal rosso al bruno, sono indice di raccolta tardiva o più spesso di cattiva conservazione.
Una volta essiccato, il luppolo viene pressato e confezionato in sacchi; una parte notevole viene ridotta in polvere o in pellets, di uso più agevole nella produzione industriale della birra rispetto ai coni.
Utilizzazioni del luppolo
Come noto, la maggior parte del luppolo è utilizzato nella produzione della birra, in cui i coni (Fig. 4), o estratti da essi ottenuti, vengono aggiunti al mosto (cioè il liquido zuccherino prodotto dall’infusione del malto) durante la bollitura cui il mosto stesso viene sottoposto prima della fermentazione. Il tempo di bollitura è variabile a seconda della varietà di luppolo e degli effetti che se ne vogliono ottenere: i luppoli amaricanti vengono fatti bollire per tempi lunghi (60-90 minuti) per ottenere il massimo grado di isomerizzazione degli alfa-acidi, in quanto sono gli isomeri ottenuti in questo modo ad avere la massima solubilità nel mosto e quindi il maggior potere amaricante. I luppoli aromatici sono invece immessi solo nelle ultime fasi della bollitura (10-30 minuti), poiché tempi più lunghi porterebbero alla degradazione o all’evaporazione degli oli essenziali. La quantità impiegata è variabile a seconda del prodotto che si vuole ottenere, ma è comunque dell’ordine di alcuni ettogrammi per ogni ettolitro di birra.
Il luppolo viene utilizzato anche per aromatizzare alcuni tipi di bevande analcoliche usate in varie regioni d’Europa e in America Latina.
I numerosi componenti bioattivi del luppolo ne consentono vari usi in campo erboristico: i coni sono utilizzati per infusi dotati di proprietà sedative e quindi utili per combattere l’ansia, l’agitazione e l’insonnia, oltre alle difficoltà di digestione e all’iperacidità gastrica. L’infuso di luppolo contiene inoltre fitoestrogeni che possono essere utili nel trattamento dell’acne femminile e dei disturbi della menopausa e nella prevenzione dell’osteoporosi. Per uso esterno si preparano unguenti dotati di proprietà antidolorifiche e calmanti del prurito. Un’azione sedativa hanno anche i bagni (immettendo coni di luppolo nell’acqua calda della vasca); per combattere l’insonnia si possono inoltre usare cuscini riempiti di coni essiccati.
Si deve infine citare l’uso alimurgico: i germogli che crescono in primavera, quando sono ancora verdi e teneri, hanno un gradevole sapore amarognolo e si impiegano come gli asparagi; sono quindi lessati e utilizzati per insalate, frittate e risotti, soprattutto nel Veneto dove prendono il nome di “bruscandoli”.
Linee di sviluppo della ricerca sui luppoli spontanei
Come Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente dell’Università di Firenze, abbiamo avviato un progetto di ricerca con l’obiettivo di favorire il comparto di produzione della birra artigianale utilizzando materie prime prodotte nei territori italiani, e in particolare valorizzare la biodiversità dei luppoli spontanei. Una prima indagine conoscitiva ha permesso di appurare la grande diffusione della specie in Toscana e in altre regioni dell’Italia centrale, principalmente in ambienti collinari e montani (Fig. 5), ma anche in pianura e in prossimità delle coste laddove vi siano terreni fertili e freschi. Per stabilire le possibilità d’impiego delle piante spontanee si rende necessaria una valutazione del contenuto di metaboliti secondari e in particolare di alfa- e beta- acidi, componenti principali nel processo di birrificazione, come pure della quantità e composizione degli oli essenziali che caratterizzano l’aroma; altrettanto importante è però mettere in luce la ricchezza di componenti importanti dal punto di vista nutrizionale, quali i composti fenolici dotati di attività antiossidante, di cui il luppolo risulta particolarmente ricco secondo i dati presenti in letteratura. La caratterizzazione chimica delle accessioni di luppolo spontaneo è attualmente in corso, con risultati preliminari di notevole interesse. Lo studio e la valorizzazione del germoplasma locale di luppolo dovrebbe poi procedere di pari passo con quello delle specie utilizzabili nella produzione del malto, quali l’orzo e il farro. In una successiva fase, dal miglioramento degli ecotipi locali potrebbero essere ottenute varietà selezionate e maggiormente idonee alla coltura.
Prospettive per il luppolo in Italia
Il luppolo è una specie le cui prospettive di sviluppo nell’agricoltura italiana hanno un sicuro interesse. La larghissima diffusione delle piante spontanee attesta l’idoneità di molti ambienti alla coltura; i terreni più idonei sono quelli fertili, freschi, sciolti o di medio impasto, profondi e ricchi di humus, a pH neutro, mentre da un punto di vista climatico sono da evitare gli ambienti con estati molto calde e siccitose, dove si può avere colatura dei fiori. La pianta è longidiurna e richiede quindi giornate con almeno 15 ore di luce per la fioritura; sono necessari inoltre almeno 120 giorni liberi dal gelo. Nel complesso la coltura si può ritenere adatta a gran parte del Nord Italia, dal livello del mare fino a 1200 m di altitudine, ed alle zone collinari e montane del Centro e del Sud.
Anche il potenziale mercato della coltura è rilevante, in quanto, come già ricordato, l’industria birraria italiana fa uso di circa 3.500 t annue di luppolo, che potrebbe essere utilmente ottenuto nel territorio nazionale, una volta accertata l’idoneità tecnologica del prodotto; una migliore conoscenza dei principi attivi della pianta potrebbe anche ampliarne gli impieghi erboristici e fitoterapici.
Valorizzare la diversità dei luppoli dei vari ambienti della nostra penisola, oltre che ridurre l’esborso valutario necessario per l’importazione, stimolerebbe la creazione di varietà di luppolo italiane idonee a diversificare l’agricoltura dei comprensori italiani, soprattutto quelli collinari e montani, ed a promuovere la realizzazione di una vasta gamma di prodotti birrari che sarebbero a questo punto espressione dei vari e differenti territori in cui avrebbero origine le materie prime agricole.
BIBLIOGRAFIA
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Mucci F. (1981): Luppolo (Humulus lupulus L.). In: Baldoni R. e Giardini L. (a cura di), Coltivazioni erbacee (pagg. 569-572), Patron Editore, Bologna.
Stevens J.F., Page J.E. (2004): Xanthohumol and related prenylflavoniods from hops and beer: To your good health!, Phytochemistry, 65: 1317-1330.
Tallarico R., De Acutis L., Ghiselli L. (2013): Il luppolo (Humulus lupulus L.): valorizzazione di genotipi spontanei autoctoni per la produzione di birra artigianale. Relazione presentata al convegno BIRBIENA 2013 – Bibbiena (AR), 13 luglio 2013.
Tallarico R., Romagnoli S., Ghiselli L. (2013): Materie prime autoctone per la produzione di birra agricola e artigianale. Relazione presentata al convegno BIRBIENA 2013 – Bibbiena (AR), 13 luglio 2013.
Tironzelli M. (2007): Gli antiossidanti nelle materie prime dell’ industria birraria: il caso del luppolo. Tesi di dottorato, Università di Bologna, pagg. 33-36.
Articolo tratto dalla Rivista TerrAmica – num. 4 Gennaio 2016.
Lisetta Ghiselli, Remigio Rallarico, Sigfrido Romagnoli – Dipartimento di scienze delle produzioni agroalimentari e dell’ambiente – Università degli studi di Firenze
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