Dalle origini ai nostri giorni
di Alma Pesce
Le origini degli Equidi
La storia evolutiva della famiglia degli equidi inizia circa 55 milioni di anni fa e rappresenta uno dei più noti argomenti paleontologici, ben documentato dai numerosi resti fossili rinvenuti.
Il genere Equus, secondo le più attuali visioni della biologia evolutiva e della paleontologia, ebbe origine in America settentrionale con l’Eohippus durante l’Eocene inferiore, mentre in Europa la linea equina ebbe origine da un altro rappresentante primordiale, meno conosciuto, sempre nell’Eocene inferiore, l’Hyracotherium. È un animale di piccola statura (28 cm al garrese), caratteristico per possedere 4 dita negli arti anteriori e 3 nei posteriori. Le sue modeste dimensioni lo rendono ben adattato all’ambiente forestale.
Durante l’Eocene Superiore, gli equidi si estinguono in Europa per sopravvivere e proseguire la loro storia evolutiva nel Nord America. Nell’Oligocene la statura degli equidi è già aumentata (60-70 cm al garrese). Gli arti sono tridattili, l’andatura è digitigrada, e la dentatura si presenta più progredita.
Importanti adattamenti si realizzano nel Genere Merychippus del Miocene. In questo Genere la statura aumenta ulteriormente (80 cm al garrese), gli arti sono sempre tridattili ma l’andatura diventa unguligrada. I denti diventano a corona alta, di forma prismatica, con lo smalto pieghettato: Merychippus è quindi un animale già adatto alla vita in prateria e alla masticazione delle più dure graminacee. Queste nuove peculiarità, caratterizzate da maggiore fitness riproduttiva, causarono nel corso del Miocene una radiazione evolutiva, con la comparsa di numerosi altri generi, tra cui: Hipparion, Neohipparion, Pliohippus, Astrohippus, Dinohippus.
Oggi la famiglia degli equidi si è ridotta al solo genere Equus.
Quest’ultimo genere compare circa 3,7 milioni di anni fa nell’America settentrionale, circa 2,5 milioni di anni fa Equus si diffonde in Eurasia e Africa .
Il genere Equus, nel Pleistocene, conosce una vasta distribuzione biogeografica fino a circa 10.000 anni fa, quando scomparirà dal Nord America, per esservi poi reintrodotto solo in epoca post colombiana.
Il genere Equus è caratteristico per presentare un solo dito funzionale, protetto da un ampio zoccolo corneo, al di sopra del quale permangono i residui vestigiali del secondo e quarto dito. La dentatura comprende da 36 a 40 denti, adattati alla triturazione dell’erba.
Le diverse razze di cavallo domestico (Equus caballus), discendono tutte da Equus przewalskii (o Equus caballus przewalskii), una varietà selvatica di antica origine.
L’asino domestico deriva invece dalla specie selvatica Equus asinus, originaria delle regioni dell’Africa orientale. In Asia resistono alcune popolazioni di asini selvatici delle specie Equus hemionis ed Equus onager.
Le origini dell’asino
L’asino, Equus asinus, appartiene alla classe dei mammiferi, ordine perissodattili, famiglia equini, genere Equus.
Dai recenti studi svolti dall’Università di Grenoble, relativi all’analisi di DNA mitocondriale svolto in 52 paesi tra Europa e Asia, è emerso che l’albero genealogico degli asini domestici ha due grossi rami: uno in Africa e l’altro in Asia. Non è chiaro quale sia il più antico, ma è certo che i primi ad essere addomesticati furono gli asini africani. Il confronto del DNA ha rivelato che gli asini domestici di origine africana hanno due antenati: il primo è la sottospecie di asini selvatici della Namibia (Equus asinus africanus), mentre il secondo proviene dall’asino della Somalia (Equus asinus somaliensis)
L’addomesticamento dell’asino selvatico risalirebbe a 5000 anni fa, nella regione della Namibia; si ritiene che l’espansione dell’allevamento asinino sia stato determinato principalmente dai mercanti, soprattutto ebrei, che ben presto diffusero l’animale in tutta l’Africa magrebina.
In Asia, nel III millennio a.C., si addomesticavano gli asini per essere cavalcati, attaccati ai carri e sottoposti al trasporto col basto. Gli Egizi fin dalla V dinastia (2500 a.C.) li allevavano per impieghi agricoli.
Gli asini selvatici
Come si è accennato in precedenza, gli asini domestici derivano da due rami filogenetici a partire da razze d’asini selvatici africani e asiatici.
Alcune di queste razze sono estinte, ma altre, sono ancora presenti allo stato brado nei continenti originari.
Tra queste si ricordano:
- Equus africanus somalicus: asino selvatico della Somalia a rischio di estinzione. Possiede mantello grigio chiaro con zebrature sugli arti, statura elevata, con altezza di 1,40 m al garrese e un peso intorno ai 300 kg.
- Equus hemionus onager: onagro persiano. È presente, benché raro, nelle zone montuose della regione. Ha orecchie corte, mantello sauro chiaro con ventre e muso più pallidi. Può raggiungere i 300 kg di peso ma non supera 1,30 m in altezza.
- Equus hemionus kulan: simile al precedente, vive in piccoli gruppi nel Turkmenistan e in Cina. Dal 1941, per impedirne l’estinzione, è stata istituita “ad oc” una Riserva Naturale.
- Equus hemionus khur: vive, in pericolo d’estinzione, nei margini desertici delle regioni salate del Belucistan. Presenta mantello sauro con riga dorsale più scura; muso, ventre e arti più chiari.
- Equus hemionus kiang: più alto dei due precedenti, presenta testa pesante e mantello scuro. Vive oramai solo a grandi altitudini (sopra i 4000 m) nella regione del Tibet. Nella regione dello Xinijag è stata istituita una Riserva per garantirne la sopravvivenza.
- Equus hemionus lueus: vive nel Parco Nazionale del deserto del Gobi. È in pericolo di estinzione a causa dell’introduzione di altre specie più competitive nel medesimo territorio.
Asini al pascolo (foto Francesco Gennaccaro)
La diffusione dell’asino nel mondo
L’asino è un animale che è stato progressivamente introdotto in tutti i continenti del mondo ove il clima ne consentiva l’allevamento.
Il continente Africano, ad esempio, possiede da millenni questo animale, e ancora oggi lo alleva per impiegarlo nell’agricoltura e per il trasporto.
Nel continente Americano, l’asino è stato introdotto nell’ottocento ed è stato ampiamente utilizzato sia per l’agricoltura che per i trasporti.
In Asia e Oceania gli asini, di recente introduzione, sono stati impiegati sia per il lavoro che per la produzione carnea e, ad oggi, oltre a due razze principali di asino domestico, contano anche su numerosi branchi di asini selvatici.
Nel corso dei secoli però, il destino dell’asino, nei diversi continenti, si è diversificato, anche in funzione dello sviluppo economico e sociale sopravvenuto, come si osserva nel seguente grafico.
Evoluzione della popolazione asinina nel XX secolo
(da Chappez G., (2000), “L’âne. Histoire, mythe et réalité” – Cabédita Ed.)
Nel corso del novecento, quindi si assiste a due principali trend: il primo, corrispondente ai paesi industrializzati, in cui il numero di animali allevati diminuisce nell’arco del secolo, il secondo riguardante ai Paesi in via di sviluppo dove il numero di asini cresce nel tempo.
Le ragioni di questi andamenti sono di facile intuizione: nei paesi in Via di Sviluppo, come l’Asia e l’Africa, dove il livello di meccanizzazione è ancora basso, gli asini occupano tuttora un ruolo primario nella vita quotidiana. Sono infatti utilizzati per il trasporto, il tiro, il basto, la cavalcatura e sono forza motrice per il lavoro nei campi. Risultano quindi essenziali per il mantenimento delle economie locali e di sussistenza.
Nei paesi invece più sviluppati invece, a partire dalla seconda metà del novecento, la meccanizzazione raggiunta nel comparto agricolo ed industriale ha rimpiazzato il ruolo degli animali come forza lavoro, o ad uso militare, causandone un lento declino.
L’asino in Europa
L’asino domestico compare in Europa già durante il Neolitico. I primi resti fossili di quest’animale risalgono, infatti, all’età del bronzo. A causa del clima europeo l’allevamento asinino si concentra quasi esclusivamente nelle regioni centro-meridionali.
Tra i Paesi storicamente grandi allevatori di asini prevalgono la Spagna e il Portogallo, seguiti da Italia e Francia. Nel Nord Europa, viceversa, l’introduzione dell’asino è molto recente. In Inghilterra e Irlanda, addirittura, l’asino venne introdotto solo dopo l’ultimo conflitto mondiale e impiegato principalmente come animale da macello.
In un censimento svolto nel 1927 risulta che in Europa la popolazione asinina si aggira intorno ai tre milioni di individui diversamente distribuiti sul continente (vedi tabella). Il primato di allevamento degli asini spetta alla Spagna che, da sola, alleva più di un terzo della popolazione totale, seguita dall’Italia.
Censimento popolazione asinina
(Tortorelli N. (1927), “L’asino” – Ed Paravia)
Durate il corso del ventesimo secolo, la consistenza della popolazione asinina in Europa subisce una progressiva regressione, determinata principalmente dall’introduzione, in campo agricolo, di tecnologie e macchinari che porteranno ad un rapido abbandono delle consuetudini rurali.
La contrazione di popolazione subisce poi un lieve arresto, in coincidenza con il secondo conflitto mondiale; in questo periodo l’asino è infatti utilizzato per la produzione di muli da destinare all’esercito.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, venuta meno la funzione di asini e muli come animali da trasporto per l’artiglieria dell’esercito, si osserva un nuovo trend negativo, che porterà, nell’arco di quarant’anni, alla quasi totale estinzione del quadrupede dai paesi industrializzati d’Europa. Altrove, specialmente nell’Est Europeo, l’allevamento sopravvive impiegando l’asino come animale da macello o come ausilio alle attività agricole.
Intorno agli anni novanta, si può però osservare una debole ripresa dell’allevamento, soprattutto grazie alla riscoperta delle “nuove potenzialità “ dell’asino. L’asino diviene progressivamente un animale da compagnia, allevato alla stregua di un cane o gatto, potendo, allo stesso modo, servire come terapia per i bambini portatori di handicap o per accompagnare i turisti nei trekking .
L’asino in Italia
L’Italia, nel primo Novecento, occupa il secondo posto nelle statistiche della produzione asinina in Europa, con una consistenza di quasi un milione di capi, e primeggia anche per la produzione mulina.
Il decremento della popolazione inizia nella prima metà del XX secolo: già nel 1941 la popolazione asinina conta solo più 640.000 capi, di cui 120.000 nella sola Sicilia .
Nel 1981, l’ISTAT dichiarava 125.000 asini di cui ben 100.000 concentrati nel Meridione. Sette anni dopo, nel 1998, gli asini si riducevano a 30.000 con la maggiore densità in Campania, Sicilia, Sardegna e la minore in Pianura Padana con appena 2.000 capi.
Le dinamiche qui descritte, sono assimilabili a quelle Europee, con in più una nota distintiva, determinata dalle differenti linee di sviluppo tra il Nord e il Mezzogiorno d’Italia. In effetti il Sud Italia tende a conservare, almeno nel primo novecento, una quota interessante di asini, impiegati nell’agricoltura di tipo tradizionale, mentre il Nord del Paese, sotto la spinta dello sviluppo industriale, tende alla costituzione di forme di agricoltura più moderne e meccanizzate.
Il tracollo definitivo dell’allevamento asinino in Nord Italia, avviene a seguito della Seconda Guerra Mondiale, quando viene meno la necessità di allevare asini per la produzione di muli da destinare all’esercito.
Nel 1992, uno studio della SAVE Foundation individua e censisce otto razze e popolazioni asinine, di cui cinque a grado di rischio critico di estinzione (meno di 100 individui): Asinara, Martina Franca, Pantesca, Romagnola, Grigio Siciliano; e tre in pericolo (da 100 a 1.000 capi): Amiatino, Ragusano, Sardo. Lo stesso studio evidenzia in Italia già sei razze estinte: Cariovilli, Castelmorone, Emiliano, Grigio Viterbese, Irpinia, S.Alberto.
Anche l’Italia, come il resto d’Europa, verso la fine del novecento, mostra un certo interesse ad allevare l’asino, alla luce delle nuove attitudini attribuitegli. Nel recente quinquennio 2000-2005, infatti, la popolazione passa da 23.868 a 28.932 capi allevati sul territorio Nazionale.
Tratto dalla Tesi di Laurea Specialistica in Scienze Forestali Ambientali, Facoltà di Agraria di Torino, anno 2008 intitolata: “Allevamento dell’asino: realtà e prospettive in un’ottica di multifunzionalità”.
Alma Pesce è laureata presso la Facoltà d’Agraria di Torino nel 2004 con la laurea di primo livello in Scienze Forestali ed Ambientali con tesi sul Cancro corticale del castagno. Nel 2008 ho conseguito la laurea di secondo livello con tesi sulla rivalutazione dell’allevamento dell’asino. Curriculum vitae >>>
Atlante delle razze autoctone |