Con­di­vi­di l'ar­ti­co­lo
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di Ales­san­dro Ce­ro­fo­li­ni

Si­ste­ma­ti­ca, ori­gi­ne e di­stri­bu­zio­ne

Si­ste­ma­ti­ca

Il ca­prio­lo (Ca­preo­lus ca­preo­lus Lin­neaus, 1758) è un mam­mi­fe­ro ap­par­te­nen­te al su­pe­ror­di­ne degli Un­gu­la­ti, or­di­ne Ar­tio­dat­ti­li, sot­tor­di­ne dei Ru­mi­nan­ti ed alla fa­mi­glia dei Cer­vi­di.

Clas­se: Mam­mi­fe­ri
– Sot­to­clas­se: Uteri
– Su­pe­ror­di­ne: Un­gu­la­ti
– Or­di­ne: Ar­tio­dat­ti­li
– Sot­tor­di­ne: Ru­mi­nan­ti
– Fa­mi­glia: Cer­vi­di
– Sot­to­fa­ma­mi­glia: Ca­preo­li­ni
– Ge­ne­re: Ca­preo­lus
– Spe­cie: ca­preo­lus (Lin­neo, 1758)

La col­lo­ca­zio­ne fi­lo­ge­ne­ti­ca e tas­so­no­mi­ca del ca­prio­lo è stata in pas­sa­to ed in parte lo è an­co­ra oggi, og­get­to di di­scus­sio­ne tra i vari au­to­ri. At­tual­men­te la mag­gior parte degli zoo­lo­gi so­stie­ne la tesi se­con­do cui il ca­prio­lo sia l’u­ni­co rap­pre­sen­tan­te eu­ro-asia­ti­co della sot­to­fa­mi­glia dei Ca­preo­li­ni, che dif­fe­ri­sco­no dagli altri cer­vi­di per la pre­sen­za di tro­feo a punte pre­de­fi­ni­te (6). A que­sta sot­to­fa­mi­glia ap­par­ten­go­no nu­me­ro­se spe­cie del Nord e del Sud Ame­ri­ca come il cervo della Vir­gi­nia (Odo­coi­leus vir­gi­nia­nus), il cervo delle Pam­pas (Ozo­to­ce­ros be­zoar­ti­cus), il cervo mulo (Odo­coi­leus he­mio­nus) e altre spe­cie.
Re­cen­te­men­te la si­ste­ma­ti­ca del ca­prio­lo è stata ri­vi­sta, e sono sorti dubbi sulla va­li­di­tà di nu­me­ro­se sot­to­spe­cie de­scrit­te in pas­sa­to, ed ha inol­tre ri­co­no­sciu­to l’e­si­sten­za di due di­stin­te spe­cie con i loro re­ci­pro­ci eco­ti­pi: l’eu­ro­pea (Ca­preo­lus ca­preo­lus L., 1758) e la si­be­ria­na (Ca­preo­lus py­gaus Pal­las, 1771) (Da­nil­kin, 1996; So­ko­lov et al. 1990). Tale tesi trova con­fer­ma dalla di­ver­sa di­stri­bu­zio­ne geo­gra­fi­ca e da dif­fe­ren­ti ca­rat­te­ri­sti­che ge­ne­ti­che e mor­fo­me­tri­che ri­scon­tra­te tra le due spe­cie.
Il ca­prio­lo eu­ro­peo è pro­ba­bil­men­te una spe­cie mo­no­ti­pi­ca (Da­nil­kin, 1996; So­ko­lov et al. 1990) di cui in pas­sa­to fu­ro­no ri­co­no­sciu­te più di venti forme de­scrit­te da Leh­mann e Sa­ges­ser (1986), ini­zial­men­te clas­si­fi­ca­te come sot­to­spe­cie e suc­ces­si­va­men­te come eco­ti­pi. Da studi ge­ne­ti­ci e bio­me­tri­ci è in­fat­ti emer­so che le dif­fe­ren­ze mor­fo­lo­gi­che ri­flet­to­no più che una vera e pro­pria di­stin­zio­ne tas­so­no­mi­ca, adat­ta­men­ti a con­di­zio­ni am­bien­ta­li di­ver­se.
Anche in Ita­lia negli ul­ti­mi anni sono state con­dot­te in­da­gi­ni atte ad ac­cer­ta­re lo sta­tus e le ca­rat­te­ri­sti­che mor­fo-si­ste­ma­ti­che dei ri­ma­nen­ti nu­clei au­toc­to­ni di ca­prio­lo, ri­con­du­ci­bi­li, se­con­do al­cu­ni, alla sot­to­spe­cie ita­li­ca (Ca­preo­lus c. ita­li­cus). Que­sta fu de­scrit­ta per la prima volta da Festa (1925), in se­gui­to allo stu­dio di al­cu­ne pelli pro­ve­nien­ti dalla te­nu­ta pre­si­den­zia­le di Ca­stel­por­zia­no, nel Lazio.
Que­sta ipo­te­si fu suc­ces­si­va­men­te ri­pro­po­sta da Leh­mann (1973), il quale ri­co­nob­be in al­cu­ni in­di­vi­dui delle po­po­la­zio­ni dei monti di Or­so­mar­so in Ca­la­bria, aspet­ti mor­fo­lo­gi­ci ri­con­du­ci­bi­li alla sot­to­spe­cie ita­li­ca.
Gra­zie ad al­cu­ne in­da­gi­ni com­piu­te sul DNA mi­to­con­dria­le, sono state in­di­vi­dua­te nella no­stra pe­ni­so­la due grup­pi di ca­prio­lo ge­ne­ti­ca­men­te dif­fe­ren­ti: un grup­po pre­sen­te sul­l’ar­co al­pi­no e nel­l’Ap­pen­ni­no cen­tro-set­ten­trio­na­le e un altro ti­pi­co delle re­gio­ni cen­tro-me­ri­dio­na­li (Lo­va­ri, 2001). Que­st’ul­ti­mo inol­tre non sa­reb­be con­fi­na­to sol­tan­to nella te­nu­ta di Ca­stel­por­zia­no, nel Gar­ga­no e nei monti dell’ Or­so­mar­so, come ipo­tiz­za­to, ma anche in al­cu­ne aree del se­ne­se e del gros­se­ta­no (Lo­va­ri, 2001).
Molto in­te­res­san­ti sono i dati che ri­guar­da­no i ca­prio­li del Gar­ga­no, nei quali è stato ri­scon­tra­to un ge­no­ti­po unico, mai ri­scon­tra­to in nes­su­na delle po­po­la­zio­ni ita­lia­ne ana­liz­za­te. Que­sta ca­rat­te­ri­sti­ca lo rende si­gni­fi­ca­ti­va­men­te di­ver­so sia dalle po­po­la­zio­ni al­pi­ne sia da quel­le cen­tro-me­ri­dio­na­li alle quali è ge­ne­ti­ca­men­te più si­mi­le (Lo­va­ri, 2001).
Di­ven­ta dun­que molto im­por­tan­te sal­va­guar­da­re que­sti ceppi lo­ca­li, in­quan­to dalla loro ana­li­si ge­ne­ti­ca si potrà chia­ri­re se al­me­no in quel­le aree potrà es­se­re ri­co­no­sciu­ta la pre­sen­za di una sot­to­spe­cie ita­lia­na (Lo­va­ri, 2001).

Ori­gi­ne

La fa­mi­glia dei Cer­vi­di ebbe ori­gi­ne circa 30 mi­lio­ni di anni fa nel­l’o­li­go­ce­ne medio con al­cu­ne forme sprov­vi­ste di ap­pen­di­ci fron­ta­li, ca­ni­ni su­pe­rio­ri molto svi­lup­pa­ti e con di­men­sio­ni cor­po­ree ri­dot­te; una spe­cie di que­ste era l’ Eu­me­ryx, la cui fi­sio­no­mia ri­cor­da da vi­ci­no i mo­der­ni mosco (Mo­schus mo­schi­fe­rus) e cervo ac­qua­ti­co ci­ne­se (hy­dro­po­tes iner­mis), Cer­vi­di dalle ca­rat­te­ri­sti­che ar­cai­che oggi pre­sen­ti nel con­ti­nen­te asia­ti­co (Ta­rel­lo, 1991). Circa 18 mi­lio­ni di anni fa, nel mio­ce­ne, com­par­ve­ro i primi Cer­vi­di prov­vi­sti di ap­pen­di­ci fron­ta­li pe­ren­ni, ri­co­per­te da pelle e prive di rosa, co­mun­que non molto di­ver­se dagli steli ossei dei cer­vi­di at­tua­li. Vere e pro­prie strut­tu­re ca­du­che rin­no­va­bi­li ap­par­ve­ro solo più tardi, circa 15 mi­lio­ni di anni fa, con il ge­ne­re Di­cro­ce­rus (Ta­rel­lo, 1991).
Dal Mio­ce­ne su­pe­rio­re (10 mi­lio­ni di anni fa) è pos­si­bi­le di­stin­gue­re la linea evo­lu­ti­va che por­te­rà alla spe­cie mo­der­na di ca­prio­lo, da quel­la che porta ad altri Cer­vi­di come daino (Dama dama) e cervo no­bi­le (Cer­vus ela­phus) (Ta­rel­lo 1991).
De­ri­va­to dalle forme del Pro­ca­preo­lus, il ge­ne­re Ca­preo­lus ha ini­zio nel Plio­ce­ne circa 3 mi­lio­ni di anni fa, evol­ven­do­si pro­gres­si­va­men­te e dando ori­gi­ne a nuove spe­cie si­mi­li a quel­la odier­na. La spe­cie Ca­preo­lus ca­preo­lus è ap­par­sa pre­co­ce­men­te, ri­spet­to ad altri cer­vi­di e bo­vi­di, circa 700.000 anni fa (Lin­nel et al., 1998 Sem­pé­ré et al., 1996).

Di­stri­bu­zio­ne in Ita­lia

Ori­gi­na­ria­men­te, fino alla metà del XVIII se­co­lo il ca­prio­lo era ab­bon­dan­te­men­te dif­fu­so in tutta l’I­ta­lia con­ti­nen­ta­le e in Si­ci­lia. Come è ac­ca­du­to ad altri un­gu­la­ti sel­va­ti­ci l’an­tro­piz­za­zio­ne pro­vo­cò una pro­gres­si­va ma mar­ca­ta di­mi­nu­zio­ne sia nu­me­ri­ca sia di area­le. Que­sto pro­ces­so ca­rat­te­riz­zò tutto il ter­ri­to­rio ita­lia­no e fu par­ti­co­lar­men­te in­ten­sa nel­l’I­ta­lia me­ri­dio­na­le e in Si­ci­lia, dove il ca­prio­lo ar­ri­vò al­l’e­stin­zio­ne prima della fine del XIX se­co­lo (Pe­drot­ti et al., 2001).
Le prin­ci­pa­li cause che de­ter­mi­na­ro­no il de­cli­no della spe­cie sono da im­pu­ta­re al­l’e­sa­spe­ra­to sfrut­ta­men­to agri­co­lo e fo­re­sta­le del ter­ri­to­rio, unito al­l’au­men­to in­di­scri­mi­na­to della pres­sio­ne ve­na­to­ria. I mo­ti­vi sca­te­nan­ti fu­ro­no di­ver­si da re­gio­ne a re­gio­ne, in­fat­ti, nel­l’I­ta­lia cen­tro-set­ten­trio­na­le vi fu l’in­ten­so di­sbo­sca­men­to di col­li­na e mon­ta­gna (so­prat­tut­to nel set­ten­trio­ne) e l’in­con­trol­la­ta at­ti­vi­tà ve­na­to­ria (pra­ti­ca­ta con il cane da se­gui­to nel Nord e nel­l’ap­pen­ni­no To­sco-Emi­lia­no), nel­l’I­ta­lia me­ri­dio­na­le fu so­prat­tut­to l’e­span­sio­ne delle at­ti­vi­tà agro-sil­vo-pa­sto­ra­li (Ta­rel­lo, 1991). La fase più cri­ti­ca di que­sto fe­no­me­no cor­ri­spon­de al pe­rio­do im­me­dia­ta­men­te suc­ces­si­vi alla se­con­da guer­ra mon­dia­le: la spe­cie ar­ri­vò a toc­ca­re il suo mi­ni­mo sto­ri­co nel 1945, in­fat­ti ve­ni­va sti­ma­ta una pre­sen­za com­ples­si­va di non più di 10.000 capi, di­stri­bui­ti tra Val­tel­li­na (Lom­bar­dia), parte delle Alpi cen­tro-orien­ta­li (Tren­to, Bol­za­no, Bel­lu­no e Udine) e in Ita­lia cen­tra­le (Ma­rem­ma to­sca­na); al­cu­ni nu­clei iso­la­ti si con­ser­va­ro­no anche nel Gar­ga­no ed in Ca­la­bria.
A par­ti­re dalla fine degli anni ’60 in­ve­ce si ha una netta in­ver­sio­ne di ten­den­za, in­fat­ti la spe­cie ap­pa­re in at­ti­va espan­sio­ne tanto da rioc­cu­pa­re una parte con­si­de­re­vo­le del pro­prio area­le sto­ri­co (Pe­drot­ti et al., 2001). Que­sto pro­ces­so fu reso pos­si­bi­le da una serie di even­ti con­co­mi­tan­ti: l’ab­ban­do­no delle tra­di­zio­na­li at­ti­vi­tà ru­ra­li in vaste zone mon­ta­ne e di alta col­li­na, con il con­se­guen­te ri­pri­sti­no della ve­ge­ta­zio­ne na­tu­ra­le che ha por­ta­to a una mag­gio­re di­spo­ni­bi­li­tà di ha­bi­tat ido­nei, l’in­tro­du­zio­ne di norme tese a re­go­la­men­ta­re o vie­ta­re la cac­cia alla spe­cie, l’im­mi­gra­zio­ne in nuovi ter­ri­to­ri di sog­get­ti pro­ve­nien­ti da nu­clei re­si­dui, spes­so in­te­gra­ta da ope­ra­zio­ni di rein­tro­du­zio­ne con in­di­vi­dui di pro­ve­nien­za al­pi­na o cen­tro-eu­ro­pea.
Que­ste ul­ti­me ope­ra­zio­ni seb­be­ne ab­bia­no con­tri­bui­to in ma­nie­ra im­por­tan­te al re­cu­pe­ro della spe­cie, hanno cau­sa­to l’in­qui­na­men­to ge­ne­ti­co delle po­po­la­zio­ni au­toc­to­ne in­te­res­sa­te dal fe­no­me­no (Ca­sa­no­va et al., 1993). Dopo una prima fase dove vi fu un ac­cre­sci­men­to de­mo­gra­fi­co di tipo “ir­rut­ti­vo”, cioè esplo­si­vo, il ca­prio­lo si è as­se­sta­to su gran parte del­l’a­rea mon­ta­na, dal piano ba­sa­le al li­mi­te su­pe­rio­re della ve­ge­ta­zio­ne ar­bo­rea e ar­bu­sti­va, di con­tro, come av­vie­ne negli altri paesi eu­ro­pei, manca quasi com­ple­ta­men­te dalle pia­nu­re in­ten­sa­men­te col­ti­va­te. At­tual­men­te in Ita­lia pos­sia­mo di­stin­gue­re due gros­si su­ba­rea­li: il primo com­pren­de senza so­lu­zio­ne di con­ti­nui­tà tutto l’ar­co al­pi­no, l’Ap­pen­ni­no li­gu­re e lom­bar­do sino alle pro­vin­ce di Ge­no­va e Pavia; il se­con­do si esten­de lungo la dor­sa­le ap­pen­ni­ni­ca, dalle pro­vin­ce di Parma e Massa Car­ra­ra sino a quel­le di Terni e Ma­ce­ra­ta, oc­cu­pan­do anche i ri­lie­vi mi­no­ri che for­ma­no l’An­tiap­pen­ni­no to­sca­no delle pro­vin­ce di Pisa, Siena, Li­vor­no, Gros­se­to e la Ma­rem­ma To­sca­na. Pic­co­li area­li di­sgiun­ti si tro­va­no nel­l’I­ta­lia cen­tro-me­ri­dio­na­le, in cui si tro­va­no nu­clei iso­la­ti, resti delle po­po­la­zio­ni an­ti­ca­men­te pre­sen­ti nella pe­ni­so­la (Ca­stel­por­zia­no, Or­so­mar­so, Gar­ga­no) o frut­to di più o meno re­cen­ti im­mis­sio­ni (Parco na­zio­na­le d’A­bruz­zo, Sila).
Le at­tua­li po­po­la­zio­ni di ca­prio­lo dif­fu­se sul­l’ar­co al­pi­no e ap­pen­ni­ni­co, per le ori­gi­ni de­scrit­te, deb­bo­no es­se­re at­tri­bui­te alla forma tas­so­no­mi­ca C. c. ca­preo­lus, men­tre le uni­che po­po­la­zio­ni ri­con­du­ci­bi­li alla forma C. c. ita­li­cus, sa­reb­be­ro pre­sen­ti nella te­nu­ta pre­si­den­zia­le di Ca­stel­por­zia­no (Roma), nella fo­re­sta Umbra (Gar­ga­no, Fog­gia), nei monti del­l’Or­so­mar­so (Co­sen­za) ed in al­cu­ne aree del se­ne­se e del gros­se­ta­no (Lo­va­ri, 2001). La con­si­sten­za ef­fet­ti­va sul ter­ri­to­rio na­zio­na­le do­vreb­be ag­gi­rar­si in­tro­no ai 400.000 capi, anche se una stima pre­ci­sa ri­sul­ta dif­fi­ci­le a causa delle in­trin­se­che dif­fi­col­tà di cen­si­men­to le­ga­te alle ca­rat­te­ri­sti­che bio­lo­g­i­che ed eco­lo­gi­che della spe­cie (Pe­drot­ti et al., 2001); inol­tre i cen­si­men­ti ven­go­no rea­liz­za­ti so­la­men­te nelle aree in cui viene eser­ci­ta­ta l’at­ti­vi­tà ve­na­to­ria, con dif­for­mi­tà no­te­vo­li delle tec­ni­che di con­teg­gio uti­liz­za­te.

La spe­cie può es­se­re con­si­de­ra­ta am­pia­men­te di­stri­bui­ta e re­la­ti­va­men­te co­mu­ne in Ita­lia set­ten­trio­na­le e cen­tra­le, in cui il ca­prio­lo oc­cu­pa quasi l’80% del suo area­le po­ten­zia­le, pur con qual­che dif­fe­ren­za stret­ta­men­te le­ga­ta alla qua­li­tà della ge­stio­ne ve­na­to­ria di cia­scu­na re­gio­ne o pro­vin­cia. In­fat­ti la con­si­sten­za delle po­po­la­zio­ni ri­sul­ta mas­si­ma nel­l’Ap­pen­ni­no cen­tro-set­ten­trio­na­le ed ele­va­ta nel­l’ar­co al­pi­no cen­tro-orien­ta­le, dove viene ri­scon­tra­to uno stato di con­ser­va­zio­ne sod­di­sfa­cen­te ed in pro­gres­si­vo mi­glio­ra­men­to; men­tre di­mi­nui­sce sul ver­san­te al­pi­no oc­ci­den­ta­le, a causa di al­cu­ni fat­to­ri li­mi­tan­ti an­co­ra pre­sen­ti. Per quan­to ri­guar­da l’I­ta­lia cen­tro-me­ri­dio­na­le lo stato di con­ser­va­zio­ne del ca­prio­lo ri­sul­ta an­co­ra estre­ma­men­te pre­ca­rio, la di­stri­bu­zio­ne è fram­men­ta­ria e la per­cen­tua­le di oc­cu­pa­zio­ne del­l’a­rea­le po­ten­zia­le non su­pe­ra l’ 1%.
Ri­sul­ta quin­di di pri­ma­ria im­por­tan­za in que­sto con­te­sto la messa in atto di azio­ne volte a tu­te­la­re dal­l’e­stin­zio­ne e dal­l’in­qui­na­men­to ge­ne­ti­co i nu­clei au­toc­to­no re­si­dui, fa­vo­ren­do­ne la dif­fu­sio­ne e ri­du­cen­do in ma­nie­ra de­ci­sa il brac­co­nag­gio ed il ran­da­gi­smo ca­ni­no, che ap­pa­io­no ad oggi come i prin­ci­pa­li fat­to­ri li­mi­tan­ti nel me­ri­dio­ne (Pe­drot­ti et al., 2001). Con que­ste pre­mes­se ci pos­sia­mo aspet­ta­re per il fu­tu­ro un ul­te­rio­re espan­sio­ne del­l’a­rea­le, spe­cial­men­te per il cen­tro-sud, dove esi­sto­no an­co­ra molti spazi ido­nei alla co­lo­niz­za­zio­ne.

Ori­gi­ne e di­stri­bu­zio­ne in To­sca­na

In To­sca­na, come in molte altre zone d’I­ta­lia, il ca­prio­lo è stato sot­to­po­sto ad in­ten­sa ge­stio­ne, che ne ha cau­sa­to fre­quen­ti estin­zio­ni lo­ca­li e con­se­guen­ti rein­tro­du­zio­ni. Ope­ra­zio­ni di que­sto tipo fu­ro­no con­dot­te dal Corpo Fo­re­sta­le dello Stato du­ran­te gli anni ’50 nelle fo­re­ste de­ma­nia­li del­l’al­to pi­sto­ie­se, dove se­con­do Mat­tio­li (1994) fu­ro­no li­be­ra­ti 23 ca­pri­li di ori­gi­ne al­pi­na, fra il 1968 e il 1973 nelle fo­re­ste del­l’al­to Ser­chio, nelle ri­ser­ve na­tu­ra­li di La­ma­ros­sa, del­l’O­rec­chiel­la e di Pania di Cor­fi­no, con esem­pla­ri pro­ve­nien­ti sia dalla Ma­rem­ma che dal Tren­ti­no (Mas­se­ti, 2003). Le po­po­la­zio­ni at­tual­men­te pre­sen­ti in pro­vin­cia di Arez­zo sa­reb­be­ro in parte de­ri­va­te da ri­po­po­la­men­ti ef­fet­tua­ti con al­cu­ni esem­pla­ri di pro­ve­nien­za al­pi­na du­ran­te gli anni ’30 e ’50, in parte avreb­be­ro man­te­nu­to la loro ra­di­ce au­toc­to­na in quan­to di­scen­den­ti da ani­ma­li pre­sen­ti ori­gi­na­ria­men­te nelle Fo­re­ste Ca­sen­ti­ne­si (Lo­ren­zi­ni et al., 1996). In­fat­ti qui si hanno te­sti­mo­nian­ze sto­ri­che che con­fer­ma­no la si­cu­ra au­toc­to­nia e pre­sen­za della spe­cie du­ran­te il 1800: a dif­fe­ren­za di ciò che ac­cad­de per gli altri un­gu­la­ti (cervo, daino, mu­flo­ne) per il ca­prio­lo non av­ven­ne­ro im­mis­sio­ni nel corso del XIX se­co­lo, sia per la dif­fi­col­tà nel re­pe­ri­re il pic­co­lo cer­vi­de, sia per la pro­ba­bi­le pre­sen­za in zona di al­cu­ni esem­pla­ri. Sol­tan­to nel 1933 fu­ro­no im­mes­si al­cu­ni esem­pla­ri di ca­prio­lo a cura dell’ Azien­da di Stato delle Fo­re­ste De­ma­nia­li (A.S.F.D), seb­be­ne è noto che al­cu­ni di essi mo­ri­ro­no in tempi brevi a causa del brac­co­nag­gio.
Du­ran­te la se­con­da guer­ra mon­dia­le e nei pe­rio­di im­me­dia­ta­men­te suc­ces­si­vi, le po­po­la­zio­ni di ca­prio­lo su­bi­ro­no un dra­sti­co calo nu­me­ri­co (sem­bra che nel 1946 fos­se­ro ri­ma­sti solo una tren­ti­na di esem­pla­ri), seb­be­ne da fonti note è pos­si­bi­le ri­le­va­re che esi­ste una con­ti­nui­tà ge­ne­ti­ca tra le po­po­la­zio­ni del pe­rio­do pre­bel­li­co e le po­po­la­zio­ni at­tua­li (Maz­za­ro­ne et al., 2000). Si ri­tie­ne inol­tre che i ca­prio­li pre­sen­ti oggi nel ter­ri­to­rio se­ne­se avreb­be­ro avuto ori­gi­ne da im­mis­sio­ni ef­fet­tua­te a par­ti­re dagli inizi del ‘900 con ani­ma­li pro­ve­nien­ti sia dalla Ma­rem­ma la­zia­le, che con sog­get­ti al­loc­to­ni pro­ve­nien­ti dalla Gran Bre­ta­gna e dalla Ce­co­slo­vac­chia (Lo­ren­zi­ni at al., 2000).
Pos­sia­mo quin­di de­dur­re che l’in­cre­men­to nu­me­ri­co della spe­cie e il con­se­guen­te am­plia­men­to del­l’a­rea­le a cui si è as­si­sti­to negli ul­ti­mi de­cen­ni nel ter­ri­to­rio re­gio­na­le sia da im­pu­ta­re prin­ci­pal­men­te alle nu­me­ro­se rein­tro­du­zio­ni, ed in mi­su­ra mi­no­re alla dif­fu­sio­ne na­tu­ra­le delle re­stan­ti po­po­la­zio­ni in­di­ge­ne, che si ri­tro­va­no oggi solo in al­cu­ne aree della Ma­rem­ma e del se­ne­se.
In­fat­ti, l’at­tua­le espan­sio­ne sia na­tu­ra­le che ar­ti­fi­cia­le degli eco­ti­pi au­toc­to­ni e di quel­li al­loc­to­ni ha por­ta­to ormai ad una so­vrap­po­si­zio­ne degli area­li, per cui sem­bra piut­to­sto dif­fi­ci­le riu­sci­re in fu­tu­ro a pre­ser­va­re inal­te­ra­te le ca­rat­te­ri­sti­che ge­ne­ti­che di uno spe­ci­fi­co ca­prio­lo del­l’I­ta­lia cen­tro-me­ri­dio­na­le (Mas­se­ti et al., 2001).
La To­sca­na ap­pa­re la re­gio­ne ita­lia­na che ospi­ta le po­po­la­zio­ni di ca­prio­lo più nu­me­ro­se, in cui si re­gi­stra una pre­sen­za sti­ma­ta nel 1999-2000 di 107.300 capi, di­stri­bui­ti su gran parte del ter­ri­to­rio re­gio­na­le (Pe­drot­ti, 2001).
Il Piano fau­ni­sti­co re­gio­na­le della To­sca­na 2007-2010 ri­por­ta nella Ta­bel­la 34: Di­stret­ti per la cac­cia al ca­prio­lo per l’an­no 2004, 100.477 capi de­ri­van­ti dalla somma dei capi sti­ma­ti nei sin­go­li ATC. La di­stri­bu­zio­ne sul ter­ri­to­rio re­gio­na­le è quel­la ri­por­ta­ta in fi­gu­ra sot­to­stan­te.
La spe­cie è dif­fu­sa in tutto l’Ap­pen­ni­no to­sco-emi­lia­no, dalla Lu­ni­gia­na fino a Bocca Tra­ba­ria, com­pren­den­do la Gar­fa­gna­na, il pi­sto­ie­se, il Mu­gel­lo, il Pra­to­ma­gno ed il Ca­sen­ti­no e la si ri­tro­va uni­for­me­men­te dif­fu­sa anche a sud del­l’Ar­no fino al con­fi­ne me­ri­dio­na­le della To­sca­na, es­sen­do anche pre­sen­te in pro­vin­cia di Lucca, di Li­vor­no, di Siena e di Gros­se­to (Mas­se­ti et al., 2001).

Distribuzione del Capriolo in Italia e in Toscana
Di­stri­bu­zio­ne del Ca­prio­lo in Ita­lia (al 2005) e in To­sca­na

 

Ca­rat­te­ri­sti­che mor­fo­lo­gi­che

Il ca­prio­lo è il più pic­co­lo cer­vi­de della fauna eu­ro­pea, molti pro­fa­ni lo con­fon­do­no spes­so con i pic­co­li di cervo no­no­stan­te siano in­di­vi­dui con no­te­vo­li dif­fe­ren­ze mor­fo­lo­gi­che. Il ca­prio­lo ha una con­for­ma­zio­ne fi­si­ca slan­cia­ta, corpo rac­col­to, la grop­pa più alta del gar­re­se (Li­ster et al., 1998) fa si che il treno po­ste­rio­re sia più ro­bu­sto di quel­lo an­te­rio­re: ti­pi­ca strut­tu­ra dei sal­ta­to­ri. La testa è corta, il pro­fi­lo ap­pa­re net­ta­men­te trian­go­la­re (nel ma­schio più che nelle fem­mi­ne),ter­mi­nan­te an­te­rior­men­te in un muso mi­nu­to, stret­to e nudo. Le orec­chie e gli occhi sono gran­di, con le prime che rag­giun­go­no i 2/3 in lun­ghez­za della testa. La coda è pra­ti­ca­men­te in­vi­si­bi­le.

Di­men­sio­ne e svi­lup­po cor­po­reo

Le dif­fe­ren­ze tra i due sessi per quan­to ri­guar­da i va­lo­ri dei prin­ci­pa­li pa­ra­me­tri mor­fo­me­tri­ci sono pra­ti­ca­men­te ir­ri­le­van­ti, evi­den­zian­do così uno scar­so di­mor­fi­smo ses­sua­le, anche se in ge­ne­re le fem­mi­ne pre­sen­ta­no di­men­sio­ni di poco in­fe­rio­ri al ma­schio (Li­ster et al., 1998).
Un in­di­vi­duo di di­men­sio­ni medie è alto al gar­re­se circa 60-75 cm, men­tre la lun­ghez­za to­ta­le varia da 1 a 1,20 m (Il cac­cia­to­re di se­le­zio­ne, Ca­sa­no­va 2006). Il peso è da met­te­re in re­la­zio­ne al­l’am­bien­te e quin­di al­l’of­fer­ta ali­men­ta­re, ge­ne­ral­men­te in un in­di­vi­duo sano e ben svi­lup­pa­to do­vreb­be es­se­re com­pre­so tra i 20 e i 30 kg, men­tre certi in­di­vi­dui che abi­ta­no in zone par­ti­co­lar­men­te fa­vo­re­vo­li pos­so­no ar­ri­va­re anche fino a 36 kg; Le fem­mi­ne sono in media più leg­ge­re dei ma­schi di 2 o 3 kg. Alla na­sci­ta il ca­prio­lo pesa da 0,9 a 1,8 kg circa ed è ca­rat­te­riz­za­to da uno svi­lup­po pon­de­ra­le molto ra­pi­do: a due set­ti­ma­ne di vita rad­dop­pia il pro­prio peso, men­tre a 8 mesi rag­giun­ge già il 70% del peso de­fi­ni­ti­vo (An­der­sen et al., 1998; Mu­sto­ni et al., 2002; Sem­pé­ré et al., 1996), che in caso di svi­lup­po nor­ma­le viene rag­giun­to nel quar­to anno di vita nei ma­schi e nel terzo anno nelle fem­mi­ne. Nel corso della se­ne­scen­za si può as­si­ste­re ad un re­gres­so di peso, mag­gior­men­te vi­si­bi­le nei ma­schi.
La va­ria­bi­li­tà di peso e di­men­sio­ni pre­sen­te al­l’in­ter­no della spe­cie è con­di­zio­na­ta da fat­to­ri in­di­vi­dua­li (peso e con­di­zio­ne fi­si­ca della madre, ori­gi­ni ge­ne­ti­che), so­cia­li (den­si­tà di po­po­la­zio­ne) e am­bien­ta­li (al­ti­tu­di­ne, clima, di­spo­ni­bi­li­tà tro­fi­che sia in ter­mi­ni qua­li­ta­ti­vi che quan­ti­ta­ti­vi) (An­drer­sen et al., 1998; Mu­sto­ni et al., 2002; Toso et al., 1998). I ca­prio­li però non pe­sa­no ugual­men­te du­ran­te il corso del­l’an­no, que­sto fe­no­me­no si ri­scon­tra mag­gior­men­te nei ma­schi dove le va­ria­zio­ni di peso pos­so­no es­se­re no­te­vo­li. Nei mesi di mag­gio, giu­gno e ot­to­bre è rag­giun­to il mas­si­mo della mole, men­tre du­ran­te il pe­rio­do degli amori gli in­di­vi­dui pe­sa­no sen­si­bil­men­te meno. Una con­ti­nua di­mi­nu­zio­ne di peso av­vie­ne pure nei mesi in­ver­na­li quan­do il cibo scar­seg­gia, per le fem­mi­ne vale lo stes­so ciclo es­sen­do im­pe­gna­te in esta­te nel­l’al­lat­ta­men­to della prole.

Man­tel­lo

Come tutti i cer­vi­di il man­tel­lo dei pic­co­li si pre­sen­ta di co­lo­re bruno scuro e pic­chiet­ta­to lungo la schie­na e i fian­chi (Li­ster et al., 1998), nel­l’ar­co di circa due mesi tali mac­chie ten­do­no a scom­pa­ri­re per la­scia­re spa­zio al man­tel­lo esti­vo ros­sic­cio, ana­lo­go a quel­lo del­l’a­dul­to (Mu­sto­ni et al., 2002). Il man­tel­lo su­bi­sce due mute an­nua­li: la muta pri­ma­ve­ri­le fa as­su­me­re una viva co­lo­ra­zio­ne bru­no-ros­sa­stra, seb­be­ne pos­sa­no es­se­re os­ser­va­te va­ria­zio­ni di to­na­li­tà in base al­l’e­tà degli in­di­vi­dui. Spes­so gli ani­ma­li più gio­va­ni e sani hanno il man­tel­lo esti­vo più vivo, men­tre vec­chi e ma­la­ti sono più chia­ri. In ot­to­bre-no­vem­bre il pelo è molto più fitto e lungo, con una co­lo­ra­zio­ne gri­gio-bru­na­stra che ben mette in ri­sal­to la zona po­ste­rio­re com­ple­ta­men­te bian­ca de­no­mi­na­ta “spec­chio anale”. Que­sta zona è un utile stru­men­to per ri­co­no­sce­re i sessi poi­ché pre­sen­ta una forma a rene o fa­gio­lo nel ma­schio e a cuore ro­ve­scia­to nella fem­mi­na; in que­st’ul­ti­ma inol­tre è pos­si­bi­le di­stin­gue­re una “falsa coda”, ov­ve­ro un ciuf­fo di peli color crema che pro­teg­ge l’or­ga­no ge­ni­ta­le.
La muta pri­ma­ve­ri­le av­vie­ne tra apri­le e giu­gno ed è un fe­no­me­no piut­to­sto vi­sto­so che può du­ra­re anche una ven­ti­na di gior­ni, ca­rat­te­riz­za­to da una mas­sic­cia ca­du­ta di cioc­che del man­tel­lo in­ver­na­le; men­tre la muta au­tun­na­le, che si ma­ni­fe­sta tra set­tem­bre e ot­to­bre (ra­ra­men­te fino a no­vem­bre), ri­sul­ta meno ap­pa­ri­scen­te e av­vie­ne in tempi piut­to­sto ra­pi­di. Da ri­le­va­re come il pe­rio­do delle mute vari in re­la­zio­ne del­l’e­tà e allo stato di sa­lu­te del­l’in­di­vi­duo: il man­tel­lo in­fat­ti viene cam­bia­to prima dai gio­va­ni, se­gui­ti poi dai su­ba­dul­ti, dagli adul­ti, dagli in­di­vi­dui ma­la­ti o de­bo­li, dai vec­chi (Mu­sto­ni et al., 2002; Ni­co­lo­so e Or­lan­di, 2002). Ca­rat­te­ri­sti­ca pe­cu­lia­re del ca­prio­lo che lo di­stin­gue dagli altri Cer­vi­di ita­lia­ni, è quel­la di avere il lab­bro in­fe­rio­re com­ple­ta­men­te bian­co.

Or­ga­ni sen­so­ria­li e ghian­do­le

Par­ti­co­lar­men­te svi­lup­pa­ti ri­sul­ta­no nel ca­prio­lo i sensi del­l’ol­fat­to e del­l’u­di­to. L’im­por­tan­za di que­st’ul­ti­mo è evi­den­zia­ta dalla forma e dalle di­men­sio­ni delle orec­chie, non­ché dalla loro estre­ma mo­bi­li­tà (Sem­pé­ré et al., 1996; Ta­rel­lo, 1991). L’ol­fat­to ha un gran­de ri­lie­vo nel­l’am­bi­to dei con­tat­ti e delle re­la­zio­ni so­cia­li, in par­ti­co­lar modo du­ran­te la fase ter­ri­to­ria­le e degli ac­cop­pia­men­ti. Nei ma­schi in­fat­ti la re­gio­ne fron­ta­le è co­spar­sa di nu­me­ro­se ghian­do­le che in pri­ma­ve­ra-esta­te emet­to­no una so­stan­za se­ba­cea odo­ro­sa, che serve per mar­ca­re il ter­ri­to­rio. Anche nella zona me­ta­tar­sa­le e in­ter­di­gi­ta­le di am­be­due i sessi sono pre­sen­ti ghian­do­le odo­ri­fe­re, at­ti­ve tutto l’an­no, le quali sem­bra­no as­su­me­re fun­zio­ne di ri­chia­mo “amo­ro­so” nel primo caso e di ri­co­no­sci­men­to in­di­vi­dua­le nel se­con­do (Sem­pé­ré et al., 1996; Li­berg et al., 1998).

Maschio e femmina di capriolo
Ma­schio e fem­mi­na di ca­prio­lo – Ma­schio che marca il ter­ri­to­rio

La vista è il senso meno svi­lup­pa­to, la po­si­zio­ne for­te­men­te la­te­ra­le degli occhi rende quasi im­pos­si­bi­le la vi­sio­ne bi­no­cu­la­re, e seb­be­ne i ca­prio­li siano molto ca­pa­ci nel­l’in­di­vi­dua­re ogni pic­co­lo mo­vi­men­to, hanno una scar­sa ca­pa­ci­tà a de­fi­ni­re un og­get­to im­mo­bi­le (Ta­rel­lo, 1991).

Palco

Nel ca­prio­lo, come in tutti gli altri cer­vi­di ad ec­ce­zio­ne della Renna, solo il ma­schio pos­sie­de ap­pen­di­ci fron­ta­li. I pal­chi sono strut­tu­re ca­du­che for­ma­ti da un vero e pro­prio tes­su­to osseo, sog­get­ti ad un ciclo an­nua­le. La loro com­po­si­zio­ne è pre­va­len­te­men­te di car­bo­na­to di cal­cio. I pal­chi di un in­di­vi­duo adul­to sono co­sti­tui­ti da due aste, de­no­mi­na­te stan­ghe, con tre di­ra­ma­zio­ni dette cime o punte che dalla an­te­rio­re alla po­ste­rio­re pren­do­no il nome di “ocu­la­re”, “ver­ti­ce” e “stoc­co”. La parte ba­sa­le, spor­gen­te sopra la pelle del cra­nio, si pre­sen­ta in­gros­sa­ta a forma di co­ro­na ed è chia­ma­ta “rosa”. Sulle stan­ghe sono pre­sen­ti, in par­ti­co­lar modo sulla parte in­ter­na e ba­sa­le, delle escre­scen­ze a forma di goc­cia chia­ma­te “perle”.

Palco del capriolo e relativa terminologia
Palco del ca­prio­lo e re­la­ti­va ter­mi­no­lo­gia.

La for­ma­zio­ne dei pal­chi ini­zia per la mol­ti­pli­ca­zio­ne e la mo­di­fi­ca­zio­ne di par­ti­co­la­ri cel­lu­le poste al­l’e­stre­mi­tà delle ossa fron­ta­li del cra­nio gra­zie alle quali si ha la pro­du­zio­ne di tes­su­to osseo. Du­ran­te la for­ma­zio­ne il palco è ri­ve­sti­to da una cute pe­lo­sa ricca di vasi san­gui­gni e ter­mi­na­zio­ni ner­vo­se chia­ma­ta “vel­lu­to”. In que­sto pe­rio­do in­fat­ti i pal­chi sono molto sen­si­bi­li pro­vo­can­do do­lo­re al­l’a­ni­ma­le se ac­ci­den­tal­men­te ur­ta­ti; con l’a­van­za­re dei pro­ces­si di os­si­fi­ca­zio­ne i vasi san­gui­gni del vel­lu­to ven­go­no oc­clu­si pro­vo­can­do­ne così la morte, anche l’a­spet­to di­ver­so as­sun­to dalle cime de­no­ta la ne­cro­si del vel­lu­to che non è più glo­bo­so ma piat­to e di co­lo­ri­to più smor­to. Il ca­prio­lo si li­be­ra di que­sto tes­su­to ormai inu­ti­le, co­sti­tui­to da pelle at­tac­ca­ta alle stan­ghe, me­dian­te un ope­ra­zio­ne detta di “pu­li­tu­ra” ot­te­nu­ta tra­mi­te lo sfre­ga­men­to con­tro tron­chi o ar­bu­sti. Tutti i pro­ces­si de­scrit­ti sono re­go­la­ti da or­mo­ni, in par­ti­co­la­re la so­ma­tro­pi­na (or­mo­ne della cre­sci­ta la cui con­cen­tra­zio­ne è mas­si­ma in pri­ma­ve­ra) ed il te­sto­ste­ro­ne (or­mo­ne ma­schi­le, re­spon­sa­bi­le del­l’os­si­fi­ca­zio­ne del palco). Dopo 80-120 gior­ni il pe­rio­do degli amori i pal­chi ca­do­no: ciò av­vie­ne per l’a­zio­ne di cel­lu­le poste al­l’e­stre­mi­tà delle pro­mi­nen­ze fron­ta­li le quali hanno sem­pre con­ser­va­to la loro strut­tu­ra ossea viva, in con­se­guen­za di tale at­ti­vi­tà si for­ma­no delle zone di rias­sor­bi­men­to del tes­su­to osseo che de­ter­mi­na­no una su­per­fi­ce di di­stac­co; ap­pe­na i pal­chi sono stati de­po­sti, que­sta linea di frat­tu­ra ci­ca­triz­za e ini­zia su­bi­to il pro­ces­so di for­ma­zio­ne del nuovo tro­feo (Ca­sa­no­va et al., 1993).
I pal­chi spun­ta­no per la prima volta l’au­tun­no suc­ces­si­vo alla na­sci­ta. Nel gio­va­ne ma­schio la for­ma­zio­ne ini­zia a 5-6 mesi e con­ti­nua len­ta­men­te fino a di­cem­bre-gen­na­io con­clu­den­do­si con la for­ma­zio­ne di due pic­co­le pro­mi­nen­ze fron­ta­li dette “bot­to­ni”; dopo poche set­ti­ma­ne dal ter­mi­ne del loro svi­lup­po, i pic­co­li pal­chi ven­go­no persi. Segue la for­ma­zio­ne, molto ra­pi­da, dei primi e veri pro­pri pal­chi. La ri­cre­sci­ta si ha in feb­bra­io-mar­zo, essa è in re­la­zio­ne sia con l’an­zia­ni­tà (av­vie­ne prima negli in­di­vi­dui vec­chi e adul­ti), sia con il buono stato di sa­lu­te del­l’a­ni­ma­le, sia a cir­co­stan­ze cli­ma­ti­che lo­ca­li non sem­pre per­fet­ta­men­te va­lu­ta­bi­li. Il ca­prio­lo ma­schio di un anno com­piu­to ha due sem­pli­ci aste e viene detto “pun­tu­to”. L’an­no suc­ces­si­vo i pal­chi pre­sen­ta­no due punte con aspet­to di pic­co­le for­cel­le “for­cu­to” ed in­fi­ne l’an­no suc­ces­si­vo com­piu­to il terzo anno di età, il tro­feo del ca­prio­lo è com­ple­ta­men­te svi­lup­pa­to con tre punte per palco “pal­cu­to” (Ni­co­lo­so e Or­lan­di, 2002; Perco 1995).
La de­po­si­zio­ne av­vie­ne dalla fine di ot­to­bre a tutto no­vem­bre-di­cem­bre ed anche in que­sto caso gli adul­ti pre­ce­do­no i gio­va­ni. Per quan­to ri­guar­da le di­men­sio­ni, la lun­ghez­za delle stan­ghe va dai 20 (18) ai 25 (30) cm (Li­ster et al., 1998; Perco, 1995; Sem­pé­ré et al., 1996). Le cime, spes­so di­se­gua­li, va­ria­no dai 2-3 cm ai 5 (8) cm. Peso e vo­lu­me va­ria­no in­ve­ce molto. Il peso si ag­gi­ra in­tro­no ai 180 e i 250 gr (Li­ster et al., 1998; Perco, 1995; Sem­pé­ré et al., 1996) . Orami è ac­cer­ta­to come i pal­chi svol­ga­no una fun­zio­ne de­ter­mi­nan­te nelle re­la­zio­ni so­cia­li in quan­to espri­mo­no il vi­go­re fi­si­co del ma­schio de­fi­nen­do­ne il rango so­cia­le. Quin­di, se il re­gi­me ali­men­ta­re è buono, si pos­so­no (in casi rari) avere sog­get­ti for­cu­ti ad un anno e pal­cu­ti a due, im­por­tan­te è la qua­li­tà degli ali­men­ti che de­vo­no avere un alto con­te­nu­to di cal­cio e fo­sfo­ro, ne­ces­sa­ri per una com­ple­ta os­si­fi­ca­zio­ne. La de­nu­tri­zio­ne, in­fat­ti, porta alla for­ma­zio­ne di pal­chi de­bo­li, poco per­la­ti, con cime piut­to­sto corte. Da ri­cor­da­re come l’os­si­fi­ca­zio­ne sia re­go­la­ta dal­l’or­mo­ne te­sto­ste­ro­ne, pro­dot­to dai te­sti­co­li, quin­di le­sio­ni o ma­lat­tie ad essi pos­so­no por­ta­re ai co­sid­det­ti “pal­chi a par­ruc­ca” nei quali si ha un ac­cre­sci­men­to con­ti­nuo senza so­li­di­fi­ca­zio­ne del tes­su­to osseo. Il ma­te­ria­le ri­ca­de fino a co­pri­re tutto il muso de­ter­mi­nan­do così ce­ci­tà. Un buono svi­lup­po di­pen­de anche dallo stato psi­chi­co del sog­get­to; fat­to­ri di stress che ne pos­so­no tur­ba­re l’e­qui­li­brio sono: den­si­tà ec­ces­si­ve, con­di­zio­ni di forte com­pe­ti­zio­ne con altre spe­cie ani­ma­li, in­fluen­ze del­l’uo­mo, di­se­qui­li­brio dei ran­ghi so­cia­li. Pos­sia­mo quin­di af­fer­ma­re che dal­l’os­ser­va­zio­ne at­ten­ta dei pal­chi pos­sia­mo trar­re im­por­tan­ti in­for­ma­zio­ni sulla sa­lu­te della po­po­la­zio­ne.

Den­ta­tu­ra

Il ca­prio­lo è ca­rat­te­riz­za­to dal­l’as­sen­za degli in­ci­si­vi e dei ca­ni­ni su­pe­rio­ri, al loro posto vi è in­fat­ti un ispes­si­men­to della mu­co­sa orale chia­ma­to “plac­ca den­ta­le”. Ca­rat­te­ri­sti­co ri­sul­ta quin­di il “morso”, la su­per­fi­cie dei ra­met­ti bru­ca­ti ap­pa­re sfi­lac­cia­ta an­zi­ché ta­glia­ta di netto. La den­ta­tu­ra da latte, pre­sen­te alla na­sci­ta, è com­po­sta da un to­ta­le di 20 denti. La so­sti­tu­zio­ne della den­ta­tu­ra da latte con quel­la del­l’a­dul­to, si com­ple­ta nor­mal­men­te entro il 12° mese di vita (Ai­t­ken, 1975) e com­pren­de un to­ta­le di 32 denti.
I ca­ni­ni ma­scel­la­ri ra­ra­men­te sono pre­sen­ti, ma pos­so­no ra­ra­men­te ri­tro­var­si in en­tram­bi i sessi, anche se ri­sul­ta­no meno fre­quen­ti nelle fem­mi­ne, que­sto a sup­por­to della tesi che in un lon­ta­no pas­sa­to i ma­schi pre­sen­ta­va­no ca­ni­ni molto svi­lup­pa­ti come ca­rat­te­re se­con­da­rio ma­schi­le. Nella man­di­bo­la i ca­ni­ni hanno ormai as­sun­to una mor­fo­lo­gia ed una fun­zio­na­li­tà da in­ci­si­vi. L’e­sa­me della man­di­bo­la con­sen­te, con una certa ap­pros­si­ma­zio­ne, la stima del­l’e­tà del­l’a­ni­ma­le. Una prima os­ser­va­zio­ne con­sen­te in­fat­ti di di­stin­gue­re i sog­get­ti in­fe­rio­ri al­l’an­no di età da quel­li che l’an­no già su­pe­ra­to: gli ele­men­ti ca­rat­te­ri­sti­ci di que­sto pas­sag­gio sono la so­sti­tu­zio­ne del 3° pre­mo­la­re, che dalla forma tri­cu­spi­de (tre punte, “p3”) passa a quel­la bi­cu­spi­de (due punte “P3”) e la com­ple­ta eru­zio­ne del 3° mo­la­re M3 (Ni­co­lo­so e Or­lan­di, 2002).

Dopo i 12 mesi la stima del­l’e­tà del ca­prio­lo può es­se­re fatta solo at­tra­ver­so l’a­na­li­si del grado di usura della ta­vo­la ma­sti­ca­to­ria a li­vel­lo di mo­la­ri e pre­mo­la­ri, ov­via­men­te que­sto me­to­do ri­sul­ta ab­ba­stan­za ap­pros­si­ma­ti­vo in quan­to ri­sen­te di vari fat­to­ri ca­rat­te­ri­sti­ci del­l’in­di­vi­duo come la mi­ne­ra­liz­za­zio­ne, la mec­ca­ni­ca ma­sti­ca­to­ria e del­l’am­bien­te in cui vive come clima ed ali­men­ta­zio­ne.

Eco-Eto­lo­gia

Ali­men­ta­zio­ne

Il ca­prio­lo, a causa del suo ele­va­to me­ta­bo­li­smo e della sua scar­sa ca­pa­ci­tò ru­mi­na­le, pari a circa il 6-8,5% del peso cor­po­reo (Sem­pé­ré et al., 1996; Ta­rel­lo, 1991) , ne­ces­si­ta di un’a­li­men­ta­zio­ne se­let­ti­va che pri­vi­le­gia fra­zio­ni ve­ge­ta­li po­ve­re di fibra e fa­cil­men­te di­ge­ri­bi­li, ad alto con­te­nu­to ener­ge­ti­co e pro­tei­co. La di­ge­stio­ne è de­ci­sa­men­te ra­pi­da ed il ritmo gior­na­lie­ro è sud­di­vi­so in nu­me­ro­si pe­rio­di di ali­men­ta­zio­ne (dai 10-11 in pri­ma­ve­ra-esta­te ai 6-7 du­ran­te l’in­ver­no), che sono più fre­quen­ti du­ran­te le ore cre­pu­sco­la­ri (alba e tra­mon­to), seb­be­ne tale at­ti­vi­tà possa es­se­re in­ten­sa du­ran­te tutto l’ar­co della gior­na­ta (Ta­rel­lo, 1991).
Il ca­prio­lo, ec­cel­so se­let­to­re, non è da ri­te­ner­si un esclu­si­vo con­su­ma­to­re di al­be­ri e ar­bu­sti come de­scrit­to in pas­sa­to, poi­ché al­cu­ne in­da­gi­ni hanno di­mo­stra­to che il suo nu­tri­men­to si basa so­prat­tut­to su erbe ad alto con­te­nu­to pro­tei­co (le­gu­mi­no­se fo­rag­ge­re), men­tre i ger­mo­gli delle varie la­ti­fo­glie as­su­mo­no un ruolo pre­mi­nen­te solo quan­do non vi è ade­gua­to pa­sco­lo er­ba­ceo (Ca­sa­no­va, 1990). Le parti le­gno­se delle pian­te sono uti­liz­za­te solo ra­ra­men­te (Dun­can et al., 1998). Me­dia­men­te la dieta del ca­prio­lo è co­sti­tui­ta da spe­cie ar­bo­ree e ar­bu­sti­ve per il 25%, da pian­te er­ba­cee di­co­ti­le­do­ni (le­gu­mi­no­se) per il 54%, e mo­no­co­ti­le­do­ni (gra­mi­na­cee) per il re­stan­te 16% (Sem­pé­ré et al., 1998). La spe­cie co­mun­que pre­sen­ta ampie va­ria­zio­ni nella quan­ti­tà e nella pro­por­zio­ne di es­sen­ze ve­ge­ta­li con­su­ma­te, in re­la­zio­ne al­l’of­fer­ta ali­men­ta­re e ai di­ver­si mo­men­ti del ciclo bio­lo­g­i­co in cui si trova. La mag­gior di­spo­ni­bi­li­tà di ali­men­to che il ter­ri­to­rio possa of­fri­re si ha in giu­gno-lu­glio, pe­rio­do che coin­ci­de con l’au­men­to delle ri­chie­ste ener­ge­ti­che da parte del­l’a­ni­ma­le a causa del­l’al­lat­ta­men­to, dello svi­lup­po dei pic­co­li e del ri­tua­le che ac­com­pa­gna la ri­pro­du­zio­ne (Perco, 1995; Sem­pé­ré et al., 1996). Du­ran­te l’in­ver­no il li­vel­lo del me­ta­bo­li­smo ba­sa­le di­mi­nui­sce, adat­tan­do­si alla pe­nu­ria in­ver­na­le, in que­sto pe­rio­do i ca­prio­li snob­ba­no campi e prati, il loro nu­tri­men­to è in­fat­ti quasi in­te­ra­men­te con­su­ma­to nel bosco e ri­guar­da ger­mo­gli di rovo o lam­po­ne, ghian­de, ca­sta­gne, fag­gio­le e fun­ghi; con l’a­van­za­re del­l’in­ver­no il cibo è co­sti­tui­to so­prat­tut­to dalle cime di quer­ce, di abete bian­co (ove pre­sen­te) e in ge­ne­re di tutti gli al­be­ri, ar­bu­sti e ce­spu­gli (Perco, 1995). Verso la fine della sta­gio­ne in­ver­na­le, che so­li­ta­men­te rap­pre­sen­ta il pe­rio­do cri­ti­co dal punto di vista ali­men­ta­re, il ca­prio­lo si ri­vol­ge in gran parte agli apici ve­ge­ta­ti­vi della rin­no­va­zio­ne fo­re­sta­le (Ca­sa­no­va, 1990).

Or­ga­niz­za­zio­ne so­cia­le

Il ca­prio­lo è un ani­ma­le ti­pi­ca­men­te ter­ri­to­ria­le, ma­ni­fe­sta cioè un com­por­ta­men­to sta­gio­na­le at­tra­ver­so cui i sog­get­ti adul­ti di rango più ele­va­to en­tra­no in pos­ses­so di una de­ter­mi­na­ta area, ri­te­nu­ta la più fa­vo­re­vo­le, al­l’in­ter­no della quale non viene tol­le­ra­ta la pre­sen­za di altri in­di­vi­dui dello stes­so sesso (Hewi­son et al., 1998). La ter­ri­to­ria­li­tà non è pre­ro­ga­ti­va dei solo ma­schi, anche le fem­mi­ne du­ran­te il pe­rio­do dei parti e nelle fasi im­me­dia­ta­men­te suc­ces­si­ve in­di­vi­dua­no e di­fen­do­no un loro ter­ri­to­rio (Hewi­son et al., 1998). L’in­do­le ter­ri­to­ria­le del ca­prio­lo ne spie­ga in parte anche la so­cia­li­tà: esclu­se forti re­la­zio­ni pa­ren­ta­li che si for­ma­no tra madre e prole, il ca­prio­lo non forma veri e pro­pri bran­chi, li­mi­tan­do­si a qual­che mo­men­to di ap­pa­ren­te ag­gre­ga­zio­ne quan­do le cir­co­stan­ze lo ren­do­no ne­ces­sa­rio, ad esem­pio in caso di ca­re­stie in­ver­na­li. Si parla quin­di di un or­ga­niz­za­zio­ne so­cia­le ba­sa­ta sul grup­po fa­mi­lia­re in­ver­na­le ti­pi­co, co­sti­tui­to da 3-5 in­di­vi­dui con or­ga­niz­za­zio­ne ma­triar­ca­le: alla madre in­fat­ti spet­ta­no i com­pi­ti di scel­ta di lo­ca­li­tà di pa­sco­lo, di guida negli spo­sta­men­ti, di de­ci­sio­ne se pren­de­re la fuga o ri­ma­ne­re (Ca­sa­no­va et al., 1993; Perco, 1995). Le unità fa­mi­lia­ri sono in ge­ne­re sta­bi­li e com­po­ste dalla fem­mi­na adul­ta ca­po­grup­po con i suoi pic­co­li del­l’an­no, se­gui­ta even­tual­men­te dalla fi­glia sot­ti­le e dal ma­schio che l’ac­com­pa­gna (Hewi­son et al., 1998; Perco, 1995).

Fasi an­nua­li del ciclo bio­lo­g­i­co

Al­l’in­ter­no della po­po­la­zio­ne, le at­ti­vi­tà e le in­te­ra­zio­ni fra i vari in­di­vi­dui non sono co­stan­ti, ma va­ria­no nel corso del­l’an­no, in­fluen­za­te dal mu­ta­re delle sta­gio­ni. Il com­por­ta­men­to del ca­prio­lo può es­se­re sud­di­vi­so in varie fasi, che co­sti­tui­sco­no i mo­men­ti di mag­gio­re at­ti­vi­tà so­cia­le della spe­cie. A par­ti­re dai tre anni di età, alla fine del­l’in­ver­no, i ma­schi ten­ta­no di de­li­mi­ta­re un ter­ri­to­rio, al­l’in­ter­no del quale nes­sun altro in­di­vi­duo di esso ma­schi­le è am­mes­so. I rap­por­ti tra i vari in­di­vi­dui, al­l’in­ter­no di una po­po­la­zio­ne, non sono co­stan­ti ma va­ria­no nel corso del­l’an­no, il com­por­ta­men­to dei ca­prio­li, in­fat­ti, può es­se­re così di­vi­so in varie fasi che co­sti­tui­sco­no i mo­men­ti di mag­gio­re at­ti­vi­tà so­cia­le. Tali pe­rio­di cor­ri­spon­do­no alla fase ge­rar­chi­ca, alla fase ter­ri­to­ria­le ed al pe­rio­do degli amori. Verso la fine del­l’in­ver­no, i ma­schi più vec­chi e più forti hanno un tro­feo già quasi for­ma­to, ben vi­si­bi­le, anche se tal­vol­ta è an­co­ra in vel­lu­to o sono da com­ple­ta­re i pro­ces­si di so­li­di­fi­ca­zio­ne. Il ma­schio che lo porta tende già ad as­su­me­re at­teg­gia­men­ti di in­tol­le­ran­za verso gli altri ma­schi più gio­va­ni o de­bo­li, verso la metà di Marzo, i pro­ces­si di for­ma­zio­ne dei pal­chi sono ter­mi­na­ti e quin­di pos­so­no es­se­re usati come arma di of­fe­sa: ini­zia così la fase ge­rar­chi­ca. A que­sto pro­po­si­to si pos­so­no di­stin­gue­re al­cu­ni tipi di at­teg­gia­men­ti, rias­su­mi­bi­li in tre ca­te­go­rie: – Com­por­ta­men­to di im­po­si­zio­ne, – di sot­to­mis­sio­ne, – di mi­nac­cia.
Il com­por­ta­men­to ti­pi­co di im­po­si­zio­ne ha so­prat­tut­to la fun­zio­ne di mo­stra­re la pro­pria forza e quin­di di im­pres­sio­na­re o in­ti­mi­di­re i ri­va­li. Molto ra­ra­men­te si può ar­ri­va­re ad uno scon­tro di­ret­to, in quan­to po­treb­be es­se­re dan­no­so per en­tram­bi i con­ten­den­ti. I due ma­schi si po­si­zio­na­no uno di fron­te al­l’al­tro, con il collo ben drit­to, la testa pie­ga­ta di fian­co e le orec­chie ri­vol­te al­l’in­die­tro. Se il ri­va­le ap­par­tie­ne ad un rango so­cia­le in­fe­rio­re ri­co­no­scen­do la pro­pria in­fe­rio­ri­tà fi­si­ca, mo­stre­rà un com­por­ta­men­to di sot­to­mis­sio­ne, ten­den­do a “farsi pic­co­lo”, as­su­men­do una po­si­zio­ne rac­col­ta con il collo te­nu­to oriz­zon­ta­le. Il com­por­ta­men­to di mi­nac­cia è in­ve­ce un in­sie­me di at­teg­gia­men­ti tesi a dis­sua­de­re, me­dian­te in­ti­mi­da­zio­ne e ag­gres­sio­ne; il ca­prio­lo punta il muso verso terra, avan­za verso l’av­ver­sa­rio te­nen­do le orec­chie ben drit­te, tutto que­sto può es­se­re raf­for­za­to anche dalla “ra­spa­tu­ra”. Il rango so­cia­le viene così a fis­sar­si tra i ma­schi di di­ver­sa forza ed età me­dian­te im­po­si­zio­ne, mi­nac­cia, fughe de­ter­mi­na­te al­cu­ne volte da brevi in­se­gui­men­ti. Se dopo i vari at­teg­gia­men­ti di im­po­si­zio­ne, nes­su­no dei due con­ten­den­ti si al­lon­ta­na o si sot­to­met­te, si ar­ri­va alla mi­nac­cia: i ma­schi si av­vi­ci­na­no e, se an­co­ra nes­su­no dei due scap­pa, ini­zia la lotta. Nor­mal­men­te i com­bat­ti­men­ti non sono vio­len­ti, e chi ri­co­no­sce la pro­pria in­fe­rio­ri­tà, dopo i primi at­tac­chi è co­stret­to a fug­gi­re. I ma­schi più vec­chi, cioè quel­li che hanno un pro­ces­so di os­si­fi­ca­zio­ne del palco pre­co­ce ri­spet­to agli altri, sono so­li­ta­men­te i più alti nella scala ge­rar­chi­ca della po­po­la­zio­ne.
Alla fine della pri­ma­ve­ra tutti i ma­schi sono ve­nu­ti a “co­no­scen­za” dei loro an­ta­go­ni­sti e tutti hanno un ruolo ben de­fi­ni­to al­l’in­ter­no della po­po­la­zio­ne. In que­sta fase quin­di ogni ma­schio sa qual è la sua po­si­zio­ne. Alla fase ge­rar­chi­ca segue la fase ter­ri­to­ria­le, l’i­ni­zio di tale fase non è esat­ta­men­te de­ter­mi­na­bi­le, es­sen­do com­por­ta­men­ti che spes­so sfu­ma­no gli uni negli altri. Il ter­ri­to­rio ha dei con­fi­ni trac­cia­ti tra­mi­te vari se­gna­li, che pos­so­no es­se­re vi­si­vi (fre­go­ni e ra­spa­te), acu­sti­ci (ab­ba­io) ed ol­fat­ti­vi ed è di­fe­so dal ma­schio che lo pos­sie­de. Solo i ma­schi di rango am­pia­men­te in­fe­rio­re sono am­mes­si e solo in at­teg­gia­men­ti di to­ta­le sot­to­mis­sio­ne, le fem­mi­ne sono na­tu­ral­men­te ben ac­cet­te. L’am­piez­za del ter­ri­to­rio è va­ria­bi­le, in media è fra i 10 e i 20 ha per i ter­ri­to­ri mi­glio­ri, a fra i 20 e i 30 ha per i peg­gio­ri, que­sto per­ché ge­ne­ral­men­te i più pic­co­li sono più ric­chi di ali­men­ti, più si­cu­ri e me­glio di­fen­di­bi­li. Il ter­ri­to­ria­li­smo ma­schi­le ri­sul­ta im­por­tan­te anche per­ché con­sen­te di re­go­la­re la den­si­tà della po­po­la­zio­ne de­ter­mi­nan­do uno sfrut­ta­men­to più ra­zio­na­le del­l’am­bien­te.
La sta­gio­ne degli amori si con­cen­tra tra la metà di lu­glio e la metà di ago­sto e l’ac­cop­pia­men­to av­vie­ne al­l’in­ter­no del ter­ri­to­rio del ma­schio, in quan­to le fem­mi­ne in que­sto pe­rio­do hanno so­li­ta­men­te un home range coin­ci­den­te con esso. In­fat­ti il ter­ri­to­rio di un ma­schio può coin­ci­de­re par­zial­men­te o to­tal­men­te con quel­lo di una o più fem­mi­ne, di norma tre, in casi ec­ce­zio­na­li anche dieci; ciò sa­reb­be anche al­l’o­ri­gi­ne del­l’al­ta in­ci­den­za di ac­cop­pia­men­ti tra sog­get­ti con­san­gui­nei che si ri­scon­tra al­l’in­ter­no delle po­po­la­zio­ni di ca­prio­lo, seb­be­ne tale fe­no­me­no sia leg­ger­men­te ri­dot­to dalle brevi escur­sio­ni dei ma­schi fuori dal loro ter­ri­to­rio alla ri­cer­ca di altre fem­mi­ne. Il ca­prio­lo è quin­di una spe­cie po­li­ga­ma, in quan­to nella stes­sa sta­gio­ne ri­pro­dut­ti­va è in grado di ac­cop­piar­si con una o più fem­mi­ne, seb­be­ne non formi un harem. In­fat­ti, a dif­fe­ren­za di altri cer­vi­di, il ca­prio­lo forma cop­pie più o meno sta­bi­li, di na­tu­ra di­ver­sa a se­con­da che si trat­ti di una fem­mi­na adul­ta o di una gio­va­ne. L’u­nio­ne tra ma­schi e fem­mi­ne gio­va­ni ge­ne­ral­men­te ha una du­ra­ta mag­gio­re (la cop­pia può for­mar­si già nel pe­rio­do in­ver­na­le e per­du­ra­re anche dopo l’ac­cop­pia­men­to) ri­spet­to alle cop­pie for­ma­te con le fem­mi­ne adul­te, an­co­ra im­pe­gna­te nelle cure pa­ren­ta­li. Le fem­mi­ne di ca­prio­lo sono mo­noe­stra­li e la du­ra­ta del­l’e­stro è di circa 36-48 ore. Il ca­lo­re si ma­ni­fe­sta con un picco tra la fine di lu­glio e l’i­ni­zio di ago­sto, da prima nelle sot­ti­li e dopo nelle adul­te. In que­ste ul­ti­me av­vie­ne me­dia­men­te a 68 gior­ni dal parto, in quan­to sono an­co­ra im­pe­gna­te nella cura della prole, e il ma­ni­fe­star­si del ca­lo­re è ne­ga­ti­va­men­te cor­re­la­to con le fre­quen­ti pop­pa­te. La fine del pe­rio­do degli amori segna un mo­men­to di gran­di mo­di­fi­ca­zio­ni nella so­cia­li­tà del ca­prio­lo: le madri riac­qui­sta­no il rap­por­to con la prole, de­ter­mi­nan­do così un as­se­sta­men­to de­fi­ni­ti­vo bel grup­po ma­dre-fi­gli, que­sta fase coin­ci­de con il pe­rio­do tardo au­tun­na­le e in­ver­na­le in cui si viene a ri­sta­bi­li­re il grup­po fa­mi­lia­re ti­pi­co.
In con­di­zio­ni par­ti­co­lar­men­te ri­gi­de (come in­ne­va­men­to forte e pro­lun­ga­to), più grup­pi fa­mi­lia­ri pos­so­no con­cen­trar­si nelle poche aree di pa­sco­lo che of­fro­no mag­gio­ri ri­sor­se tro­fi­che, per dare così ori­gi­ne ai co­sid­det­ti “as­sem­bra­men­ti”, pseu­do-bran­chi di scar­sa coe­sio­ne che si sciol­go­no al ces­sa­re delle con­di­zio­ni sfa­vo­re­vo­li ed in cui ogni grup­po man­tie­ne la pro­pria in­di­vi­dua­li­tà. Con l’ap­pros­si­mar­si del parto (mag­gio-giu­gno) av­vie­ne la com­ple­ta di­sgre­ga­zio­ne del grup­po in­ver­na­le, in quan­to la fem­mi­na adul­ta si isola per par­to­ri­re i pic­co­li, ge­ne­ral­men­te due, anche se non sono rari i parti tri­ge­mi­ni. La gra­vi­dan­za del ca­prio­lo è ti­pi­ca, in­fat­ti è pos­si­bi­le di­stin­gue­re una dia­pau­sa em­brio­na­le di circa 4-5 mesi, a cui fa se­gui­to la gra­vi­dan­za vera e pro­pria, an­ch’es­sa di circa 5 mesi: in to­ta­le quin­di la ge­sta­zio­ne com­ple­ta dura dai 285 (264) ai 300 (318) gior­ni (Sem­pé­ré et al., 1996; Ta­rel­lo, 1991). Nelle prime set­ti­ma­ne di vita i ca­prio­let­ti sono an­co­ra molto im­ma­tu­ri e tra­scor­ro­no poco tempo in­sie­me alla madre. Que­sta in­fat­ti si al­lon­ta­na per ali­men­tar­si, ri­ma­nen­do co­mun­que nei din­tor­ni e ri­tor­nan­do dalla prole per al­lat­tar­la più volte al gior­no, sep­pur per brevi pe­rio­di. I pic­co­li ri­man­go­no ap­pa­ren­te­men­te senza di­fe­sa: in real­tà la loro im­mo­bi­li­tà, il man­tel­lo mi­me­ti­co e l’as­sen­za di odore ca­rat­te­ri­sti­co sono una ga­ran­zia di sal­vez­za nei con­fron­ti dei pre­da­to­ri, di­ven­tan­do però una delle più alte cause di mor­ta­li­tà quan­do i pic­co­li si tro­va­no in prati che ven­go­no fal­cia­ti con mezzi mec­ca­ni­ci, che fi­ni­sco­no per uc­ci­der­li (Perco, 1995; Sem­pé­ré et al., 1996). Una pe­cu­lia­ri­tà del ca­prio­lo è la lun­ghez­za del “pe­rio­do cri­ti­co del­l’im­prin­ting”, che si ve­ri­fi­ca nella ter­za-quar­ta set­ti­ma­na di vita fino a fine lu­glio, cioè l’e­vo­lu­zio­ne del rap­por­to a di­stan­za in quel­lo di con­tat­to, du­ran­te il quale il pic­co­lo, se­con­do un mec­ca­ni­smo in­na­to ini­zia ad ap­pren­de­re, a ri­co­no­sce­re i mem­bri della pro­pria fa­mi­glia e della pro­pria spe­cie, a di­scri­mi­na­re gli estra­nei e i po­ten­zia­li pe­ri­co­li, in modo che l’at­tac­ca­men­to alla madre di­ven­ta sta­bi­le ed ir­re­ver­si­bi­le (Perco, 1995).

Ha­bi­tat ed uso dello spa­zio

L’op­ti­mum eco­lo­gi­co del ca­prio­lo è rap­pre­sen­ta­to da ter­ri­to­ri di pia­nu­ra, col­li­na e media mon­ta­gna, nei quali si svi­lup­pa un mo­sai­co ad ele­va­to in­di­ce eco­to­na­le (Perco, 1995; Sem­pé­ré et al., 1996). L’am­bien­te più adat­to alla spe­cie ori­gi­na­ria­men­te era la fo­re­sta di la­ti­fo­glie me­so­fi­te con folto sot­to­bo­sco, e la stes­sa mac­chia me­di­ter­ra­nea, am­be­due in­fra­mez­za­te da ra­du­re, pa­sco­li e col­tu­re fo­rag­ge­re. Sono da ri­te­ner­si quin­di am­bien­ti buoni per il ca­prio­lo i quer­co-car­pi­ne­ti, i quer­co-ca­sta­gne­ti ed i quer­ce­ti dei bo­schi pla­ni­zia­li, men­tre la fag­ge­ta ri­sul­ta meno adat­ta per­ché priva quasi ovun­que di sot­to­bo­sco (Brogi, 2001; Maz­za­ro­ne et al., 2000; Perco, 1995). Si può anche ag­giun­ge­re come la si­tua­zio­ne idea­le si ri­scon­tri in pre­va­len­za su ter­re­ni cal­ca­rei, cal­ca­reo-ma­ri­no­si ed ar­gil­lo­si, dove la ve­ge­ta­zio­ne ca­rat­te­ri­sti­ca di tali zone sod­di­sfa le esi­gen­ze della spe­cie in Sali mi­ne­ra­li. Il ca­prio­lo si con­fi­gu­ra come una spe­cie ubi­qui­ta­ria e re­la­ti­va­men­te adat­ta­bi­le ai nuovi am­bien­ti agri­co­li e bo­schi­vi crea­ti dal­l’uo­mo, li­mi­ta­ta­men­te a quel­le lo­ca­li­tà in cui per­du­ra un agri­col­tu­ra di tipo tra­di­zio­na­le e ab­ba­stan­za ri­spet­to­sa del­l’am­bien­te. In­fat­ti lo pos­sia­mo tro­va­re fre­quen­te­men­te in cedui ab­ban­do­na­ti e in pic­co­li bo­schet­ti a “mac­chia di leo­par­do”, al­ter­na­ti a col­ti­vi e prati. La spe­cie man­tie­ne co­mun­que uno stret­to le­ga­me con il bosco, anche in aree dove la co­per­tu­ra ar­bo­rea è scar­sa per­ché, no­no­stan­te la quan­ti­tà di of­fer­ta tro­fi­ca pre­sen­te nelle aree aper­te, que­ste non ri­spon­do­no alle esi­gen­ze di pro­te­zio­ne degli ani­ma­li, che in­fat­ti svol­go­no le fasi più im­por­tan­ti del loro ciclo bio­lo­g­i­co pro­prio in bosco (Hewi­son et al., 1998; Maz­za­ro­ne et al., 2000). Il mo­del­lo di uso del­l’ha­bi­tat del ca­prio­lo è con­di­zio­na­to prin­ci­pal­men­te dalla pre­sen­za di am­bien­ti in grado di of­fri­re un nu­tri­men­to qua­li­ta­ti­va­men­te ricco e ben di­stri­bui­to du­ran­te tutto l’an­no, in virtù della sua mar­ca­ta in­do­le ter­ri­to­ria­le e stan­zia­le. Le di­men­sio­ni dell’ home range (area fa­mi­lia­re) di­pen­do­no dalla sta­gio­ne, dalle di­spo­ni­bi­li­tà ali­men­ta­ri, dal­l’e­tà e dal sesso degli ani­ma­li. Negli am­bien­ti ti­pi­ci della spe­cie (bosco di la­ti­fo­glie con ricco sot­to­bo­sco e ampie ra­du­re o aree in­col­te di pa­sco­lo) l’ho­me range varia dai 20 ai 50 ha, seb­be­ne in aree for­te­men­te col­ti­va­te senza co­per­tu­ra possa rag­giun­ge­re i 150-500 ha (Fer­lo­ni, 1998; Li­berg et al., 1998; Sem­pé­ré et al., 1996). Nor­mal­men­te, a causa dei con­ti­nui spo­sta­men­ti alla ri­cer­ca di cibo, il do­mi­ci­lio in­ver­na­le è mag­gio­re ri­spet­to a quel­lo pri­ma­ve­ri­le-esti­vo (può es­se­re dalle 3 alle 15 volte mag­gio­re ri­spet­to al­l’a­rea de­li­mi­ta­ta dal ma­schio in fase ter­ri­to­ria­le), e la bassa ag­gres­si­vi­tà degli ani­ma­li in que­sto pe­rio­do per­met­te una par­zia­le so­vrap­po­si­zio­ne degli home range (Ce­der­lund, 1983). Il ter­ri­to­rio dei ma­schi do­mi­nan­ti è una zona in­ter­na al­l’ho­me range sta­gio­na­le, de­li­mi­ta­ta da con­fi­ni pre­ci­si e poco mu­te­vo­li, che ri­sul­ta re­la­ti­va­men­te sta­bi­le nel tempo. Le di­men­sio­ni di que­st’a­rea pos­so­no va­ria­re dai 2 ai 200 ha, ed au­men­ta­no al di­mi­nui­re della den­si­tà della po­po­la­zio­ne e della qua­li­tà del­l’am­bien­te esti­vo (Li­berg et al., 1998; Sem­pé­ré et al., 1996). Il ter­ri­to­ria­li­smo ma­schi­le è molto im­por­tan­te per la di­na­mi­ca della po­po­la­zio­ne, per­ché fa­vo­ri­sce due fe­no­me­ni: 1) la co­lo­niz­za­zio­ne dei ter­ri­to­ri li­mi­tro­fi ad un nu­cleo in cui si sia for­ma­ta una po­po­la­zio­ne vi­ta­le, a causa delle mi­gra­zio­ni a cui sono co­stret­ti i gio­va­ni ma­schi. 2) l’au­to­re­go­la­zio­ne della den­si­tà di po­po­la­zio­ne in quan­to un de­ter­mi­na­to com­pren­so­rio non può con­te­ne­re più di tanti ma­schi ter­ri­to­ria­li. Tra un ter­ri­to­rio e l’al­tro esi­sto­no co­mun­que delle zone “cu­sci­net­to”, entro le quali l’ag­gres­si­vi­tà è ri­dot­ta al mi­ni­mo e dove i ma­schi di ter­ri­to­ri con­fi­nan­ti rie­sco­no a tol­le­rar­si a vi­cen­da (Ta­rel­lo, 1991). Anche la fem­mi­na pros­si­ma a par­to­ri­re as­su­me un com­por­ta­men­to ter­ri­to­ria­le, in quan­to si isola in un luogo tran­quil­lo, di norma non più gran­de di 2 ha, ca­rat­te­riz­za­to da mi­cro­cli­ma fa­vo­re­vo­le ed in cui può eser­ci­ta­re un con­trol­lo sul­l’am­bien­te cir­co­stan­te (Hewi­son et al., 1998; Perco, 1995). Dopo un pe­rio­do re­la­ti­va­men­te breve suc­ces­si­vo al parto, l’a­rea vi­ta­le au­men­ta di nuovo e si può so­vrap­por­re a quel­la di altre fem­mi­ne (Da­nil­kin, 1996).

Ales­san­dro Ce­ro­fo­li­ni, lau­rea­to in Scien­ze Fau­ni­sti­che pres­so la Fa­col­tà di Agra­ria di Fi­ren­ze, fre­quen­ta l’ul­ti­mo anno del corso di lau­rea ma­gi­stra­le in scien­ze fau­ni­sti­co am­bien­ta­li. Cur­ri­cu­lum vitae >>>

 

Fauna delle Alpi

Fauna delle Alpi – Mam­mi­fe­ri
Ser­gio Abram – Ni­ti­da Im­ma­gi­ne Edi­tri­ce

87 spe­cie di mam­mi­fe­ri sel­va­ti­ci pre­sen­ti nelle Alpi ita­lia­ne, il­lu­stra­te e det­ta­glia­ta­men­te de­scrit­te in al­tret­tan­te sche­de. 230 fo­to­gra­fie a co­lo­ri per ri­co­no­sce­re le spe­cie trat­ta­te.
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