di Guido Agostinucci
Classe: Liliopsida
Ordine: Asparagales
Famiglia: Iridaceae
Sottofamiglia: Crocoideae
Genere Crocus
Specie: C. sativus
Nome comune: zafferano (Italiano), saffron (Inglese), azafrán (Spagnolo), safran (Francese), acafrao (Portoghese), safran (Tedesco), kesar (Indiano), stigma croci (Latino).
Origine e diffusione
Lo zafferano domestico (Crocus sativus L.), una pianta erbacea perenne e bulbosa tuttora sconosciuta in ambiente naturale, deriva dalla mutazione del Crocus cartwrightianus, ovvero una specie originaria dell’isola di Creta (Negbi, 1999). La differenziazione della specie sativus avvenne per mezzo dell’estensiva selezione artificiale ad opera di agricoltori ed ebbe come scopo quello di favorire la scelta di piante caratterizzate dalla produzione di stimmi allungati e di maggiore dimensioni. Ne risultò una specie sterile incapace di produrre semi e quindi unicamente moltiplicabile attraverso l’utilizzo di bulbi. Di conseguenza, la riproduzione e diffusione del Crocus sativus divenne vincolata all’azione e presenza dell’uomo.
La coltivazione dello zafferano venne già documentata durante il tardo periodo dell’Era del Bronzo, ovverosia oltre tremila anni fa quando il Crocus sativus trovava ampio uso nel bacino del Mediterraneo tra gli Assiri, gli Egizi ed i Greci. Si narra che Cleopatra utilizzasse lo zafferano addirittura per aromatizzare e rendere più piacevoli i propri bagni (Deo, 2003). L’impiego dello zafferano come medicinale, spezia alimentare, fragranza e colorante fu così importante per i Romani che al momento di insediarsi in Galizia lo introdussero e coltivarono su larga scala. La Francia, fino alla caduta dell’impero romano, divenne così uno dei luoghi di maggiore importanza per la produzione dello zafferano. Nel vicino Oriente, lo zafferano venne ampiamente coltivato sia dai Fenici che dai Persiani nella Mesopotamia. Fu proprio da questa zona che attraverso le invasioni mongoliche lo zafferano raggiunse il Kashmir e la Cina.
Oggigiorno, il Crocus sativus viene coltivato principalmente in alcuni paesi del bacino Mediterraneo, nel Medio Oriente e nell’India. La produzione mondiale di questa pregiata spezia viene stimata intorno alle 300 tonnellate annue. Di queste, l’Iran ne produce circa il 94 percento, mentre il restante 6 percento viene prodotto in Spagna, Italia, India, Grecia, Azerbaijan e Marocco (Hill, 2004). In Italia, le principali regioni produttrici di zafferano sono la Sardegna, l’Abruzzo, la Toscana e l’Umbria.
Caratteri botanici
Il Crocus sativus è una specie triploide sterile appartenente alla famiglia delle Iridaceae e caratterizzata dalla formazione di foglie strette (5 mm) e lunghe (30-35 cm) (Negbi et al, 1989). La pianta si riproduce attraverso un bulbo di diametro variabile dai 3 ai 5 cm e ricoperto da una tunica fibrosa dalla quale emergono successivamente i getti che danno poi origine ai distinti organi della pianta. Lo zafferano si distingue altresì per i caratteristici fiori di colore viola intenso costituiti da 6 petali. Il fiore, oltre che dai petali, è composto da 3 antere di colore giallo da cui viene prodotto il polline. La parte femminile del fiore è costituita dall’ovario ed un lungo stilo di colore giallo chiaro che successivamente si suddivide in 3 stimmi di colore rosso carminio. Sono proprio questi stimmi che rappresentano la parte più preziosa della pianta e la ragione per la quale viene coltivata.
Lo zafferano è una specie che necessita di una stasi vegetativa durante il periodo estivo la quale coincide con i mesi che vanno da Giugno alla fine di Settembre. A partire da fine Maggio, la parte epigea della piante inizia a seccarsi e per il mese di Giugno i bulbi assimilano il materiale di riserva entrando quindi in dormienza per tutto il periodo estivo. E’solo a seguito delle prime piogge di fine estate-inizio autunno che la stasi vegetativa viene interrotta e le gemme dei bulbi interrati si riattivano. Verso i primi di Ottobre, dal terreno emergono da 1 a 3 spate rivestite da molteplici strati di tuniche a protezione delle foglie alloggiate all’interno (Figura 1). Nell’arco di 10-20 giorni, la piante emette i primi fiori (1-3 fiori per getto) ed il periodo di fioritura si protrae in genere per non più di 2 settimane (Figura 2). Durante il periodo invernale, l’attività vegetativa rallenta per poi riprendere nel periodo primaverile con la produzione di bulbilli.
Esigenze ambientali
Lo zafferano si adatta sia al clima mediterraneo, sia al clima continentale temperato caratterizzato da inverni freschi ed estati secche e calde con un regime di umidità tipica del mediterraneo secco. Nonostante il Crocus sativus resista a climi estremi con temperature che variano dai -10° C ai +40° C, le condizioni termiche ottimali per la crescita di questa pianta sono comprese nell’intervallo +7°C – +19°C. Lo zafferano resiste solo per brevi periodi a temperature eccessivamente sotto lo zero termico e a coperture con manto nevoso. In quanto alle temperature elevate, essendo la pianta in stasi vegetativa e priva di alcun organo epigeo durante il ciclo estivo, periodi molto caldi ed estremamente secchi non costituiscono alcun rischio per la sopravvivenza del bulbo (Negbi et al, 1989 e Plessner et al, 1989).
In quanto alle condizioni edafiche, lo zafferano predilige terreni con tessitura franco-argillosa, ben drenati e molto permeabili, con una percentuale di calcare pari al 40-50 percento ed un pH ottimale compreso tra 6 e 7. La profondità ideale del terreno è di 60-70 cm ed una struttura poco sviluppata che agevoli la penetrazione delle radici ed allo stesso tempo impedisca il ristagno idrico (INTERREG IIIC/UE, 2006). Lo zafferano inoltre non tollera eccessi di salinità (> 4 dS/m).
Per una buona produzione di zafferano, due periodi di precipitazioni, uno in primavera per la produzione di bulbi ed uno a fine estate per la produzione di fiori, sono ideali (Figura 3). Piogge intense e gelate nel periodo della fioritura comportano danni alla coltura. Il livello ottimale delle precipitazioni annuali è situato tra gli 800 ed i 900 mm nonostante lo zafferano venga coltivato sia in località come il Kashmir, zona in cui le precipitazioni annuali ammontano a 1,000-1,500 mm, sia in luoghi quali la Spagna dove le precipitazioni annue sono pari a 400 mm.
Tecnica colturale
In quanto alla rotazione colturale dello zafferano, essendo quest’ultima una pianta riprodotta per mezzo di bulbi, è consigliabile non utilizzare suoli che abbiano ospitato recentemente colture quali la patata e le carote in modo da non favorire l’insorgenza di malattie che queste coltivazioni hanno in comune con il genere Crocus. Risulta invece appropriata la messa a dimora di bulbi di zafferano su suoli che abbiano previamente ospitato colture leguminose miglioratrici quali lenticchie, piselli, ceci, fave e fagioli.
La messa a dimora dei bulbi di zafferano viene preceduta dalla lavorazione del terreno che in Italia viene generalmente effettuata durante il periodo estivo ad una profondità di circa 30-40 cm ed ha come scopo quello di dissodare il terreno. Tale operazione viene compiuta attraverso l’utilizzo di motocoltivatori o piccoli aratri trainati da trattori. In alcune parti della Sardegna, tale pratica avviene ancora effettuata tramite l’impiego di cavalli.
Durante la lavorazione del terreno che precede la messa a dimora dei bulbi, è raccomandabile interrare tramite una sarchiatura a media profondità, 20-30 T/Ha di stallatico (ovino, equino e/o bovino) maturo. In alcuni paesi tra cui la Spagna, vengono inoltre utilizzati concimi minerali con applicazioni pari a 40-50 Kg/Ha di azoto (sotto forma di Solfato di Ammoniaca- 21% N2), 80-100 Kg/Ha di fosforo (sotto forma di Superfosfato di Cal- 18% P2O5) e 100-200 Kg/Ha di potassio (sotto forma di Solfato di Potassio- 60% K2O2) (ITAP, 1998). Secondo gli studi condotti da Sandeghi et al (1992), l’apporto di azoto influisce significativamente sia sulla resa dei fiori che sulla durata del periodo vegetativo.
La messa a dimora dei bulbi in Italia avviene generalmente a partire dal mese di Agosto ed in alcune località, si protrae fino alla metà di Settembre. La disposizione del terreno varia notevolmente a seconda della disponibilità o meno di attrezzi meccanici, della natura del terreno e delle esigenze personali dell’agricoltore. Di norma, la messa a dimora dei bulbi avviene in file semplici o binate su un terreno leggermente rincalzato o baulato in modo da agevolare la raccolta manuale dei fiori e allo stesso tempo impedire il ristagno idrico durante i periodi più piovosi. Nel caso di impianti a file binate, la distanza tra le file è di 45-50 cm con corridoi larghi 50-70 cm tra i bancali.
La densità di piantagione dello zafferano varia dai 10 ai 60 bulbi per m2 e tale differenza è dovuta alla distanza tra bulbi sulla fila che può variare dai 3 ai 15 cm. In Italia, la profondità di semina dei bulbi più ricorrente è di 15-20 cm (INTERREG IIIC/UE, 2006) (Figura 4 e 5).
Tra il mese di Giugno e quello di Luglio si estraggono i bulbi dal campo attraverso l’utilizzo di un aratro a versoi oppure, nel caso di piccoli appezzamenti, a mano con una vanga. Si prosegue successivamente con la raccolta manuale. In seguito, i bulbi vengono ripuliti da eventuali sostanze estranee quali terriccio, sassi e resti vegetali ed infine si elimina la tunica che ricopre il bulbo. Una volta ripuliti, i bulbi vengono risposti in contenitori che agevolano il passaggio di aria ed immagazzinati in un luogo asciutto, lontano da fonti di calore e luce diretta, fino al periodo dell’impianto.
In relazioni alle esigenze idriche, il Crocus sativus è una specie che presenta una buona resistenza alla siccità nonostante risponda bene ad interventi irrigui in luoghi caratterizzati da scarsa piovosità. In Italia, l’irrigazione dello zafferano è raramente praticata dato che le piogge autunnali e primaverili soddisfano i bisogni della coltura. In altri paesi caratterizzati da scarsa piovosità come ad esempio alcune zone della Spagna (< 400 mm di precipitazioni annue), interventi irrigui vengono applicati specialmente duranti le fasi più critiche per la coltura (es. in primavera per favorire la bulbificazione ed in autunno per interrompere la stasi vegetativa) per scorrimento, aspersione o gocciolamento. Tra i diversi tipi di irrigazione, quello per scorrimento è il più diffuso anche se il metodo più indicato resta l’aspersione.
La rimozione delle erbe infestanti presenti all’interno della coltura dello zafferano avviene solitamente per via di scavi manuali negli appezzamenti di piccole dimensioni, oppure tramite l’utilizzo di piccoli aratri meccanici per l’eliminazione tra le file. L’utilizzo di prodotti chimici per la rimozione di infestanti è infrequente ed il diserbo chimico viene praticato solamente su superfici molto estese.
In condizioni ottimali le rese di zafferano in Italia si attestano in media sui 10 Kg/Ha/anno di stimmi essiccati, i quali equivalgono a circa 1,3-1,4 milioni di fiori (1 fiore equivale a circa 0,007 gr di zafferano essiccato). La produzione aumenta gradualmente dal primo al terzo anno, dopodiché tende a diminuire. Per questa ragione generalmente il ciclo colturale ha una durata totale di circa 4-5 anni.
Raccolta ed essicazione
La coltura dello zafferano è rinomata per la quantità di mano d’opera di cui necessita. Tra le varie fasi colturali, quella della raccolta dei fiori, la loro pulitura e la successiva estrazione degli stimmi, sono senz’altro le operazioni che richiedono più tempo. La rapida deperibilità dei fiori e la perdita di qualità dello zafferano se esposto alle intemperie, fanno sì che la raccolta dei fiori debba essere effettuata quotidianamente e nelle prime ore della giornata affinché i fiori siano ancora chiusi quando raccolti.
Tradizionalmente la raccolta dei fiori si effettua manualmente tagliando il fiore alla base della corolla per poi depositarlo in piccoli cestini, solitamente di vimini, in modo da evitare che i fiori vengano schiacciati dal proprio peso. La raccolta dei fiori è un compito arduo date le avversità climatiche, gli orari di lavoro e la posizione poco confortevole del raccoglitore. In media, una persona è in grado di raccogliere dagli 8 ai 16 Kg di fiori al giorno (INTERREG IIIC/UE, 2006).
Una volta raccolti i fiori, gli stimmi vanno estratti il prima possibile o comunque nell’arco dello stesso giorno dato che non solo perdono qualità con il passare del tempo, ma l’operazione di estrazione degli stimmi diventa più complicata. Il processo di separazione dello stimma dal resto del fiore è tradizionalmente noto come “mondatura” e può avvenire in diversi modi. Quello forse più comune in Italia si effettua afferrando il fiore tra il pollice e l’indice della mano destra. Con l’unghia del pollice, premendola contro il polpastrello del dito indice, si taglia la parte del tubo del perigonio per eliminare lo stilo ed evitando la separazione dei 3 filamenti che compongono lo stimma. In maniera quasi simultanea al taglio si fa scorrere il fiore tra le dita con una leggera pressione in modo da far sì che si apra leggermente facilitando l’estrazione dello stimma (Figura 6).
Una volta estratti gli stimmi, si prosegue con l’essicazione. Secondo il metodo tradizionale, gli stimmi vengono adagiati su tavole di legno ed esposti al sole oppure nel forno insieme alla brace. Attualmente, esistono essiccatoi elettrici dotati di termostato che generalmente viene fissato sui 45° C. Una volta terminata l’essicazione e aver perso oltre tre quarti del proprio peso, gli stimmi sono pronti per essere conservati, diventando la spezia più costosa del mondo e per questo nota anche con il nome di “oro rosso”.
E’ opportuno ricordare che l’Italia vanta due tipologie di zafferano con la certificazione Denominazione di Origine Protetta (D.O.P) per lo ‘Zafferano dell’Aquila’ (Abruzzo)e lo ‘Zafferano di San Giminiano’ (Toscana). La richiesta per il riconoscimento della certificazione europea dello ‘Zafferano di Sardegna’ è tuttora in corso di valutazione.
Avversità e parassiti
Se coltivato su suoli leggeri, ben drenati e senza ristagni idrici, lo zafferano solitamente non è soggetto a gravi malattie che ne compromettono la produzione di stimmi. Contrariamente, in condizioni non ottimali, il Crocus sativus, è suscettibile ad attacchi di Fusarium (Fusarium oxysporum f.sp. gladioli), Rhizoctonia (Rhizoctonia croccorum e Rhizoctonia violacea) e acari (Rhizoghyphus spp.) (Cappelli, 1994). Durante l’immagazzinamento, i bulbi di zafferano sono inoltre suscettibili ad altre malattie fungine quali il Penicillium verrucosum ed l’Uromyces croci (Benschop, 1993). L’incidenza di tali malattie può essere minimizzata tramite il trattamento del materiale di propagazione con prodotti rameici.
Gravi danni ai bulbi possono essere causati da roditori quali topi, nutrie, arvicole ed istrici e, nelle zone più isolate, da cinghiali. Per quanto riguarda le foglie, conigli e lepri occasionalmente se ne nutrono. Con il proposito di evitare attacchi alla coltura da parte di animali di grosse e medie dimensioni (es. cinghiali, conigli, lepri, istrici, ecc.), risulta conveniente recintare gli appezzamenti coltivati. In questo caso è importante assicurarsi che la rete venga interrata nel suolo ad almeno 20-30 cm di profondità. Nel caso di attacchi da parte di topi, trappole ad esche possono essere sistemate all’interno dell’appezzamento coltivato.
Riferimenti bibliografici
– Benschop, M. (1993). Crocus. In: A. de Hertogh and M. Le Nard (ed.) The Physiology of Flower Bulbs, pp. 257-272. Elsevier. Amsterdam, The Netherlands.
– Cappelli, C. (1994). Occurrence of Fusarium oxysporum f. sp. gladioli on Saffron in Italy. Phytopath. Medit. 33: pp. 93-94.
– Deo, B. (2003). Growing Saffron- The World’s Most Expensive Spice. New Zealand Institute for Crop and Food Research. Christchurch, New Zealand.
– Hill, T. (2004), The Contemporary Encyclopedia of Herbs and Spices: Seasonings for the Global Kitchen, Wiley Publishers. San Francisco, United States of America.
– INTERREG III C/UE (2006). Libro Bianco: Zafferano in Europa. Progetto Finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma INTERREG III C. Disponibile online sul sito: http://www.europeansaffron.eu/ftp/libro_bianco_it.zip
– ITAP (1998). Especial Azafrán. Boletín del Instituto Técnico Agronómico Provincial de Albacete (ITAP)-34. Albacete, España.
– Negbi, M. (1999). Saffron: Crocus sativus L. Harwood Academic Publishers. Amsterdam, The Netherlands.
– Negbi, M., Dagan, B., Dror, A., Basker, D. (1989). Growth, Flowering, Vegetative Reproduction and Dormancy in the Saffron Crocus (Crocus sativus L.). Israel Journal of Botany 38: pp. 95-113.
– Plessner, O., Negbi, M., Ziv, M., Basker, D. (1989). Effect of Temperature on the Flowering of Saffron Crocus (Crocus sativus L.): Induction of Hysteranthy. Israel Journal of Botany 38: pp.1-7.
– Sandeghi, B., Razavi, M., Mahajeri, M. (1992). The Effects of Mineral Nutrients (N-P-K) on Saffron Production. Acta Horticulturae 306, pp. 168-171.
Guido Agostinucci si è laureato in Scienze Agrarie presso l’Università di Melbourne (Australia), conseguendo il perfezionamento in Agroecologia presso l’Università degli Studi della Tuscia (Viterbo). Oltre a gestire un’azienda agricola in provincia di Viterbo, l’autore ha lavorato come ricercatore presso il Dipartimento di Ecologia e Sviluppo Economico Sostenibile (DECOS) dell’Università degli Studi della Tuscia. Attualmente svolge l’incarico di consulente per conto di un’organizzazione internazionale dedita allo sviluppo agricolo in paesi in via di sviluppo.
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